Gen. Subito incontrai un gran squadrone d'uomini
e donne armate, e molti di loro intendevano la lingua mia, li quali
mi condussero alla Città del Sole.
Osp. Di', come è fatta questa città? e come si governa?
Gen. Sorge nell'alta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior
parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor
delle radici del monte, il quale è tanto, che la città
fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette
miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha,
che si fosse in piano.
la città distinta in sette gironi grandissimi, nominati dalli
sette pianeti, e s'entra dall'uno all'altro per quattro strade e
per quattro
porte, alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che,
se fosse espugnato il primo girone, bisogna più travaglio
al secondo e poi più; talché sette fiate bisogna espugnarla
per vincerla. Ma io son di parere, che neanche il primo si può,
tanto è grosso e terrapieno, ed ha valguardi, torrioni, artelleria
e fossati di fuora.
Entrando dunque per la porta Tramontana, di ferro coperta, fatta
che s'alza e cala con bello ingegno, si vede un piano di cinquanta
passi tra la muraglia prima e l'altra. Appresso stanno palazzi tutti
uniti per giro col muro, che puoi dir che tutti siano uno; e di
sopra han li rivellini sopra a colonne, come chiostri di frati,
e di sotto non vi è introito, se non dalla parte concava
delli palazzi. Poi son le stanze belle con le fenestre al convesso
ed al concavo, e son distinte con piccole mura tra loro. Solo il
muro convesso è spesso otto palmi, il concavo tre, li mezzani
uno o poco più.
Appresso poi s'arriva al secondo piano, ch'è dui passi o
tre manco, e si vedono le seconde mura con li rivellini in fuora
e passeggiatori; e della parte dentro, l'altro muro, che serra i
palazzi in mezzo, ha il chiostro con le colonne di sotto, e di sopra
belle pitture.
E così s'arriva fin al supremo e sempre per piani. Solo quando
s'entran le porte, che son doppie per le mura interiori ed esteriori,
si ascende per gradi tali, che non si conosce, perché vanno
obliquamente, e son d'altura quasi invisibile distinte le scale.
Nella sommità del monte vi è un gran piano ed un gran
tempio in mezzo, di stupendo artifizio.
Osp. Di', di' mo, per vita tua.
Gen. Il tempio è tondo perfettamente, e non ha muraglia
che lo circondi; ma sta situato sopra colonne grosse e belle assai.
La cupola grande ha in mezzo una cupoletta con uno spiraglio, che
pende sopra l'altare, ch'è uno solo e sta nel mezzo del tempio.
Girano le colonne trecento passi e più, e fuor delle colonne
della cupola vi son per otto passi li chiostri con mura poco
elevate sopra le sedie, che stan d'intorno al concavo dell'esterior
muro, benché in tutte le colonne interiori, che senza muro
fraposto tengono il tempio insieme, non manchino sedili portatili
assai.
Sopra l'altare non vi è altro ch'un mappamondo assai grande,
dove tutto il cielo è dipinto, ed un altro dove è
la terra. Poi sul cielo della cupola vi stanno tutte le stelle maggiori
del cielo, notati coi nomi loro e virtù, c'hanno sopra le
cose terrene, con tre versi per una; ci sono i poli e i circoli
signati non del tutto, perché manca il muro a basso, ma si
vedono finiti in corrispondenza alli globbi dell'altare. Vi sono
sempre accese sette lampade nominate dalli sette pianeti.
Sopra il tempio vi stanno alcune celle nella cupoletta attorno,
e molte altre grandi sopra gli chiostri, e qui abitano li religiosi,
che son da quaranta.
Vi è sopra la cupola una banderuola per mostrare i venti,
e ne signano trentasei; e sanno quando spira ogni vento che stagione
porta. E qui sta anco un libro in lettere d'oro di cose importantissime.
Osp. Per tua fé, dimmi tutto il modo del governo, ché
qui t'aspettavo.
Gen. un Principe Sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua
nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale
e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano.
Ha tre Principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà,
Sapienza e Amore.
Il Potestà ha cura delle guerre e delle paci e dell'arte
militare; è supremo nella guerra, ma non sopra Sole; ha cura
dell'offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed
espugnazioni.
Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati
dell'arti liberali e meccaniche, tiene sotto di sé tanti
offiziali quante son le scienze: ci è l'Astrologo, il Cosmografo,
il Geometra, il Loico, il
Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il
Morale; e tiene un libro solo, dove stan tutte le scienze, che fa
leggere a tutto il popolo ad usanza di Pitagorici. E questo ha fatto
pingere in tutte le muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori,
tutte le scienze.
Nelle mura del tempio esteriori e nelle cortine, che si calano quando
si predica per non perdersi la voce, vi sta ogni stella ordinatamente
con tre versi per una.
Nelle mura del primo girone tutte le figure matematiche, più
che non scrisse Euclide ed Archimede, con la lor proposizione significante.
Nel di fuore, vi è la carta della terra tutta, e poi le tavole
d'ogni provinzia con li riti e costumi e leggi loro, e con l'alfabeti
ordinari sopra il loro alfabeto.
Nel dentro del secondo girone vi son tutte le pietre preziose e
non preziose, e minerali, e metalli veri e pinti, con le dichiarazioni
di due versi per uno. Nel di fuore vi son tutte sorti di laghi,
mari e fiumi, vini ed ogli ed altri liquori, e loro virtù
ed origini e qualità; e ci son le caraffe piene di diversi
liquori di cento e trecento anni, con li quali sanano tutte l'infirmità
quasi.
Nel dentro del terzo vi son tutte le sorti di erbe ed arbori del
mondo pinte, e pur in teste di terra sopra il rivellino e le dichiarazioni
dove prima si ritrovaro, e le virtù loro, e le simiglianze
c'hanno con le stelle e con li metalli e con le membra umane, e
l'uso loro in medicina. Nel di fuora tutte maniere di pesci di fiumi,
laghi e mari, e le virtù loro, e 'l modo di vivere, di generarsi
e allevarsi, a che serveno; e le simiglianze c'hanno con le cose
celesti e terrestri e dell'arte e della natura; sì che
mi stupii, quando trovai pesce vescovo e catena e chiodo e stella,
appunto come son queste cose tra noi. Ci sono ancini, rizzi, spondoli
e tutto quanto è degno di sapere con mirabil arte di pittura
e di scrittura che dichiara.
Nel quarto, dentro vi son tutte sorti di augelli pinti e lor qualità,
grandezze e costumi, e la fenice è verissima appresso loro.
Nel di fuora stanno tutte sorti di animali rettili, serpi, draghi,
vermini, e l'insetti, mosche, tafani ecc., con le loro condizioni,
veneni e virtuti; e son più che non pensamo.
Nel quinto, dentro vi son l'animali perfetti terrestri di tante
sorti che è stupore. Non sappiamo noi la millesima parte,
e però, sendo grandi di corpo, l'han pinti ancora nel fuore
rivellino; e quante maniere di cavalli solamente, o belle figure
dichiarate dottamente!
Nel sesto, dentro vi sono tutte l'arti meccaniche, e l'inventori
loro, e li diversi modi, come s'usano in diverse regioni del mondo.
Nel di fuori vi son tutti l'inventori delle leggi e delle scienze
e dell'armi. Trovai Moisè, Osiri, Giove, Mercurio, Macometto
ed altri assai; e in luoco assai onorato era Gesù Cristo
e li dodici Apostoli, che ne tengono gran conto, Cesare, Alessandro,
Pirro e tutti li Romani; onde io ammirato come sapeano quelle istorie,
mi mostraro che essi teneano di tutte nazioni lingua, e che
mandavano apposta per il mondo ambasciatori, e s'informavano del
bene e del male di tutti; e godeno assai in questo. Viddi che nella
China le bombarde e le stampe furo prima ch'a noi. Ci son poi li
maestri di queste cose; e li figliuoli, senza fastidio, giocando,
si trovano saper tutte le scienze istoricamente prima che abbin
dieci anni.
Il Amore ha cura della generazione, con unir li maschi e le femine
in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che attendemo
alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura
dell'educazione, delle medicine, spezierie, del seminare e raccogliere
li frutti, delle biade, delle mense e d'ogni altra cosa pertinente
al vitto e vestito e coito, ed ha molti maestri
e maestre dedicate a queste arti.
Il Metafisico tratta tutti questi negozi con loro, ché senza
lui nulla si fa, ed ogni cosa la communicano essi quattro, e dove
il Metafisico inchina, son d'accordo.
Osp. Or dimmi degli offizi e dell'educazione e del modo come si
vive; si è republica o monarchia o stato di pochi.
Gen. Questa è una gente ch'arrivò là dall'Indie,
ed erano molti filosofi, che fuggiro la rovina di Mogori e d'altri
predoni e tiranni; onde si risolsero di vivere alla filosofica in
commune, si ben la communità delle donne non si usa tra le
genti della provinzia loro; ma essi l'usano, ed è questo
il modo. Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le
dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi
son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa
alcuna.
Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata,
e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché,
per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo
erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo
potente; o avaro ed insidioso ed ippocrita, si è impotente.
