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Materiali per Operatori del Benessere Immateriale
Sigmund Freud
CONFERENZE SULLA PSICOANALISI

TERZA CONFERENZA

Signore e signori, non è sempre facile dire la verità, specialmente quando si deve essere brevi, e così oggi devo correggere un'affermazione inesatta che ho fatto nella conferenza precedente.

Vi ho già detto come, una volta abbandonata l'ipnosi, io esortassi i pazienti a riferirmi tutto ciò che veniva loro in mente in rapporto al problema su cui stavamo lavorando, dicendo loro che avrebbero ricordato ciò che sembrava avessero dimenticato e che l'idea che affiorava nella coscienza avrebbe certamente contenuto il ricordo che stavamo cercando. Ho inoltre affermato di aver dimostrato che la prima idea dei pazienti contenesse l'indicazione esatta, dimostrando così di essere la propaggine dimenticata del ricordo.

In effetti, le cose non stanno così; io ho dovuto semplificarle al massimo per ragioni di brevità. Infatti solo le prime volte soleva accadere che il vero materiale dimenticato emergesse semplicemente grazie alle insistenze da parte mia. Se si proseguiva l'esperienza, emergevano sì idee, ma non erano quelle pertinenti, non servivano ai nostri fini, e gli stessi pazienti le respingevano come inesatte. In tal caso, insistere non serviva a niente e quasi ci si pentiva di aver abbandonato l'ipnosi. In queste condizioni di perplessità, io mi aggrappai allora a un pregiudizio, che in seguito l'amico C. G. Jung dell'Università di Zurigo e i suoi allievi dimostrarono possedere un fondamento scientifico. Devo confessare che avere pregiudizi spesso si dimostra cosa molto utile. Io avevo attribuito grande importanza al rigoroso determinismo dei processi psichici e non potevo ammettere che una qualche idea che si presentasse al paziente in uno stato di attenzione concentrata, potesse essere del tutto arbitraria e priva di ogni rapporto con l'idea dimenticata che stavamo cercando. Che poi essa non fosse proprio identica, può essere soddisfacentemente spiegato con la condizione psicologica ipotizzata. Nei pazienti che io trattavo, esistevano due forze contrastanti: da una parte lo sforzo cosciente di richiamare nella coscienza l'esperienza dimenticata rimasta nell'inconscio; dall'altra la nota resistenza che si opponeva all'affiorare dell'idea rimossa o delle sue associazioni nella coscienza. Se tale resistenza era nulla o molto leggera, il materiale dimenticato poteva diventare conscio senza deformazioni. Era dunque lecito supporre che la deformazione era tanto più completa quanto più grande era la resistenza all'affiorare dell'idea. Di conseguenza, i pensieri che affioravano alla coscienza del paziente in luogo delle idee cercate erano costituite esattamente come sintomi; erano cioè formazioni sostitutive, nuove, artificiali, effimere, delle idee rimosse, e ne differivano, esattamente nella misura in cui erano state più o meno deformate ad opera delle resistenze. Per la loro natura di sintomi, tali formazioni sostitutive devono comunque presentare una certa analogia con le idee che formano l'oggetto della nostra ricerca; e quando la resistenza non è eccessiva, è possibile scoprire, in base alla natura di queste idee affioranti, l'elemento nascosto.

Si tratta cioè di una specie di allusione che si riferisce all'idea rimossa, come una rappresentazione della stessa cosa, in termini INDIRETTI.

In psicologia normale, ci sono noti casi in cui situazioni analoghe a quelle da noi presunte danno origine a esperienze simili, come avviene, ad esempio, per il motto di spirito. Nel mio studio della tecnica psicoanalitica sono stato costretto a occuparmi del problema della natura del moto di spirito. Ve ne darò un esempio, raccontandovi una storiella, che circolò per prima in Inghilterra (1).

