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per Operatori del Benessere Immateriale
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scritta da Diogene Laerzio
Epicuro, figlio di Neocle e di Cherestrata ateniese del demo Gargetto, appartenne alla stirpe dei Filaidi, come ci tramanda Metrodoro nella sua opera La nobiltà di nascita. Fra gli altri anche Eraclide nella sua epitome dell'opera di Sozione scrive che egli fu allevato a Samo, dopo la colonizzazione ateniese, e che all'età di diciotto anni andò ad Atene, quando Senocrate teneva scuola nell'Accademia e Aristotele in Calcide. Dopo la morte di Alessandro il Macedone e la cacciata dei colonizzatori ateniesi da Samo ad opera di Perdicca, Epicuro riparò a Colofone presso suo padre, dove visse per qualche tempo e si fece anche dei discepoli. Ma poi ritornò in Atene sotto l'arconte Anassicrate. Per un certo tempo filosofò insieme con gli altri maestri, poi cominciò a insegnare per suo conto fondando la scuola che da lui prese nome. Egli stesso racconta che si accostò per la prima volta alla filosofia all'età di quattordici anni. Apollodoro l'epicureo, nel primo libro della Vita di Epicuro, afferma che si dedicò alla filosofia deluso dai maestri di scuola che non furono in grado di spiegargli il Caos in Esiodo. Ermippo però afferma che egli stesso fu maestro di scuola e che in seguito alla lettura dell'opera di Democrito s'indirizzò decisamente alla filosofia. Per questo anche Timone così disse di lui:
Anche i tre fratelli Neocle, Cheredemo, Aristobulo, incoraggiati da Epicuro, si dedicarono con lui alla filosofia, secondo la testimonianza di Filodemo l'epicuree nel decimo libro della Rassegna dei filosofi, così anche il suo schiavo Mys, come sostiene Mironiano nei Capitoli storici simili. Diotimo stoico gli fu ostile al punto di calunniarlo odiosamente con la pubblicazione di cinquanta lettere vergognose sotto il nome di Epicuro. Identico fine calunnioso ebbe colui che pubblicò col suo nome una raccolta di lettere comunemente attribuite a Crisippo. Ebbe come calunniatori anche lo stoico Posidonio e la sua scuola, Nicolao, Sozione nel dodicesimo libro delle Confutazioni dioclee (in ventiquattro libri) e Dionigi di Alicarnasso. A sentire tutti questi Epicuro andava in giro con la madre per le case dei poveri a recitare formule espiatorie e insieme al padre faceva il maestro di scuola per pochi soldi. Poi prostituiva un fratello, conviveva con l'etera Leonzio, e spacciava per proprio il pensiero atomistico di Democrito e la teoria del piacere di Aristippo. Non era neppure cittadino legittimo, sostiene Timocrate e anche Erodoto nel libro Sull'efebia di Epicuro; adulò senza vergogna Mitre, ministro delle finanze di Lisimaco, che nelle sue lettere chiamava "salvatore" e "signore", e non risparmiò lodi e adulazioni neppure a Idomeneo, Erodoto e Timocrate, che avevano svelato le sue dottrine più riservate. E nelle lettere a Leonzio scriveva:
E a Temista, la moglie di Leonteo:
E a Pitocle, che era un bel ragazzo:
Secondo quanto riferisce Teodoro nel quarto libro della sua opera Contro Epicuro, in un'altra lettera a Temista egli si immagina di fare l'amore con lei. I suoi calunniatori aggiungono che fu in corrispondenza con molte altre etere e soprattutto con Leonzio, amata anche da Metrodoro, e sostengono che un passo della sua opera Del fine dica:
In un'altra lettera a Pitocle:
Epitteto lo accusa di turpiloquio e lo ingiuria molto aspramente. Timocrate, fratello di Metrodoro e discepolo di Epicuro, dopo aver lasciato la scuola, in un'opera dal titolo Cose allegre, scrive che Epicuro era così dedito ai piaceri del cibo che vomitava due volte al giorno e narra che egli stesso riuscì a stento a sfuggire a quella notturna filosofia e a quella setta di iniziati. Il delirio di questi detrattori è evidente. Epicuro ha sufficienti testimoni della sua immensa bontà verso tutti: la patria che lo onorò con statue di bronzo, tanti amici il cui numero è pari a popolazioni di città intere, tutti coloro che ebbero con lui intima frequentazione, avvinti dall'incanto della sua dottrina, a eccezione di Metrodoro di Stratonicea che passò alla scuola di Carneade forse perché non reggeva l'insuperabile bontà del maestro, la prova della ininterrotta tradizione della sua scuola che, contrariamente a