Ma quando perdono l'amor proprio, resta il commune solo.
Osp. Dunque nullo vorrà fatigare, mentre aspetta che l'altro
fatighi, come Aristotile dice contra Platone.
Gen. Io non so disputare, ma ti dico c'hanno tanto amore alla patria
loro, che è una cosa stupenda, più che si dice delli
Romani, quanto son più spropriati. E credo che li preti e
monaci nostri, se non avessero li parenti e li amici, o l'ambizione
di crescere più a dignità, seriano più spropriati
e santi e caritativi con tutti.
Osp. Dunque là non ci è amicizia, poiché non
si fan piacere l'un l'altro.
Gen. Anzi grandissima: perché è bello a vedere, che
tra loro non possono donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno
del commune, e molto guardano gli offiziali, che nullo abbia più
che merita. Però quanto è bisogno tutti l'hanno. E
l'amico si conosce tra loro nelle guerre, nell'infirmità,
nelle scienze, dove s'aiutano e s'insegnano l'un l'altro. E tutti
li gioveni s'appellan frati e quei che son quindici anni più
di loro, padri, e quindici meno figli. E poi vi stanno l'offiziali
a tutte cose attenti, che nullo
possa all'altro far torto nella fratellanza.
Osp. E come?
Gen. Di quante virtù noi abbiamo, essi hanno l'offiziale:
ci è un che si chiama Liberalità, un Magnanimità,
un Castità, un Fortezza, un Giustizia, criminale e civile,
un Solerzia, un Verità, Beneficienza, Gratitudine, Misericordia,
ecc.; e a ciascuno di questi si elegge quello, che da fanciullo
nelle scole si conosce inclinato a tal virtù. E però,
non sendo tra loro latrocini, né assassinii, né stupri
ed incesti, adultèri, delli quali noi ci accusamo, essi si
accusano d'ingratitudine, di malignità, quando un non vuol
far piacere onesto, di bugia, che abborriscono più che la
peste; e di questi rei per pena son privati della mensa commune,
o del commerzio delle donne, e d'alcuni onori, finché pare
al giudice, per ammendarli.
Osp. Or dimmi, come fan gli offiziali?
Gen. Questo non si può dire, se non sai la vita loro. Prima
è da sapere che gli uomini e le donne vestono d'un modo atto
a guerreggiare, benché le donne hanno la sopravveste fin
sotto al ginocchio, e l'uomini sopra.
E s'allevan tutti in tutte l'arti. Dopo gli tre anni li fanciulli
imparano la lingua e l'alfabeto nelle mura, caminando in quattro
schiere; e quattro vecchi li guidano e insegnano, e poi li fan giocare
e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli
sette anni, e li conducono nell'officine dell'arti, cosidori, pittori,
orefici, ecc.; e mirano l'inclinazione. Dopo li sette anni vanno
alle lezioni delle scienze naturali, tutti; ché son quattro
lettori della medesima lezione, e in quattro ore tutte quattro le
squadre si spediscono; perché, mentre gli altri si esercitano
col corpo, o fan gli pubblici servizi, gli altri stanno alla lezione.
Poi tutti si mettono alle matematiche, medicine ed altre scienze,
e ci è continua disputa tra di loro e concorrenza; e quelli
poi diventano
offiziali di quella scienza, dove miglior profitto fanno, o di quell'arte
meccanica, perché ognuna ha il suo capo. Ed in campagna,
nei lavori e nella pastura delle bestie pur vanno a imparare; e
quello è tenuto di più gran nobiltà, che più
arti impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi, che gli artefici
appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli, che null'arte imparano
e stanno oziosi e tengon in ozio e lascivia tanti servitori con
roina della republica.
Gli offiziali poi s'eleggono da quelli quattro capi, e dalli mastri
di quell'arte, li quali molto bene sanno chi è più
atto a quell'arte o virtù, in cui ha da reggere, e propongono
in Consiglio, e ognuno oppone quel che sa di loro. Però non
può essere Sole se non quello che sa tutte l'istorie delle
genti e riti e sacrifizi e republiche ed inventori di leggi ed arti.
Poi bisogna che sappia tutte l'arti meccaniche, perché ogni
due giorni se n'impara una, ma l'uso qui le fa saper tutte, e la
pittura. E tutte le scienze ha da sapere, matematiche, fisiche,
astrologiche. Delle lingue non si cura, perché ha l'interpreti,
che son i grammatici loro. Ma più di tutti
bisogna che sia Metafisico e Teologo, che sappia ben la radice e
prova d'ogni arte e scienza, e le similitudini e differenze delle
cose, la Necessità, il Fato, e l'Armonia del mondo, la Possanza,
Sapienza e Amor divino e d'ogni cosa, e li gradi degli enti e corrispondenze
loro con le cose celesti, terrestri e marine, e studia molto bene
nei Profeti ed astrologia. Dunque si sa chi ha da esser Sole, e
se non passa trentacinque anni, non arriva a tal grado; e questo
offizio è perpetuo, mentre non si trova chi sappia più
di lui e sia più atto al governo.
Osp. E chi può saper tanto? Anzi non può saper governare
chi attende alle scienze.
Gen. Io dissi a loro questo, e mi risposero: "Più certi
semo noi, che un tanto letterato sa governare, che voi che sublimate
l'ignoranti, pensando che siano atti perché son nati signori,
o eletti da fazione potente. Ma il nostro Sole sia pur tristo in
governo, non sarà mai crudele, né scelerato, né
tiranno un chi tanto sa. Ma sappiate che questo è argomento
che può tra
voi, dove pensate che sia dotto chi sa più grammatica e logica
d'Aristotile o di questo o quello autore; al che ci vol sol memoria
servile, onde l'uomo si fa inerte, perché non contempla le
cose ma li libri, e s'avvilisce l'anima in quelle cose morte; né
sa come Dio regga le cose, e gli usi della natura e delle nazioni.
Il che non può avvenire al nostro Sole, perché non
può arrivare a tante scienze chi non è scaltro d'ingegno
ad ogni cosa, onde è sempre attivissimo al governo. Noi pur
sappiamo che chi sa una scienza sola, non sa quella né l'altre
bene; e che colui che è atto a una sola, studiata in libro,
è inerte e grosso. Ma non così avviene alli pronti
d'ingegno e facili ad ogni conoscenza, come è bisogno che
sia il Sole. E nella città nostra s'imparano le scienze con
facilità tale, come tu vedi, che più in un anno qui
si sa, che in diece o quindici tra voi, e mira in
questi fanciulli."
Nel che io restai confuso per le ragioni sue e la prova di quelli
fanciulli, che intendevano la mia lingua; perché d'ogni lingua
sempre han d'esser tre che la sappiano. E tra loro non ci è
ozio nullo, se non quello che li fa dotti; che però vanno
in campagna a correre, a tirar dardo, sparar archibugi, seguitar
fiere, lavorare, conoscer l'erbe, mo una schiera, mo l'altra di
loro.
Li tre offiziali primi non bisogna che sappiano se non quell'arti
che all'offizio loro partengono. Onde sanno l'arti communi a tutti,
istoricamente imparandole, e poi le proprie, dove più si
dà uno che un altro: così il Potestà saperà
l'arte cavalieresca, fabricar ogni sorte d'armi, cose di guerra,
machine, arte militare, ecc. Ma tutti questi offiziali han d'essere
filosofi, e più, ed istorici, naturalisti ed umanisti.
Osp. Vorrei che dicessi l'offizi tutti, e li distinguessi; e s'è
bisogno l'educazion commune.
Gen. Sono prima le stanze communi, dormitori, letti e bisogni;
ma ogni sei mesi si distinguono dalli mastri, chi ha da dormire
in questo girone o in quell'altro, e nella stanza prima o seconda,
notate per alfabeto.
Poi son l'arti communi agli uomini e donne, le speculative e meccaniche;
con questa distinzione, che quelle dove ci va fatica grande e viaggio,
le fan gli uomini, come arare, seminare, cogliere i frutti, pascer
le pecore, operar nell'aia, nella vendemmia. Ma nel formar il cascio
e mungere si soleno le donne mandare, e nell'orti vicini alla città
per erbe e servizi facili. Universalmente, le arti che si fanno
sedendo e stando, per lo più son delle donne, come tessere,
cuscire, tagliar i capelli e le barbe, la speziaria, fare tutte
le sorti di vestimenti; altro che l'arte del ferraro e delle armi.
Pur chi è atta a pingere, non se le vieta. La musica è
solo delle donne, perché più dilettano, e de' fanciulli,
ma non di trombe e tamburi. Fanno anche le vivande; apparecchiano
le mense; ma il servire a tavola è proprio delli gioveni,
maschi e femine, finché sono di vint'anni.
Hanno in ogni girone le publiche cucine e le dispense della robba.