Dice l'aneddoto: due uomini d'affari privi di scrupoli, che per certe fortunate speculazioni erano riusciti ad accumulare un'ingente ricchezza, cercavano in tutti i modi di entrare nell'alta società. Fra i vari mezzi escogitati, pensarono fosse molto opportuno farsi ritrarre dal più famoso (e caro) pittore della città, un artista i cui dipinti venivano salutati come avvenimenti. Le preziose tele vennero dunque esposte per la prima volta in una serata di gala e i padroni di casa pilotarono il più autorevole critico d'arte verso la parete del salone dove erano appesi i ritratti, perché esprimesse il suo lusinghiero parere. Il critico osservò a lungo, si guardò intorno come se cercasse qualcosa, finché indicando lo spazio vuoto fra i due quadri, chiese: "E Gesù dove sta?" ("And where is the Saviour?").

Vedo che ve la ridete tutti a questo esempio di motto di spirito; ora cercheremo di analizzarlo. E' chiaro che il critico intendeva dire: "Siete una bella coppia di ladroni, come quelli fra i quali fu crocefisso Gesù". Ma egli non dice proprio così, e si esprime invece in un modo che lì per lì non sembrava né pertinente, né riferibile in qualche modo al soggetto in discussione, ma che, subito dopo, noi riconosciamo come una ALLUSIONE all'insolenza che aveva in mente, e quindi come una perfetta formazione sostitutiva.

Ora, nel caso del motto di spirito, noi non possiamo pretendere di trovare tutti quei rapporti che la nostra teoria presume all'origine delle idee affioranti nei nostri pazienti, ma io desideravo sottolineare l'importanza dell'identità dei motivi presenti nel motto di spirito e nell'idea che affiora di improvviso. Come mai il critico non dice direttamente ciò che ha da dire ai due manigoldi? Perché, accanto al desiderio di parlare francamente, agiscono in lui potenti motivi contrastanti. Potrebbe intanto essere pericoloso offendere persone di cui si è ospiti e che potrebbero chiamare in aiuto robusti domestici. Si potrebbe fare cioè la stessa fine dell'intruso che ho citato nella precedente conferenza per spiegarvi la rimozione. Per tale motivo, il critico non pronuncia direttamente la sua frase offensiva, ma in modo deformato, come "un'allusione con omissione". Lo stesso meccanismo entra in gioco, secondo l'ipotesi che avanziamo, quando il nostro paziente presenta l'idea affiorante come formazione sostitutiva dell'idea dimenticata che stiamo cercando.

Signore e signori, ci sembra molto utile, a questo punto, sulla scia della scuola di Zurigo (Bleuler, Jung e altri) designare come "complesso" un gruppo di idee tra loro collegate e dotate della stessa carica affettiva. Possiamo dunque affermare che quando noi partiamo dai ricordi più recenti del paziente alla ricerca di un complesso rimosso, con tutta probabilità riusciremo a scoprirlo, a patto che il paziente ci comunichi un numero sufficiente di idee così come gli vengono in mente (2). Perciò noi lasciamo parlare liberamente il paziente su qualsiasi argomento, attenendoci appunto all'ipotesi che niente gli verrà in mente che non abbia un qualche rapporto indiretto con il complesso che cerchiamo. E se questo metodo per scoprire i complessi rimossi vi sembra troppo elaborato, permettetemi almeno che vi assicuri che è l'unico che abbiamo a disposizione. Adoperando tale tecnica, possiamo però ancora essere disturbati dal fatto che spesso il paziente si ferma, si trova cioè a un punto morto, ed è convinto di non aver più niente da dire: niente infatti gli viene in mente.

Se le cose stessero realmente così e il paziente avesse ragione, il nostro metodo si dimostrerebbe ancora una volta inapplicabile.