tutte le altre, ancora dura e il vasto numero dei discepoli che si trasmettono lo scolarcato, la gratitudine verso i suoi genitori, la generosità verso i fratelli, la bontà verso i servi, evidente dal suo testamento e dal fatto che essi partecipavano al suo insegnamento filosofico, il più noto dei quali fu Mys, di cui abbiamo accennato, e più in generale la sua benevolenza verso chiunque. E' difficile rappresentare a parole l'intensità della sua devozione verso gli dei e del suo amor di patria. Addirittura per eccesso di modestia non prese parte alla vita politica. Nonostante i gravi accadimenti politici che allora si abbatterono sulla Grecia, egli non l'abbandonò mai, a parte due o tre viaggi nella Ionia per visitare gli amici. E gli amici accorrevano a lui da ogni parte e convivevano con lui nel Giardino, come riferisce anche Apollodoro (Diocle nel terzo libro del suo Sommario dice che Epicuro aveva comprato il Giardino per ottanta mine), conducendo una vita molto semplice e frugale. Si contentavano - dice - di una tazza di vino da poco, ma di solito non bevevano che acqua. Apollodoro aggiunge che Epicuro rifiutava la comunanza dei beni, quindi anche quanto diceva Pitagora, secondo il quale ogni bene degli amici deve essere in comune. Epicuro sosteneva che ciò comportava sfiducia e senza fiducia non c'è amicizia. Egli stesso scrive nelle lettere che gli bastava solo un po' d'acqua e un semplice pane, e aggiunge:
Ecco l'uomo secondo il quale il piacere è il fine della vita! Ateneo lo esalta in un suo epigramma:
Tutto questo poi lo vedremo meglio quando esporremo la sua dottrina e i suoi detti. Secondo la testimonianza di Diocle, tra i filosofi arcaici preferiva Anassagora, anche se su qualche punto lo confutava, e Archelao, il maestro di Socrate. Diocle ci informa inoltre che esercitava i discepoli a imparare a memoria i suoi scritti. Apollodoro nelle Cronache scrive che Epicuro fu allievo di Nausifane e di Prassifane, però Epicuro lo nega. Nella sua lettera a Euriloco sostiene di essere stato il maestro di se stesso. Epicuro ed Ermarco negano l'esistenza del filosofo Leucippo, mentre l'epicureo Apollodoro e altri affermano che Leucippo fu effettivamente il maestro di Democrito. Secondo Demetrio di Magnesia Epicuro fu discepolo anche di Senocrate. Nacque, secondo le Cronache di Apollodoro, nel terzo anno della CIX Olimpiade, arconte Sosigene, il giorno settimo del mese di Gamelione, sette anni dopo la morte di Platone. A trentadue anni fondò la sua scuola prima a Mitilene e a Lampsaco, che durò cinque anni e poi la spostò ad Atene dove Epicuro morì nel secondo anno della CXXVII Olimpiade, sotto l'arcontato di Pitarato, all'età di settantadue anni. Gli successe nello scolarcato Ermarco figlio di Agemorto, di Mitilene. Morì di calcoli renali dopo quattordici giorni di malattia, come scrive Ermarco nelle lettere. Ermippo riferisce che Epicuro in punto di morte, entrato in una tinozza di bronzo piena di acqua calda, chiese del vino puro e lo bevve d'un fiato. Dopo aver raccomandato agli amici di non dimenticare il suo pensiero, spirò. Noi abbiamo scritto per lui questo epigramma:
Tale fu la sua vita e tale la sua fine. Ecco il suo testamento:
Ecco la lettera che scrisse a Idomeneo in punto di morte:
Tali furono le sue ultime volontà. Epicuro scrisse moltissimo e in quanto a numero di libri superò tutti. Si tratta infatti di circa trecento volumi. Non vi si trovano mai citazioni di altri, tutto è stato scritto proprio da Epicuro. Ecco l'elenco dei migliori: Della natura, libri trentasette; Degli atomi e del vuoto; Dell'amore, Compendio dei libri contro i fisici, Contro i Megarici, Casi dubbi; Massime capitali; Delle elezioni e delle avversioni; Del fine; Del criterio o Canone Cheredemo; Degli dèi; Della religione, Egesianatte, Delle vite, libri quattro; Del giusto operare; Neocle, a Temista; Simposio; Euriloco, a Metrodoro Della vista Dell'angolo nell'atomo; Del tatto; Del destino; Dei sensi interni, massime a Timocrate; Prognostico; Protrettico; Dei simulacri; Della percezione; Aristobulo; Della musica; Della giustizia e delle altre virtù; Dei doni e della riconoscenza; Polimede; Timocrate, libri tre, Metrodoro libri cinque; Antidoro, libri due; Delle malattie, massime a Mitre; Callistola; Della potestà regale; Anassimene; Lettere. |