E ad ogni officio soprastante è un vecchio ed una vecchia,
che comandano ed han potestà di battere o far battere da
altri li negligenti e disobedienti, e notano ognuno ed ognuna in
che esercizio meglio riesce. Tutta la gioventù serve alli
vecchi che passano quarant'anni; ma il mastro o maestra han cura
la sera, quando vanno a dormire, e la mattina di mandar alli servizi
di quelli a chi tocca, uno o due ad ogni stanza, ed essi gioveni
si servono tra loro, e chi ricusa, guai a lui! Vi son prime e seconde
mense; d'una parte mangiano le donne, dall'altra gli uomini, e stanno
come in refettori di frati. Si fa senza strepito, ed un sempre legge
a tavola, cantando, e spesso l'offiziale parla sopra qualche passo
della lezione. una dolce cosa vedersi servire di tanta bella gioventù,
in abito succinto, così a tempo, e vedersi a canto tanti
amici, frati, figli e madri vivere con tanto rispetto ed amore.
Si dona a ciascuno, secondo il suo esercizio, piatto di pitanza
e menestra, frutti, cascio; e li medici hanno cura di dire alli
cochi in quel giorno, qual sorte di vivanda conviene, e quale alli
vecchi e quale alli giovani e quale all'ammalati. Gli offiziali
hanno la miglior parte; questi mandano spesso della loro a tavola
a chi più si ha fatto onore la mattina nelle lezioni e dispute
di scienze ed armi, e questo si stima per grande onore e favore.
E nelle feste fanno cantar una musica pur in tavola; e perché
tutti
metteno mano alli servizi, mai non si trova che manchi cosa alcuna,
Son vecchi savi soprastanti a chi cucina ed alli refettori, e stimano
assai la nettezza nelle strade, nelle stanze e nelli vasi e nelle
vestimenta e nella persona.
Vesteno dentro camisa bianca di lino, poi un vestito, ch'è
giubbone e calza insieme, senza pieghe e spaccato per mezzo, dal
lato e di sotto, e poi imbottonato. Ed arriva la calza sin al tallone,
a cui si pone un pedale grande come un bolzacchino, e la scarpa
sopra. E son ben attillate, che quando si spogliano la sopravveste,
si scerneno tutte le fattezze della persona. Si mutano le vesti
quattro volte varie, quando il Sole entra in Cancro e Capricorno,
Ariete e Libra. E, secondo la complessione e la
procerità, sta al Medico di distribuirle col Vestiario di
ciascun girone. Ed è cosa mirabile che in un punto hanno
quante vesti vogliono, grosse, sottili, secondo il tempo. Veston
tutti di bianco, ed ogni mese si lavan le vesti col sapone, o bucato
quelle di tela.
Tutte le stanze sottane, sono officine, cucine, granari, guardarobbe,
dispense, refettori, lavatori; ma si lavano nelle pile delli chiostri.
L'acqua si getta per le latrine o per canali, che vanno a quelle.
Hanno in tutte le piazze delli gironi le lor fontane, che tirano
l'acque dal fondo solo con muover un legno, onde esse spicciano
per li canali. Vi è acqua sorgente, e molta nelle conserve
a cui vanno le piogge per li canali delle case, passando per arenosi
acquedotti. Si lavano le persone loro spesso, secondo il maestro
e 'l medico ordina. L'arti si fanno tutte nei chiostri di sotto,
e le speculative di sopra, dove sono le pitture, e nel tempio si
leggono.
Negli atri di fuora son orologi di sole e di squille per tutti i
gironi, e banderuole per saper i venti.
Osp. Or dimmi della generazione.
Gen. Nulla femina si sottopone al maschio, se non arriva a dicinov'anni
né maschio si mette alla generazione inanti alli vintiuno,
e più si è di complessione bianco. Nel tempo inanti
è ad alcuno lecito il coito con le donne sterili o pregne,
per non far in vaso indebito; e le maestre matrone con gli seniori
della generazione han cura di provederli, secondo a loro è
detto in secreto da quelli più molestati da Venere. Li provedono,
ma non lo fanno senza far parola al maestro maggiore, che è
un gran medico, e sottostà ad Amore, Prencipe offiziale.
Se si trovano in sodomia, sono vituperati, e li fan portare due
giorni legata al collo una scarpa, significando che pervertiro l'ordine
e posero li piedi in testa, e la seconda volta crescen la pena finché
diventa capitale. Ma chi si astiene fin a ventun anno d'ogni coito
è celebrato con alcuni onori e canzoni.
Perché quando si esercitano alla lotta, come i Greci antichi,
son nudi tutti maschi e femine, li mastri conoscono chi è
impotente o no al coito, e quali membra con quali si confanno. E
così, sendo ben lavati, si donano al coito ogni tre sere;
e non accoppiano se non le femine grandi e belle alli grandi e virtuosi,
e le grasse a' macri, e le macre alli grassi, per far temperie.
La sera vanno i fanciulli e si conciano i letti, e poi vanno a dormire,
secondo ordina il mastro e la maestra. Né si pongono al coito
se non quando hanno digerito, e prima fanno orazione, ed hanno belle
statue di uomini illustri, dove le donne mirano. Poi escono alla
fenestra, e pregono Dio del Cielo, che li doni prole buona. E dormeno
in due celle, sparti fin a quell'ora che si han da congiungere,
ed allora va la maestra, ed apre l'uscio dell'una e l'altra cella.
Questa ora è determinata dall'Astrologo e
Medico; e si forzan sempre di pigliar tempo, che Mercurio e Venere
siano orientali dal Sole in casa benigna e che sian mirati da Giove
di buono aspetto e da Saturno e Marte. E così il Sole come
la Luna, che spesso sono afete. E per lo più vogliono Vergine
in ascendente; ma assai si guardano che Saturno e Marte non stiano
in angolo, perché tutti quattro angoli con
opposizioni e quadrati infettano, e da essi angoli è la radice
della virtù vitale e della sorte, dependente dall'armonia
del tutto con le parti. Non si curano del satellizio, ma solo degli
aspetti buoni. Ma il satellizio solo nella fondazione della città
e della legge ricercano, che però non abbia prencipe Marte
o Saturno, se non con buone disposizioni. Ed han per peccato
li generatori non trovarsi mondi tre giorni avanti di coito e d'azioni
prave, e di non esser devoti al Creatore. Gli altri, che per delizia
o per servire alla necessità si donano al coito con sterili
o pregne o con donne di poco valore, non osservan queste sottigliezze.
E gli offiziali, che son tutti sacerdoti, e li sapienti non si fanno
generatori, se non osservano molti giorni più condizioni;
perché essi, per la molta speculazione, han debole lo spirito
animale, e non transfondeno il valor della testa, perché
pensano sempre a qualche cosa; onde trista razza fanno. Talché
si guarda bene, e si donano questi a donne vive, gagliarde e belle;
e gli uomini fantastichi e capricciosi a donne grasse, temperate,
di costumi blandi. E dicono che la purità della complessione,
onde le virtù fruttano, non si può acquistare con
arte, e che difficilmente senza disposizion naturale può
la
virtù morale allignare, e che gli uomini di mala natura per
timor della legge fanno bene, e, quella cessante, struggon la republica
con manifesti o segreti modi. Però tutto lo studio principale
deve essere nella generazione, e mirar gli metodi naturali, e non
la dote e la fallace nobiltà-
Se alcune di queste donne non concipeno con uno, le mettono con
altri; se poi si trova sterile, si può accomunare, ma non
ha l'onor delle matrone in Consiglio della generazione e nella mensa
e nel tempio; e questo lo fanno perché essa non procuri la
sterilità per lussuriare. Quelle che hanno conceputo, per
quindici giorni non si esercitano; poi fanno leggeri esercizi per
rinforzar la prole, ed aprir li meati del nutrimento a quella. Partorito
che hanno, esse stesse allevano i figli in luoghi communi, per due
anni lattando e più, secondo pare al Fisico. Dopo si smamma
la prole, e si dona in guardia delle mastre, se son femine, o delli
maestri. E con gli altri fanciulli qui si esercitano all'alfabeto,
a caminare, correre, lottare, ed alle figure istoriate; ed han vesti
di color vario e bello. Alli sette anni si donano alle scienze naturali,
e poi all'altre, secondo pare alli offiziali, e poi si mettono in
meccanica. Ma li figli di poco valore si mandano alle ville e, quando
riescono, poi si riducono alla città. Ma per lo più,
sendo generati nella medesima costellazione, li contemporanei son
di virtù consimili e di fattezze e di costumi. E questa è
concordia stabile nella republica, e s'amano grandemente ed aiutano
l'un l'altro.
Li nomi loro non si mettono a caso, ma dal Metafisico, secondo la
proprietà, come usavan li Romani: onde altri si chiamano
il Bello, altri il Nasuto, altri il Peduto, altri Bieco, altri Crasso,
ecc.; ma quando poi diventano valenti nell'arte loro o fanno qualche
prova in guerra, s'aggiunge il cognome dall'arte, come Pittor Magno,
Aureo, Eccellente, Gagliardo, dicendo Crasso Aureo, ecc.; o pur
dall'atto dicendo: Crasso Forte, Astuto, Vincitore, Magno Massimo,
ecc., e dal nemico vinto, come Africano, Asiano, Tosco, ecc.; Manfredi,
Tortelio dall'aver superato Manfredi o Tortelio o simili altri.
e questi cognomi s'aggiungono dall'offiziali grandi, e si donano
conveniente all'atto o arte sua, con applauso e musica. E si vanno
a perdere per questi applausi, perché oro e argento non si
stima, se non come materia di vasi o di guarnimenti communi a tutti.