Ma da una indagine più acuta si scopre che una simile mancanza di idee in realtà non si verifica mai, e che invece essa compare solo quando il paziente, per effetto della resistenza - mascherata come giudizio critico della validità dell'idea che gli è venuta in mente - non la comunica o la respinge. Si può risparmiare al paziente questo inconveniente mettendolo preventivamente in guardia, e consigliandolo di non tenere assolutamente conto del suo atteggiamento critico. Abbandonando completamente ogni selezione critica, egli deve dire tutto ciò che gli viene in mente, anche se lo considera non essenziale, non pertinente, o addirittura privo di senso; a maggior ragione quando si tratta di un'idea su cui è spiacevole soffermarsi. Se vengono seguite queste istruzioni, saremo in grado di assicurarci il materiale che ci condurrà sulla strada del complesso rimosso. Queste idee affioranti alla coscienza, che il paziente ritiene di scarsa importanza, quando si trovi sotto l'influsso della resistenza e non sotto quello del medico, sono per lo psicologo come un minerale che, con il semplice metodo dell'interpretazione, egli trasforma dallo stato grezzo a nobile metallo. Se poi ci si vuol fare rapidamente un'idea sui complessi rimossi del paziente, senza affrontare il problema di come sono disposti e associati, si può condurre l'indagine avvalendosi dell'esperimento associativo, messo a punto da Jung (3) e dai suoi allievi. Questo metodo è per lo psicologo ciò che è per il chimico l'analisi qualitativa; e se può essere trascurato nella terapia di pazienti nevrotici, esso è invece indispensabile nelle indagini sulle psicosi, intraprese dalla scuola di Zurigo con brillanti risultati. Ma l'elaborazione sistematica di tutto ciò che viene in mente al paziente quando si sottopone al trattamento psicoanalitico, non è il solo mezzo tecnico a nostra disposizione per l'ampliamento della coscienza.

Per lo stesso scopo, ci serviamo di due altri metodi di indagine, e cioè l'interpretazione dei sogni e la valutazione degli atti mancati e degli atti casuali del paziente.

A questo punto, miei pregiati ascoltatori, dovrei dirvi che ho a lungo esitato se invece di questa frettolosa rassegna di tutto il campo della psicoanalisi non sarebbe stato meglio presentarvi piuttosto una descrizione completa ed esauriente dell'analisi dei sogni; ma contro quest'ultima scelta mi ha trattenuto un motivo squisitamente soggettivo e, in apparenza, secondario. Non mi è sembrato infatti adatto, in questo paese tutto dedito a realizzazioni pratiche, atteggiarmi a "interprete di sogni", almeno prima che vi si presentasse il modo di scoprire quanta importanza meriti quest'arte, antica e disprezzata. In realtà l'interpretazione dei sogni è la "via regia" per l'interpretazione dell'inconscio, il terreno più solido della psicoanalisi e un campo in cui ogni operatore deve raggiungere certe convinzioni e formarsi una preparazione. E se mi si chiedesse come si fa a diventare psicoanalisti, risponderei: con lo studio dei propri sogni. Fino ad ora gli avversari della psicoanalisi si sono, con molto tatto, astenuti da qualsiasi critica al mio libro L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI o hanno tentato di trascurarlo servendosi delle più superficiali obiezioni.

Se voi, invece, vorrete dedicarvi alla soluzione del problema dei sogni, vedrete che le novità che la psicoanalisi presenta al vostro pensiero non costituiranno più alcuna difficoltà. Dovreste ricordare che le nostre produzioni oniriche notturne presentano notevolissime analogie di forma e affinità di contenuto con le creazioni dello psicotico, pur essendo perfettamente compatibili con la più assoluta normalità nella vita di veglia. Non ci sembra allora assurdo affermare che chiunque consideri queste normali illusioni sensoriali, questi deliri e alterazioni della personalità, motivo di meraviglia anziché di considerazione, non ha la minima probabilità in più di un profano di comprendere le creazioni abnormi degli stati mentali patologici. E state pur sicuri che oggi nel gruppo dei profani potete includere tutti gli psichiatri.