Osp. Non ci è gelosia tra loro o dolore a chi non sia fatto
generatore o quel che ambisce?
Gen. Signor no, perché a nullo manca il necessario loro
quanto al gusto; e la generazione è osservata religiosamente
per ben pubblico, non privato, ed è bisogno stare al detto
dell'offiziali. Platone disse che si dovean gabbare li pretendenti
a belle donne immeritatamente, con far uscir la sorte destramente
secondo il merito; il che qui non bisogna far con inganno di ballotte
per contentarsi delle brutte i brutti, perché tra loro non
ci è bruttezza; ché, esercitandosi esse donne, diventano
di color vivo e di
membra forti e grandi, e nella gagliardia e vivezza e grandezza
consiste la beltà appresso a loro. Però è pena
di vita imbellettarsi la faccia, o portar pianelle, o vesti con
le code per coprir i piedi di legno, ma non averiano commodità
manco di far questo, perché chi ci li daria? E dicono che
questo abuso in noi viene dall'ozio delle donne, che le fa scolorite
e fiacche e
piccole; e però han bisogno di colori ed alte pianelle, e
di farsi belle per tenerezza, e così guastano la propria
complessione e della prole. Di più, s'uno s'innamora di qualche
donna, è lecito tra loro parlare, far versi, scherzi, imprese
di fiori e di piante. Ma se si guasta la generazione, in nullo modo
si dispensa tra loro il coito, se non quando ella è pregna
o sterile. Però non si conosce tra loro se non amor d'amicizia
per lo più, non di concupiscenza ardente.
La robba non si stima, perché ognuno ha quanto li bisogna,
salvo per segno d'onore. Onde agli eroi ed eroisse la republica
fa certi doni, in tavola o in feste publiche, di ghirlande o di
vestimenta belle fregiate; benché tutti di bianco il giorno
e nella città, ma di notte e fuor della città vestono
a rosso, o di seta o di lana. Aborreno il color nero, come feccia
delle cose, e però odiano i Giapponesi, amici di quello.
La superbia è tenuta per gran peccato, e si punisce un atto
di superbia in quel modo che l'ha commesso.
Onde nullo reputa viltà lo servire in mensa, in cucina o
altrove, ma lo chiamano imparare; e dicono che così è
onore al piede caminare, come allo occhio guardare; onde chi è
deputato a qualche offizio, lo fa come cosa onoratissima, e non
tengono schiavi, perché essi bastano a se stessi, anzi soverchiano.
Ma noi non così, perché in Napoli son da trecento
mila anime, e
non faticano cinquanta milia; e questi patiscono fatica assai e
si struggono; e l'oziosi si perdono anche per l'ozio, avarizia,
lascivia ed usura, e molta gente guastano tenendoli in servitù
e povertà, o fandoli partecipi di lor vizi, talché
manca il servizio publico, e non si può il campo, la milizia
e l'arti fare, se non male e con stento. Ma tra loro, partendosi
l'offizi a tutti e le arti e fatiche, non tocca faticar quattro
ore il giorno per uno; sì ben tutto il resto è imparare
giocando, disputando, leggendo, insegnando, caminando, e sempre
con gaudio. E non s'usa gioco che si faccia sedendo, né scacchi,
né dadi, né carte o simili,
ma ben la palla, pallone, rollo, lotta, tirar palo, dardo, archibugio.
Dicono ancora che la povertà grande fa gli uomini vili, astuti,
ladri, insidiosi, fuorasciti, bugiardi, testimoni falsi; e le ricchezze
insolenti, superbi, ignoranti, traditori, disamorati, presumitori
di quel che non sanno. Però la communità tutti li
fa ricchi e poveri: ricchi, ch'ogni cosa hanno e possedono; poveri,
perché non s'attaccano a servire alle cose, ma ogni cosa
serve a loro. E molto laudano in questo le religioni della cristianità
e la vita dell'Apostoli.
Osp. bella cosa questa e santa; ma quella delle donne communi pare
dura e ardua. S. Clemente Romano dice che le donne pur sian communi,
ma la glosa intende quanto all'ossequio, non al letto, e Tertulliano
consente alla glosa; ché i Cristiani antichi tutto ebbero
commune, altro che le mogli, ma queste pur furo communi nell'ossequio.
Gen. Io non so di questo; e ben so che essi han l'ossequio commune
delle donne e 'l letto, ma non sempre, se non per generare. E credo
che si possano ingannare ancora; ma essi si difendono con Socrate,
Catone, Platone ed altri. Potria stare che lasciassero quest'uso
un giorno, perché nelle città soggette a loro non
accomunano se non le robbe, e le donne quanto
all'ossequio ed all'arti, ma non al letto; e questo l'ascrivono
all'imperfezione di quelli che non ha filosofato. Però vanno
spiando di tutte nazioni l'usanze, e sempre migliorano; e quando
sapranno le ragioni vive del cristianesimo provate con miracoli,
consentiranno, perché son dolcissimi. Ma fin mo trattano
naturalmente senza fede rivelata; né ponno a più sormontare.
Di più questo è bello, che fra loro non ci è
difetto che faccia l'uomo ozioso, se non l'età decrepita,
quando serve solo per consiglio. Ma chi è zoppo serve alle
sentinelle con gli occhi; chi non ha occhi serve a carminar la lana
e levar il pelo dal nervo delle penne per li matarazzi, chi non
ha mani, ad altro esercizio; e se un membro solo ha, con quello
serve nelle ville, e son governati bene, e son spie che avvisano
alla republica ogni cosa.
Osp. Di' mo della guerra; ché poi dell'arti e vitto mi dirai,
poi delle scienze, e al fine della religione.
Gen. Il Potestà tiene sotto di sé un offiziale dell'armi,
un altro dell'artellaria, un delli cavalieri, un delli ingegneri;
ed ognuno di questi ha sotto di sé molti capi mastri di quell'arte.
Ma di più ci sono gli atleti, che a tutti insegnano l'esercizio
della guerra. Questi sono attempati, prudenti capitani, che esercitano
li gioveni e di dodici anni in suso all'arme; benché prima
nella lotta e correre e tirar pietre erano avvezzi da mastri inferiori.
Or questi insegnano a ferire, a guadagnar l'inimico con arte, a
giocar di spada, di lancia, a saettare, a cavalcare, a seguire,
a fuggire, a star nell'ordine militare. E le donne pure imparano
queste arti sotto maestre e mastri loro, per quando fusse bisogno
aiutar gli uomini nelle guerre vicine alla città; e, se venisse
assalto, difendono le mura. Onde ben sanno sparar l'archibugio,
far balle, gittar pietre, andar incontro. E si sforzano tôr
da loro ogni timore, ed hanno gran pene quei che mostran codardia.
Non temono la morte, perché tutti credono l'immortalità
dell'anima, e che, morendo, s'accompagnino con li spiriti buoni
e rei, secondo li meriti. Benché essi siano stati Bragmani
Pitagorici, non credono trasmigrazione d'anima, se non per qualche
giudizio di Dio. Né s'astengono di ferir il nemico ribello
della ragione, che non merita esser uomo.
Fanno la mostra ogni dui mesi, ed ogni giorno ci è l'esercizio
dell'arme, o in campagna, cavalcando, o dentro, ed una lezione d'arte
militare, e fanno sempre leggere l'istorie di Cesare, d'Alessandro,
di Scipione e d'Annibale, e poi donano il giudizio loro quasi tutti,
dicendo: "Qui fecero bene, qui male"; e poi risponde il
mastro e determina.
Osp. Con chi fan le guerre? e per che causa, se son tanto felici?
Gen. Se mai non avessero guerra, pure s'esercitano all'arte di
guerra ed alla caccia per non impoltronire e per quel che potria
succedere. Di più, vi son quattro regni nell'isola, li quali
han grande invidia della felicità loro, perché li
popoli desiderariano vivere come questi Solari, e vorriano star
più soggetti ad essi, che non a' propri regi. Onde spesso
loro è mossa guerra, sotto color d'usurpar confini e di viver
empiamente, perché non sequeno le superstizioni di Gentili,
né dell'altri Bragmani; e spesso li fan guerra, come ribelli
che prima erano soggetti. E con tutto questo perdono sempre. Or
essi Solari, subito che patiscono preda, insulto o altro disonore,
o son travagliati l'amici loro, o pure son chiamati d'alcune città
tiranneggiate come liberatori, essi si mettono a consiglio, e prima
s'inginocchiano a Dio e pregano che li faccia ben consigliarsi,
poi s'esamina il merito del negozio, e così si bandisce la
guerra. Mandano un sacerdote detto il Forense: costui dimanda a'
nemici che rendano il tolto o
lascino la tirannia; e se quelli negano, li bandiscono la guerra.,
chiamando Dio delle vendette a testimonio contra di chi ha il torto;
e si quelli prolungano il negozio, non li danno tempo, si è
re, più d'un ora, si è republica, tre ore a deliberar
la risposta, per non esser burlati; e così si piglia la guerra,
se quelli son contumaci alla ragione. Ma dopo ch'è pigliata,
ogni cosa esequisce il locotenente del Potestà; ed esso comanda
senza consiglio d'altri; ma si è cosa di momento, domanda
il Amor e 'l Sapienza e 'l Sole. Si propone in Consiglio grande,
dove entra tutto il popolo di venti anni in su, e le donne ancora,
e si dichiara la giustizia
dell'impresa dal Predicatore, e mettono in ordine ogni cosa.