Vogliate ora seguirmi in una breve incursione nel dominio della problematica onirica. Allo stato di veglia siamo abituati a tenere i sogni nella stessa scarsa considerazione in cui i pazienti tengono le associazioni di idee richiestegli dallo psicoanalista.

E' evidente che noi li rifiutiamo dato che li dimentichiamo subito e completamente.

La scarsa importanza che noi attribuiamo ai sogni è basata, per quelli che non sono confusi e privi di senso, sulla sensazione che essi siano estranei alla nostra personalità; per tutti gli altri, appunto sulla loro assurdità e insensatezza. Il nostro rifiuto è poi sostenuto dalla completa assenza di ogni senso di vergogna e sui desideri immorali che appaiono chiaramente in molti sogni.

Com'è noto, gli antichi non condividevano la scarsa importanza che noi attribuiamo ai sogni: e ancora oggi le classi inferiori del popolo sono molto attaccate al valore che danno ai sogni, attendendosi comunque da essi, così come facevano gli antichi, la rivelazione del futuro.

Vi confesso che io non vedo nessuna necessità di ricorrere a ipotesi mistiche per colmare le lacune delle nostre attuali conoscenze, e del resto non sono mai riuscito a trovare niente che convalidasse l'ipotesi della natura profetica dei sogni. Ma su di essi si possono dire molte altre cose, piuttosto sorprendenti.

Per cominciare, non tutti i sogni sono così incomprensibili, confusi ed estranei alla personalità del sognatore. Se appena vi prendeste la briga di riflettere sui sogni dei bambini dall'età di un anno e mezzo in poi, li trovereste molto semplici e facilmente analizzabili. Il bambino sogna sempre l'appagamento di desideri che erano sorti in lui il giorno prima e che non erano stati soddisfatti. La soluzione è così semplice che non vi serve nessuna arte di interpretazione, vi basta solo indagare sulle esperienze fatte dal bambino il giorno precedente ("il giorno del sogno").

Ora, l'enigma del sogno potrebbe essere brillantemente risolto se anche i sogni degli adulti fossero come quelli dei bambini, appagamenti cioè di desideri che erano insorti durante "il giorno del sogno".

E le cose stanno proprio così; le difficoltà che si ergono sulla nostra strada possono esser gradualmente liquidate con un'analisi profonda del sogno.

A questo punto, si potrebbe muovere, innanzi tutto, una seria obiezione: in generale i sogni degli adulti hanno un contenuto talmente incomprensibile che l'appagamento di desiderio è l'ultima cosa che vi si manifesta. Ma noi replichiamo: questi sogni hanno subìto un processo di deformazione, nel senso che il contenuto psichico che ne è alla base era destinato originariamente a un'espressione verbale completamente diversa. E' perciò d'uopo distinguere tra il CONTENUTO ONIRICO MANIFESTO, quello che solo confusamente ricordiamo al mattino e che cerchiamo di esprimere con parole in apparenza arbitrarie, e i PENSIERI ONIRICI LATENTI la cui esistenza dobbiamo ammettere nell'inconscio.

Tale deformazione onirica è lo stesso processo che vi ho illustrato nell'indagine sulle produzioni (sintomi) dei soggetti isterici; e sta a indicare che nella formazione dei sogni e nella formazione dei sintomi interviene lo stesso conflitto di forze psichiche. Il contenuto onirico manifesto è la formazione sostitutiva, deformata, dei pensieri onirici inconsci, e la deformazione è dovuta al lavoro delle forze di difesa dell'Io, cioè delle resistenze. Queste, infatti, allo stato di veglia, bloccano l'accesso alla coscienza dei desideri rimossi: e perfino nell'abbandono del sonno sono ancora abbastanza intense da costringere i desideri stessi a nascondersi dietro una sorta di travestimento.

Perciò chi sogna conosce così poco il significato dei suoi sogni, proprio come l'isterico così poco sa sui rapporti e il significato dei suoi sintomi.

Che esistano pensieri onirici latenti e che tra essi e contenuto onirico manifesto del sogno intercorrano i rapporti descritti, potete convincervi con l'analisi dei sogni, procedimento questo la cui tecnica è esattamente quella della psicoanalisi. Voi dovete prescindere completamente dalle connessioni apparenti che intercorrono fra gli elementi del sogno manifesto e cercare invece le idee affioranti, quelle cioè che emergono per mezzo delle associazioni libere, secondo le regole della psicoanalisi, da ogni singolo frammento onirico. E' da questo materiale che si possono individuare i pensieri onirici latenti, proprio come dalle fantasie connesse con i sintomi e i ricordi si scoprono i complessi latenti del paziente. Dai pensieri onirici latenti, in tal modo svelati, vi accorgerete subito come sia perfettamente legittimo interpretare i sogni degli adulti con lo stesso metro usato per quelli dei bambini.

Ciò che ora viene a prendere il posto del contenuto onirico manifesto è il significato reale del sogno chiaramente comprensibile, collegato con le impressioni del giorno precedente, e che appare come l'appagamento di un desiderio insoddisfatto.

Il sogno manifesto che ricordiamo al risveglio può dunque essere definito un appagamento DEFORMATO di desideri rimossi.

Con un certo lavoro di sintesi, è anche possibile farsi un'idea sul processo che ha provocato la trasformazione dei pensieri onirici inconsci nel contenuto onirico manifesto: definiamo "lavoro onirico" tale processo. Ebbene, questo lavoro merita il massimo interesse teorico, in quanto è qui, e meglio che altrove, che possiamo studiare quegli insospettabili processi psichici esistenti nell'inconscio, o per essere più esatti, tra quei due sistemi distinti che sono il conscio e l'inconscio.

Ora, fra questi processi psichici, di recente scoperta, due occupano una posizione di maggior rilievo: la CONDENSAZIONE e lo SPOSTAMENTO, il cambiamento cioè di accento psichico. Il lavoro onirico è un caso particolare di inter-reazione tra raggruppamenti psichici diversi, e come tale è la risultanza di una dissociazione psichica; e in tutti i suoi aspetti essenziali sembra identico a quel lavoro di deformazione che trasforma i complessi rimossi in sintomi, allorché la rimozione non è riuscita. E c'è di più:

dall'analisi dei sogni, specialmente dei vostri, potrete scoprire l'importanza, del tutto insospettata, del ruolo esercitato dalle impressioni e dalle esperienze della primissima infanzia sullo sviluppo dell'uomo. E' come se, nella vita onirica, il bambino che è nell'adulto continuasse a vivere la sua esistenza, conservando tutte le sue caratteristiche e i suoi desideri, compresi quelli che fu costretto ad abbandonare, inutilizzabili, negli anni successivi.

Con forza irresistibile, potrete così rendervi conto attraverso quali processi di sviluppo, di rimozione, di sublimazione, di reazione, emerga dal bambino, dalle sue peculiari attitudini e tendenze, il cosiddetto uomo normale, campione, ma in parte anche vittima, della nostra civiltà faticosamente conquistata.

Vorrei inoltre richiamare la vostra attenzione sul fatto che con l'analisi dei sogni abbiamo scoperto che l'inconscio si serve di una sorta di simbolismo, specialmente quando si tratta di rappresentare dei simboli sessuali. Tale simbolismo, variabile da individuo a individuo, possiede in parte una sua natura specifica, che sembra identica al simbolismo che riteniamo si celi nei miti e nelle leggende. E non è impossibile che tali creazioni delle genti possano essere spiegate con lo studio dei sogni. Infine, devo ricordarvi di non lasciarvi fuorviare dall'obiezione che l'insorgenza di sogni d'angoscia verrebbe a contraddire la nostra teoria del sogno come appagamento di desiderio.