Devesi sapere ch'essi hanno tutte le sorti d'arme apparecchiate
nell'armari, e spesso si provano quelle in guerre finte. Han per
tutti li gironi, nell'esteriore muro, l'artellerie e l'artiglieri
preparati e molti altri cannoni di campagna che portano in guerra,
e n'han pur di legno, nonché di metallo; e così sopra
le carra li conducono, l'altre munizioni nelle mule, e bagaglie.
E se sono in campo aperto, serrano le bagaglie in mezzo e l'artellerie,
e combattono gran pezzo, e poi fan ritirata. E 'l nemico, credendo
che cedano, s'inganna; perché essi fanno ala, pigliano fiato
e lasciano l'artiglierie sparare, e poi tornano alla zuffa contra
nemici
scompigliati. Usano far i padiglioni alla romana con steccati e
fosse intorno con gran prestezza. Ci son li mastri di bagaglie,
d'artellerie e dell'opere. Tutti soldati san maneggiar la zappa
e la secure. Vi son cinque, otto o diece capitani di consiglio di
guerra e di stratagemme, che comandano alle squadre loro secondo
prima insieme si consigliarono. Soleno portar seco
una squadra di fanciulli a cavallo per imparar la guerra, ed incarnarsi,
come lupicini al sangue; e nei pericoli si ritirano, e molte donne
e fanciulli fanno carezze alli guerrieri, li medicano, servano,
abbracciano e confortano; e quelli, per mostrarsi valenti alle donne
e figli loro, fanno gran prove. Nell'assalti, chi prima saglie il
muro ha dopo in onore una corona di gramigna con applauso militare
delle donne e fanciulli. Chi aiuta il compagno ha la corona civica
di quercia; chi uccide il tiranno, le spoglie opime, che porta al
tempio, e si dona al Sole il cognome dell'impresa.
Usano i cavalieri una lancia, due pistole avanti cavallo, di mirabil
tempra, strette in bocca, che per questo passano ogni armatura,
ed hanno anco lo scocco. Altri portano la mazza, e questi son gli
uomini d'arme, perché, non potendo un'armatura ferrea penetrare
con spada o con pistola, sempre assaltano il nemico con la mazza,
come Achille contra Cigno, e lo
sconquassano e gittano. Ha due catene la mazza in punta, a cui pendeno
due palle, che, menando, circondano il collo del nemico, lo cingeno,
tirano e gettano; e, per poterla maneggiare, non tengono briglia
con mano, ma con li piedi, incrocchiata nella sella, ed avvinchiata
nell'estremo alle staffe, non alli piedi, per non impedirsi; e le
staffe han di fuori la sfera e dentro il triangolo, onde il piè
torcendo ne' lati, le fan girare, ché stan affibbiate alli
staffili, e così tirano a sé o allungano il freno
con
mirabil prestezza, e con la destra torceno a sinistra ed ~a contrario~.
Questo secreto manco i Tartari hanno inteso, ché stirare
e torcere non usano con le staffe. Li cavalli leggeri cominciano
con li schioppi, e poi entrano l'aste e le frombole, delle quali
tengono gran conto. E usano combattere per fila intessute, andando
altri, ed altri ritirandosi a vicenda; e le spade sono l'ultima
prova.
Ci son poi li trionfi militari ad uso di Romani, e più belli,
e le supplicazioni ringraziatorie. E si presenta al tempio il capitano,
e si
narrano li gesti dal poeta o istorico ch'andò con lui. E
'l Principe lo corona, ed a tutti soldati fa qualche regalo ed onore,
e per molti dì sono esenti dalle fatiche publiche. Ma essi
l'hanno a male, perché non sanno stare oziosi ed aiutano
gli altri. E all'incontro quei che per loro colpa han perduto, si
ricevono con vituperio, e chi fu il primo a fuggire non può
scampar la morte, se non quando tutto l'esercito domanda in grazia
la sua vita, ed ognuno piglia parte della pena. Ma poco s'ammette
tal indulgenza, si non quando ci è gran ragione. Chi non
aiutò l'amico o fe' atto vile, è frustato; chi fu
disobediente, si mette a morire dentro a un palco di bestie con
un bastone in mano, e se vince i leoni e l'orsi, che è quasi
impossibile, torna in grazia.
Le città superate o date a loro subito mettono ogni avere
in commune, e riceveno gli offiziali solari e la guardia, e si van
sempre acconciando all'uso della Città del Sole, maestra
loro; e mandano li figli ad imparare in quella, senza contribuire
a spese.
Saria lungo a dirti del mastro delle spie e sentinelle, degli ordini
loro dentro e fuore la città, che te li puoi pensare, ché
son eletti da bambini secondo l'inclinazione e costellazione vista
nella genitura loro. Onde ognuno, oprando secondo la proprietà
sua naturale, fa bene quell'esercizio e con piacere per esserli
naturale; così dico delle stratagemme ed altri. La città
di notte e di giorno ha le guardie nelle quattro porte e nelle mura
estreme, su li torrioni e valguardi: e lo girone il dì le
femine, la notte
li maschi guardano; e questo lo fanno per non impoltronire e per
li casi fortuiti. Han le veglie, come i nostri soldati, divise di
tre in tre ore; la sera entrano in guardia.
Usano le cacce per imagini di guerra, e li giochi in piazza a cavallo
e a piede ogni festa, e poi segue la musica.
Perdonano volentieri a' nemici e dopo la vittoria li fanno bene.
Se gettano mura o vogliono occider i capi o altro danno a' vinti,
tutto fanno in un giorno, e poi li fanno bene, e dicono che non
si deve far guerra se non per far gli uomini buoni, non per estinguerli.
Se tra loro ci è qualche gara d'ingiuria o d'altro, perché
essi non contendono se non di onore, il Principe ed i suoi offiziali
puniscono il reo secretamente, s'incorse ad ingiuria di fatto dopo
le prime ire; se di parole, aspettano in guerra a
diffinirle, dicendo che l'ira si deve sfogare contra l'inimici.
E chi fa poi in guerra più atti eroici, quello è tenuto
c'abbia raggione nell'onoranza, e l'altro cede. Ma nelle cose del
giusto ci son le pene; però in duello di mano non ponno venire,
e chi vuol mostrarsi megliore, faccilo in guerra publica.
Osp. Bella cosa per non fomentar fazioni a roina della patria e
schifar le guerre civili, onde nasce il tiranno, come fu in Roma
e Atene. Narra or, ti prego, dell'artifici loro.
Gen. Devi avere inteso come commune a tutti è l'arte militare,
l'agricoltura, la pastorale; ch'ognuno è obbligato a saperle,
e queste son le più nobili tra loro; ma chi più arti
sa, più nobile è, e nell'esercitarla quello è
posto, che è più atto. L'arti fatigose, ed utili son
di più laude, come il ferraro, il fabricatore; e non si schifa
nullo a pigliarle, tanto più che nella natività loro
si vede l'inclinazione, e tra loro, per lo compartimento delle fatiche,
nullo viene a participar fatica destruttiva dell'individuo, ma solo
conservativa. L'arti che sono di manco fatica son delle femine.
Le speculative son di tutti, e chi più è eccellente
si fa lettore; e questo è più onorato che nelle meccaniche,
e si fa sacerdote.
Saper natare è a tutti necessario, e ci sono a posta le piscine
fuor delle fosse della città, e dentro vi son le fontane.
La mercatura a loro poco serve, ma però conoscono il valor
delle monete, e battono moneta per l'ambasciatori loro, acciocché
possano commutare con le pecunia il vitto che non ponno portare,
e fanno venire d'ogni parte del mondo mercanti a loro per smaltir
le cose soverchie, e non vogliono danari, se non merci di quelle
cose che essi non hanno. E si ridono quando vedeno i fanciulli,
che quelli donano tanta robba per poco argento, ma non li vecchi.
Non vogliono che schiavi o forastieri infettino la città
di mali costumi; però vendono quelli che pigliano in guerra,
o li mettono a cavar fosse o far esercizi faticosi fuor della città,
dove sempre vanno quattro squadre di soldati a guardare il territorio
e quelli che lavorano, uscendo dalle quattro porte, le quali hanno
le strade di mattoni fin al mare per condotta delle robbe e facilità
delli forastieri. Alli quali fanno gran carezze, li donano da mangiare
per tre giorni, li lavano li piedi, li fan veder la città
e l'ordine loro, entrare a Consiglio ed a mensa. E ci son uomini
deputati a guardarli, e se voglion farsi cittadini, li provano un
mese nelle ville ed uno nella città, e così poi risolveno,
e li ricevono con certe cerimonie e giuramenti.
L'agricoltura è in gran stima: non ci è palmo di terra
che non frutti.
Osservano li venti e le stelle propizie, ed escono tutti in campo
armati ad arare, seminare, zappare, metere, raccogliere, vindemmiare,
con musiche, trombe e stendardi; ed ogni cosa fanno tra pochissime
ore. Hanno le carra a vela, che caminano con il vento, e quando
non ci è vento, una bestia tira un gran carro, bella cosa,
ed han li guardiani del territorio armati, che per
li campi sempre van girando. Poco usano letame all'orti ed a' campi,
dicendo che li semi diventano putridi e fan vita breve, come le
donne imbellettate e non belle per esercizio fanno prole fiacca.
Onde né pur la terra imbellettano, ma ben l'esercitano, ed
hanno gran secreti di far nascer presto e multiplicare, e non perder
seme. E tengon un libro a posta di tal esercizio, che si chiama
la ~Georgica~. Una parte del territorio, quanto basta, si ara; l'altra
serve per pascolo delle bestie. Or questa nobil arte
di far cavalli, bovi, pecore, cani ed ogni sorte d'animali domestici
è in sommo pregio appresso loro, come fu in tempo antico
d'Abramo; e con modi magici li fanno venire al coito, che possan
ben generare, inanzi a cavalli pinti o bovi o pecore; e non lasciano
andar in campagna li stalloni con le giumente, ma li donano a tempo
opportuno inanzi alle stalle di campagna.
Osservano Sagittario in ascendente, con buono aspetto di Marte e
Giove: per li bovi, Tauro, per le pecore, Ariete, secondo l'arte.
Hanno poi mandre di galline sotto le Pleiadi e papare e anatre,
guidate a pascere dalle donne con gusto loro presso alla città
e li luochi, dove la sera son serrate a far il cascio e latticini,
butiri e simili. Molto attendono a' caponi ed a' castrati ed al
frutto, e ci è un libro di quest'arte detto la ~Bucolica~.
Ed abbondano d'ogni cosa, perché ognuno desidera esser primo
alla fatica per la docilità delli costumi e per esser poca
e fruttuosa; ed ognun di loro, che è capo di questo esercizio,
s'appella Re, dicendo che questo è nome loro proprio, e di
chi non sa. Gran cosa, che le donne ed uomini sempre vanno in squadroni,
né mai soli, e sempre all'obedienza del capo si trovano senza
nullo disgusto; e ciò perché l'hanno come padre o
frate maggiore.
Han poi le montagne e le cacce d'animali, e spesso s'esercitano.
La marineria è di molta reputazione, e tengono alcuni vascelli,
che senza vento e senza remi caminano, ed altri con vento e remi.
Intendono assai le stelle, e flussi e reflussi del mare, e navigano
per conoscer genti e paesi.
A nullo fan torto; senza esser stimolati non combattono. Dicono
che il mondo averà da riducersi a vivere come essi fanno,
però cercano sempre sapere se altri vivono meglio di loro.
Hanno confederazione con gli Chinesi, e con più popoli isolani
e del continente, di Siam di Cancacina e di Calicut, solo per spiare.
Hanno anche gran secreti di fuochi artifiziali per le guerre marine
e terrestri, e stratagemme, che mai non restan di vincere.
Osp. Che e come mangiano? e quanto è lunga la vita loro?
Gen. Essi dicono che prima bisogna mirar la vita del tutto e poi
delle parti; onde quando edificaro la città, posero i segni
fissi nelli quattro angoli del mondo. Il Sole in ascendente in Leone,
e Giove in Leone orientale dal Sole, e Mercurio e Venere in Cancro,
ma vicini, che facean satellizio; Marte nella nona in Ariete, che
mirava di sua casa con felice aspetto l'ascendente e l'afeta. e
la Luna in Tauro, che mirava di buono aspetto Mercurio e Venere,
e non facea aspetto quadrato al Sole. Stava Saturno entrando nella
quarta, senza far malo aspetto a Marte ed al Sole. La Fortuna con
il capo di Medusa in decima quasi era, onde essi s'augurano signoria,
fermezza e grandezza. E Mercurio, sendo in buono aspetto di Vergine
e nella triplicità dell'asside suo, illuminato dalla Luna,
non può esser tristo; ma, sendo gioviale, la scienza loro
non mendica; poco curando d'aspettarlo in Vergine e la congiunzione.
Or essi mangiano carne, butiri, mele, cascio, dattili, erbe diverse,
e prima non volean uccidere gli animali, parendo crudeltà;
ma poi vedendo che era crudeltà ammazzar l'erbe, che han
senso, onde bisognava morire, consideraro che le cose ignobili son
fatte per le nobili, e magnano ogni cosa. Non però uccidono
volentieri l'animali fruttuosi, come bovi e cavalli. Hanno però
distinto li cibi utili dalli disutili, e secondo la medicina si
serveno; una fiata mangiano carne, una pesce ed una erbe, e poi
tornano alla carne per circolo, per non gravare né estenuare
la natura. Li vecchi han cibi più digestibili, e mangiano
tre volte il giorno e poco, li fanciulli quattro, la communità
due. Vivono almeno cento anni, al più centosettanta, o duecento
al rarissimo. E son molto temperati nel bevere: vino non si dona
a' fanciulli sino alli diciannove anni senza necessità grandissima,
e bevono con acqua poi, e così le donne; li vecchi di cinquanta
anni in su beveno senz'acqua.
Mangiano, secondo la stagione dell'anno, quel che è più
utile e proprio, secondo provisto viene dal capo medico, che ha
cura. Usano assai l'odori: la mattina, quando si levano, si pettinano
e lavano con acqua fresca tutti; poi masticano maiorana e petroselino
o menta, e se la frecano nelle mani, e li vecchi usano incenso;
e fanno l'orazione brevissima a levante come il ~Pater Noster~;
ed escono e vanno chi a servire i vecchi, chi in coro, chi ad apparecchiare
le cose del commune; e poi escono all'esercizio, poi riposano poco,
sedendo, e vanno a magnare.
Tra loro non ci è podagre, né chiragre, né
catarri, né sciatiche, né doglie coliche, né
flati, perché questi nascono dalla distillazione ed inflazione,
ed essi per l'esercizio purgano ogni flato ed umore. Onde è
tenuto a vergogna che uno si vegga sputare, dicendo che questo nasce
da poco esercizio, da poltroneria o da mangiar ingordo. Patiscono
più tosto
d'infiammazioni e spasmi secchi alli quali con la copia del buon
cibo e bagni sovvengono; ed all'etica con bagni dolci e latticini,
e star in campagne amene in bello esercizio. Morbo venereo non può
allignare, perché si lavano spesso li corpi con vino ed ogli
aromatici; e il sudore anche leva quell'infetto vapore, che putrefà
il sangue e le midolle. Né tisici si fanno, per non essere
distillazione che cali al petto, e molto meno asma, poiché
umor grosso ci vuole a farla. Curano le febri ardenti con acqua
fresca, e l'efimere solo con odori e brodi grassi o con dormire
o con suoni ed allegrie; le terzane con levar sangue e con reubarbaro
o simili attrattivi, e con bevere acque di radici d'erbe purganti
ed acetose. Di rado vengono a medicina purgante. Le quartane son
facili a sanare per paure sùbite, per erbe simili all'umore
od opposite; e mi mostraro certi secreti mirabili di quelle. Delle
continue tengono conto assai, e fanno osservanza di stelle e d'erbe,
e preghiere a Dio per sanarle. Quintane, ottane, settane poche si
trovano, dove non ci sono umori grossi. Usano li bagni e l'olei
all'usanza antica, e ci trovaro molti più secreti per star
netto, sano, gagliardo. Si sforzano con questi ed altri modi aiutarsi
contra il morbo sacro che ne pateno spesso.
Osp. Segno d'ingegno grande, onde Ercole, Socrate, Macometto, Scoto
e Callimaco ne patiro.
Gen. E s'aiutano con preghiere al cielo e con odori e confortanti
della testa e cose acide ed allegrezze e brodi grassi, sparsi di
fiori di farina.
Nel condir le vivande non han pari: pongono macis, mele, butiro
e con aromati assai, che ti confortano gradevolmente. Non beveno
annevato, come i Napolitani, neanche caldo, come li Chinesi, perché
non han bisogno d'aiutarsi contra l'umori grossi in favor del natio
calore, ma lo confortano con aglio pesto ed aceto, serpillo, menta,
basilico, l'estate e nella stanchezza; né contra il soverchio
calor dell'aromati aumentato, perché non escono di regola.
Hanno pur un secreto di rinovar la vita ogni sette anni, senza afflizione,
con bell'arte.
Osp. Non hai ancora detto delle scienze e degli offiziali.