A prescindere dalla considerazione che anche i sogni angosciosi, per poter essere valutati, devono prima essere interpretati, si può in generale affermare che l'angoscia non dipende in modo semplice dal contenuto onirico, come si potrebbe supporre senza una maggiore conoscenza dei fatti, e senza un approfondimento delle condizioni che producono l'angoscia nevrotica. L'angoscia è una delle modalità con cui l'Io si libera dai desideri rimossi divenuti eccessivamente intensi e così si spiega facilmente la sua presenza nel sogno, quando quest'ultimo si sia spinto un po' troppo nell'appagamento di desideri inaccettabili.

Vedete dunque che l'indagine sui sogni sarebbe già più che legittima per le conclusioni che ci ha permesso di ottenere su cose un tempo ardue a capirsi. Ma ci siamo arrivati sempre in relazione con la terapia psicoanalitica dei nevrotici. Da quanto abbiamo detto, è facile comprendere come l'interpretazione dei sogni, quando non sia resa troppo difficile dalla resistenza del paziente, possa portare alla conoscenza dei suoi desideri nascosti e rimossi e dei complessi che ne vengono alimentati. E ora possiamo passare a quel gruppo di fenomeni psichici della vita quotidiana il cui studio è entrato a far parte delle tecniche psicoanalitiche. Si tratta di quegli atti mancati che si verificano sia nelle persone normali che nei nevrotici, e a cui di solito non si attribuisce alcuna importanza; dimenticanze di cose che si dovrebbero sapere e che in altre circostanze si sanno (ad esempio, l'oblio momentaneo di nomi propri); lapsus verbali, che tanto spesso si verificano; analoghi lapsus di scrittura e di lettura; esecuzione automatica di atti intenzionali in circostanze indebite, smarrimento o rottura di oggetti, eccetera.

Piccolezze, per le quali nessuno ha mai cercato un determinismo psicologico e che sono sempre attribuite al caso, o alla distrazione, alla disattenzione, e condizioni simili.

Vi rientrano anche atti e gesti eseguiti senza rendersi conto, ai quali il soggetto non si sogna di attribuire la minima importanza psicologica, come giocherellare e trastullarsi con qualche oggetto, canticchiare ritornelli, cincischiare parti del corpo o del vestito e così via (5).

Queste cosucce, questi atti mancati, come gli atti sintomatici o casuali, non sono affatto così prive di senso come si è soliti supporre generalmente, quasi per un tacito accordo. Esse hanno invece un significato di solito facilmente e sicuramente rilevabile dal contesto in cui si verificano; possiamo cioè dimostrare che o esprimono impulsi e scopi che sono stati rimossi, celati, per quanto possibile, alla coscienza dell'individuo, o scaturiscono esattamente da quella sorte di desideri e complessi rimossi che ci sono già noti come creatori dei sintomi e dei sogni. Ne consegue che esse meritano la dignità di sintomi, e il loro studio, al pari di quello dei sogni, può guidare alla scoperta dei complessi nascosti della vita psichica.

Per loro tramite, infatti, si possono tradire abitualmente i segreti più intimi. Che esse si verifichino così facilmente e così spesso nelle persone normali in cui la rimozione, tutto sommato, è riuscita abbastanza bene, è dovuto al fatto che si tratta di cose insignificanti e di scarso rilievo. Ciò nonostante esse possono a buon diritto aspirare a un altissimo valore teorico, dato che dimostrano l'esistenza della rimozione e delle formazioni sostitutive anche in condizioni di normalità.

Avrete già notato come il tratto distintivo dello psicoanalista sia la rigorosa convinzione del determinismo della vita psichica.

Per lui, nelle manifestazioni della psiche, non esiste nulla di insignificante, nulla di arbitrario e casuale; laddove gli altri, di solito, ne escludono la presenza, egli vede dappertutto una diffusa motivazione; e, se ciò non bastasse, egli è disposto perfino a trovare una motivazione plurima delle stesse manifestazioni psichiche, mentre il nostro bisogno di causalità, che si presume congenito, si accontenterebbe di un'unica determinante psichica.

A questo punto, se tenete presente i mezzi di cui disponiamo per la scoperta di quanto è nascosto, dimenticato o rimosso nella vita psichica: lo studio delle idee che affiorano nel paziente evocate dalle associazioni libere, i suoi sogni, e i suoi atti mancati e sintomatici; e se vi aggiungete la valutazione di altri fenomeni che emergono nel corso del trattamento psicoanalitico (fenomeni su cui farò in seguito qualche osservazione riassumendoli nel termine "transfert") approderete con me alla conclusione che la nostra tecnica è già abbastanza efficace per risolvere il problema di come ricondurre alla conoscenza il materiale psichico patogeno e liquidare così le sofferenze arrecate dalla produzione di quelle formazioni sostitutive che sono i sintomi.

E il fatto che i nostri sforzi terapeutici ci permettono di ampliare e approfondire la conoscenza della vita psichica normale e patologica, non può non conferire al nostro metodo un fascino particolare e una sua superiorità.

Non so se avete avuto l'impressione che la tecnica, nel cui arsenale vi ho guidato, sia particolarmente difficile. Io credo, invece, che una volta padroneggiata, essa sia perfettamente adatta allo scopo. Comunque una cosa è certa: la tecnica non è banale, la tecnica si deve imparare con la stessa serietà con cui si studiano le tecniche istologiche o chirurgiche. Sarete perciò sorpresi di sapere che in Europa abbiamo frequentemente udito dei giudizi sulla psicoanalisi espressi da persone che non conoscevano assolutamente nulla della sua tecnica e che tanto meno l'avevano applicata, e che pure pretendevano, sprezzantemente, che dimostrassimo l'esattezza dei nostri risultati. Fra queste persone ve ne sono alcune non prive di dimestichezza, in altri campi, coi metodi dell'operare scientifico, persone che, per esempio, non rifiuterebbero il reperto di un esame microscopico solo perché non può essere verificato a occhio nudo sul preparato anatomico e che non emetterebbero un giudizio finché non avessero usato il microscopio.

Ma le cose si presentano davvero poco propizie per ottenere un riconoscimento, quando si tratta di psicoanalisi. E' compito della psicoanalisi portare il materiale rimosso della vita psichica al riconoscimento della coscienza, e chiunque la giudichi, reca in sé tali rimozioni, forse solo a stento trattenute. Essa quindi mobiliterà in lui le stesse resistenze che operano nel paziente; la resistenza in questione riuscirà facilmente a camuffarsi sotto le vesti di un rifiuto razionale, e a suscitare argomentazioni simili a quelle da cui noi cerchiamo di salvaguardare i pazienti, applicando le regole fondamentali della psicoanalisi. Il fatto è che non è difficile ravvisare nei nostri avversari lo stesso affievolimento del giudizio, prodotto dalla emotività, che possiamo quotidianamente osservare nei nostri pazienti.

L'orgoglio della conoscenza, che ad esempio rifiuta i sogni, così alla leggera, fa parte, generalmente, del potentissimo sistema difensivo che vigila contro ogni infiltrazione di complessi inconsci; ecco perché è così difficile convincere l'uomo della realtà dell'inconscio, e insegnargli daccapo ciò che è in contrasto col suo patrimonio cosciente.

NOTE:

  1. "Der Witz und seine Beziehung zum Unbewussten", Deuticke, Vienna, 1905, p. 59 (trad. it., "Il motto di spirito").
  2. Cioè di "libere associazioni".
  3. C. G. Jung, "Diagnostiche Assoziationstudien", B. 1, 1906 (trad. it. "Psicologia, linguaggio e associazione verbale").
  4. "Die Traumdeutung" (trad. it: "L'interpretazione dei sogni").
  5. "Zur Psychopathologie des Alltagslebens" (trad. it.: "Psicopatologia della vita quotidiana").