Gen. Sì, ma poiché sei tanto curioso, ti dirò
più. Ogni nove luna ed ogni opposizione sua fanno Consiglio
dopo il sacrifizio; e qui entrano tutti di venti anni in suso, e
si dimanda ad ognuno che cosa manca alla città, e chi offiziale
è buono e chi è tristo. Dopo ogn'otto dì, si
congregano tutti gli offiziali, che con il Sole, Pon, Sir, Mor;
ed ognun di questi ha tre offiziali sotto di sé, che son
tredici, ed ognun di questi tre altri, che son tutti quaranta; e
quelli han l'offizi dell'arti convenienti a loro, il Potestà
della milizia, il Sapienza delle scienze, il Amore del vitto, generazione
e vestito ed educazione; e li mastri d'ogni squadra, cioè
caporioni, decurioni, centurioni sì delle donne come degli
uomini. E si ragiona di quel che bisogna al publico, e si eleggon
gli offiziali, pria nominati in Consiglio grande. Dopo ogni dì
fa consiglio Sole e li tre Principi delle cose occorrenti, e confirmano
e conciano quel che si è trattato nell'elezione e gli altri
bisogni. Non usano sorti, se non quando son dubbi in modo che non
sanno a qual parte pendere. Questi offiziali si mutano secondo la
volontà del popolo inchina, ma li quattro primi no, se non
quando essi stessi, per consiglio fatto tra loro, cedono a chi veggono
saper più di loro, ed aver più purgato ingegno; e
son tanto docili e buoni, che volentieri cedeno a chi più
sa ed imparano da quelli; ma questo è di rado assai.
Li capi principali delle scienze son soggetti al Sapienza, altri
che il Metafisico che è esso Sole, che a tutte le scienze
comanda, come architetto, ed ha vergogna ignorare cosa alcuna al
mondo umano. Sotto a lui sta il Grammatico, il Logico, il Fisico,
il Medico, il Politico, l'Economico, il Morale, l'Astronomo, l'Astrologo,
il Geometra, il Cosmografo, il Musico, il Prospettivo, l'Aritmetico,
il Poeta, l'Oratore, il Pittore, il Scultore.
Sotto Amore, sta il Genitario, l'Educatore, il Vestiario, l'Agricola,
l'Armentario, il Pastore, il Cicurario, il Gran Coquinario. Sotto
Podestà il Stratagemmario, il Ferrario, l'Armario, l'Argentario,
il Monetario, l'Ingegnero, Mastro spia, Mastro cavallerizzo, il
Gladiatore, l'Artegliero, il Frombolario, il Giustiziero. E tutti
questi han li particolari artefici soggetti.
Or qui hai da sapere che ognun è giudicato da quello dell'arte
sua; talché ogni capo dell'arte è giudice, e punisce
d'esilio, di frusta, di vituperio, di non mangiar in mensa commune,
di non andar in chiesa, non parlar alle donne. Ma quando occorre
caso ingiurioso, l'omicidio si punisce con morte, ed occhio per
occhio, naso per naso si paga la pena della pariglia, quando è
caso pensato. Quando è rissa subitanea, si mitiga la sentenza,
ma non dal giudice, perché condanna subito secondo la legge,
ma dalli tre Principi. E s'appella pure al Metafisico per grazia,
non per giustizia, e quello può far la grazia. Non tengono
carceri, se non per qualche ribello nemico un torrione. Non si scrive
processo, ma in presenza del giudice e del Potestà si dice
il pro e il contra; e subito si condanna dal giudice; e poi dal
Potestà, se s'appella, il sequente dì si condanna;
e poi dal Sole il terzo dì si condanna, o s'aggrazia dopo
molti dì con consenso del popolo. E nessuno può morire,
se tutto il popolo a man comune non l'uccide; ché boia non
hanno, ma tutti lo lapidano o brugiano, facendo che esso s'elegga
la polvere per morir subito. E tutti piangono e pregano Dio, che
plachi l'ira sua, dolendosi che sian venuti a resecare un membro
infetto dal corpo della republica; e fanno di modo che esso stesso
accetti la sentenza, e disputano con lui fin tanto che esso, convinto,
dica che la merita; ma quando è cosa contra la libertà
o contra Dio, o contra gli offiziali maggiori, senza misericordia
si esequisce. Questi soli si puniscono con morte; e quel che more
ha da dire tutte le cause perché non deve morire, e li peccati
degli altri e dell'offiziali, dicendo quelli meritano peggio; e
se vince, lo mandano in esilio e purgano la città con preghiere
e sacrifizi ed ammende; ma non però travagliano li nominati.
Li falli di fragilità e d'ignoranza si puniscono solo con
vituperi, e con farlo imparare a contenersi, e quell'arte in cui
peccò, o altra, e si trattano in modo, che paiono l'un membro
dell'altro.
Qui è da sapere, che se un peccatore, senza aspettare accusa,
va da sé all'offiziali accusandosi e dimandando ammenda,
lo liberano dalla pena dell'occulto peccato e la commutano mentre
non fu accusato.
Si guardano assai dalla calunnia per non patir la medesima pena.
E perché sempre stanno accompagnati quasi, ci vuole cinque
testimoni a convincere, se non si libera col giuramento il reo.
Ma se due altre volte è accusato da dui o tre testimoni,
al doppio paga le pena.
Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla
porta del tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci son
scritte tutte le quiddità delle cose in breve: che cosa è
Dio, che cosa è angelo, che cosa è mondo, stella,
uomo, ecc., con gran sale, e d'ogni virtù la diffinizione.
E li giudici d'ogni virtù hanno la sedia in quel loco, quando
giudicano, e dicono: "Ecco, tu peccasti contra questa diffinizione:
leggi"; e così poi lo condanna o d'ingratitudine o di
pigrizia o d'ignoranza; e le condanne son
certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande.
Osp. Or dire ti bisogna delli sacerdoti e sacrifizi e credenza
loro.
Gen. Sommo sacerdote è il Sole; e tutti gli offiziali son
sacerdoti, parlando delli capi, ed offizio loro è purgar
le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi
imparano che sorti di peccati regnano. E si confessano alli tre
maggiori tanto li peccati propri, quanto gli strani in genere, senza
nominare gli peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale
conosce che sorti di errori corrono e sovviene alli bisogni della
città e fa a Dio sacrifizio ed orazioni, a cui esso confessa
li peccati suoi
e di tutto il popolo publicamente in su l'altare, ogni volta che
sia necessario per amendarli, senza nominar alcuno. E così
assolve il popolo, ammonendo che si guardi in quelli errori, e confessa
i suoi in publico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere
tutta la città ed ammaestrarla e difenderla. Il sacrifizio
è questo, che dimanda al popolo chi si vol sacrificare per
gli suoi membri, e così un di quelli più buoni si
sacrifica.
E 'l sacerdote lo pone sopra una tavola, che è tenuta da
quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta
l'orazione a Dio che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario
umano (non di bestie involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar
le funi; e questo saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in
orazione; e li si dà da magnare parcamente, sino a tanto
che la città è espiata. Ed esso con orazioni e digiuni
prega Dio, che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo
venti o trenta giorni, placata l'ira di Dio, torna a basso per le
parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è sempre onorato
e ben voluto, perché esso si dà per morto, ma Dio
non vuol che mora.
Di più vi stanno vintiquattro sacerdoti sopra il tempio,
li quali a mezzanotte, a mezzodì, la mattina e la sera cantano
alcuni salmi a Dio; e l'offizio loro è di guardar le stelle
e notare con astrolabi tutti li movimenti loro e gli effetti che
producono, onde sanno in che paese che mutazione è stata
e ha da essere. E questi dicono l'ora della generazione e li giorni
del seminare e raccogliere, e serveno come mezzani tra Dio e gli
uomini; e di essi per lo più si fanno li Soli e scriveno
gran cose ed investigano scienze. Non vengono a basso, se non per
mangiare; con donne non si impacciano, se non qualche volta per
medicina del corpo. Va ogni dì Sole in alto e parla con loro
di quel che hanno investigato sopra il benefizio della città
e di tutte le nazioni del mondo. In tempio a basso sempre ha da
esser uno che faccia orazione a Dio, ed ogni ora si muta, come noi
facciamo le quarant'ore, e questo si dice continuo sacrifizio.
Dopo mangiare si rendon grazie a Dio con musica, e poi si cantano
gesti di eroi cristiani, ebrei, gentili, di tutte nazioni, per spasso
e per godere.
Si cantano inni d'amore e di sapienza e virtù. Si piglia
ognuno quella che più ama, e fanno alcuni balli sotto li
chiostri, bellissimi. Le donne portano li capelli lunghi, inghirlandati
ed uniti in un groppo in mezzo la testa con una treccia. Gli uomini
solo un cerro, un velo e berrettino. Usano cappelli in campagna,
in casa berrette bianche o rosse o varie, secondo l'offizio ed arte
che fanno, e gli officiali più grandi e pompose.
Tutte le cose loro son quattro principali, cioè quando entra
il sole in Ariete, in Cancro, in Libra, il Capricorno; e fanno gran
rappresentazioni belle e dotte; ed in ogni congiunzione ed opposizione
di luna fanno certe feste. E nelli giorni che fondaro la città
e quando ebbero vittoria, fanno il medesimo con musica di voci feminine
e con trombe e tamburi ed artiglierie; e li poeti cantano le laudi
delli più virtuosi. Ma chi dice bugia in laude è punito;
non si può dir poeta chi finge menzogna tra loro; e
questa licenza dicono che è ruina del mondo, che toglie il
premio alle virtù e lo dona altrui per paura o adulazione.
Non si fa statua a nullo, se non dopo che more; ma, vivendo, si
scrive nel libro delli eroi chi ha trovato arti nove o secreti d'importanza,
o fatto gran benefizio in guerra o pace al publico.
Non si atterrano li corpi morti, ma si bruggiano per levar la peste
e per convertirsi in fuoco, cosa tanto nobile e viva, che vien dal
sole ed a lui torna, e per non restar sospetto d'idolatria. Restano
pitture solo o statue di grand'uomini, e quelle che mirano le donne
formose, che s'applicano all'uso della razza.
L'orazioni si fan alli quattro angoli del mondo orizzontali, e la
mattina prima a levante, poi a ponente, poi ad austro, poi a settentrione;
la sera al riverso, prima a ponente, poi a levante, poi a settentrione,
poi ad austro. E replicano solo un verso, che dimanda corpo sano
e mente sana al loro ed a tutte le gente, e beatitudine, e conclude:
"come par meglio a Dio." Ma l'orazione attentamente e
lunga si fa in cielo; però l'altare è tondo e in croce
spartito, per dove entra Sole dopo le quattro repetizioni, e prega
mirando in suso. Questo lo fan per gran misterio. Le vesti pontificali
son stupende di bellezza e di significato a guisa di quelle d'Aron.
Distinguono li tempi secondo l'anno tropico, non sidereo, ma sempre
notano quanto anticipa questo di tempo. Credono che il sole cali
a basso, e però facendo più stretti circoli arriva
alli tropici ed equinozi che l'anno passato; o vero pare arrivare,
ché l'occhio, vedendolo più basso in obliquo,
lo vede prima giungere ed obliquare. Misurano li mesi con la luna
e l'anno con il sole; e però non accordano questa con quello
fino alli diciannove anni, quando pur il capo del Drago finisce
il suo corso; del che han fatto nova astronomia. Laudano Tolomeo
ed ammirano Copernico, benché Aristarco e Filolao prima di
lui; ma dicono che l'uno fa il conto con le pietre, l'altro
con le fave, ma nullo con le stesse cose contate, e pagano il mondo
con li scudi di conto, non d'oro. Però essi cercano assai
sottilmente questo negozio, perché importa a saper la fabbrica
del mondo, e se perirà e quando, e la sostanza delle stelle
e chi ci sta dentro a loro. E credono esser vero quel che disse
Cristo delli segni delle stelle, sole e luna, li quali alli stolti
non pareno veri, ma li venirà, come ladro di notte, il fin
delle cose. Onde aspettano la renovazione del secolo, e forsi il
fine. Dicono che
è gran dubbio sapere se 'l mondo fu fatto di nulla o delle
rovine d'altri mondi o del caos; ma par verosimile che sia fatto,
anzi certo. Son nemici d'Aristotile, l'appellano pedante.
Onorano il sole e le stelle come cose viventi e statue di Dio e
tempi celesti; ma non l'adorano, e più onorano il sole. Nulla
creatura adorano di latria, altro che Dio, e però a lui serveno
solo sotto l'insegna del sole, ch'è insegna e volto di Dio,
da cui viene la luce e 'l calore ed ogni altra cosa. Però
l'altare è come un sole fatto, e li sacerdoti pregano Dio
nel sole e nelle stelle, com'in altari, e nel cielo, come tempio;
e chiamano gli angeli buoni per intercessori, che stanno nelle stelle,
vive case loro, e
che le bellezze sue Dio più le mostrò in cielo e nel
sole, come suo trofeo e statua.
Negano gli eccentrici ed epicicli di Tolomeo e di Copernico; affermano
che sia un solo cielo, e che li pianeti da sé si movano ed
alzino, quando al sole si congiungeno per la luce maggiore che riceveno;
e abbassino nelle quadrature e nell'opposizioni per avvicinarsi
a lui. E la luna in congiunzione ed opposizione s'alza per stare
sotto il sole e ricever la luce in questi siti assai che la sublima.
E per questo le stelle, benché vadano sempre di levante in
ponente, nell'alzare paion gir a dietro; e così si veggono,
perché il stellato cielo corre velocemente in ventiquattr'ore,
ed esse ogni dì, camminando meno, restano più a dietro;
talché, sendo passate dal cielo, paion tornare. E quando
son nell'opposito del sole, piglian breve circolo per la bassezza,
ché si inchinano a pigliar luce da lui, e però caminano
inante assai; e quando vanno a par delle stelle fisse, si dicon
stazionari; quando più veloci, retrogradi, secondo li volgari
astrologi; e quando meno, diretti. Ma la luna, tardissima e in congiunzione
ed
opposizione, non par tornare, ma solo avanzare inanti poco, perché
il primo cielo non è tanto più di lei veloce allora
c'ha lume assai o di sopra o di sotto, onde non par retrograda,
ma solo tarda indietro e veloce inanti. E così si vede che
né epicicli, né eccentrici ci voleno a farli alzare
e retrocedere. Vero è ch'in alcune parti del mondo han consenso
con le cose sopracelesti, e si fermano, e però diconsi alzar
in eccentrico.
Del sole poi rendono la causa fisica, che nel settentrione s'alza
per contrastar la terra, dove essa prese forza, mentre esso scorse
nel merigge, quando fu il principio del mondo. Talché in
settembre bisogna dire che sia stato fatto il mondo, come gli Ebrei
e Caldei antiqui, non li moderni, escogitaro: e così, alzando
per rifar il suo, sta più giorni in settentrione
che in austro, e par salire in eccentrico.
Tengono dui princìpi fisici: il sole padre e la terra madre;
e l'aere essere cielo impuro, e 'l fuoco venir dal sole, e 'l mar
essere sudore della terra liquefatta dal sole e unir l'aere con
la terra, come il sangue lo spirito col corpo umano; e 'l mondo
essere animal grande, e noi star intra lui, come i vermi nel nostro
corpo; e però noi appartenemo alla providenza di Dio, e non
del mondo e delle stelle, perché rispetto a loro siamo casuali;
ma rispetto a Dio, di cui essi son stromenti, siamo antevisti e
provisti; però a Dio solo avemo l'obligo di signore, di padre
e di tutto.
Tengono per cosa certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni,
morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito. Ma li luoghi
delle pene e premi non l'han tanto per certi; ma assai ragionevole
pare che sia il cielo e i luochi sotterranei. Stanno anche molto
curiosi di sapere se queste sono eterne o no. Di più son
certi che vi siano angeli buoni e tristi, come avviene tra gli uomini,
ma quel che sarà di loro aspettano avviso dal cielo.
Stanno in dubbio se ci siano altri mondi fuori di questo, ma stimano
pazzia dir che non ci sia niente, perché il niente né
dentro né fuori del mondo è, e Dio, infinito ente,
non comporta il niente seco.
Fanno metafisici princìpi delle cose l'ente, ch'è
Dio, e 'l niente, ch'è il mancamento dell'essere, come condizione
senza cui nulla si fa: perché non se faria si fosse, dunque
non era quel che si fa. Dal correre al niente nasce il male e 'l
peccato; però il peccatore si dice annichilarsi e il peccato
ha causa deficiente, non efficiente. La deficienza è il medesimo
che mancanza,
cioè o di potere o di sapere o di volere, e in questo ultimo
metteno il peccato. Perché chi può e sa ben fare,
deve volere, perché la volontà nasce da loro, ma non
~e contra~. Qui ti stupisci ch'adorano Dio in Trinitate, dicendo
ch'è somma Possanza, da cui procede somma Sapienza, e d'essi
entrambi, sommo Amore. Ma non conosceno le persone distinte e nominate
al modo nostro, perché non ebbero revelazione, ma sanno ch'in
Dio ci è processione e relazione di sé a sé;
e così tutte cose compongono di possanza, sapienza ed amore,
in quanto han l'essere; d'impotenza, insipienza e disamore, in quanto
pendeno dal non essere. E per quelle meritano, per queste peccano,
o di peccato di natura nelli primi, o d'arte in tutti tre. E
così la natura particolare pecca nel far mostri per impotenza
o ignoranza.
Ma tutte queste cose son intese da Dio potentissimo, sapientissimo
ed ottimo, onde in lui nullo ente pecca e fuor di lui sì;
ma non si va fuor di lui, se non per noi, non per lui, perché
in noi la deficienza è, in lui l'efficienza. Onde il peccare
è atto di Dio, in quanto ha essere ed efficienza; ma in quanto
ha non essere e deficienza, nel che consiste la quidità d'esso
peccare è in noi, ch'al non essere e disordine decliniamo.
Osp. Oh, come sono arguti!
Gen. S'io avesse tenuto a mente, e non avesse pressa e paura, io
ti sfondacaria gran cose; ma perdo la nave, se non mi parto.
Osp. Per tua fé, dimmi questo solo: che dicono del peccato
d'Adamo?
Gen. Essi confessano che nel mondo ci sia gran corruttela, e che
gli uomini si reggono follemente e non con ragione; e che i buoni
pateno e i tristi reggono; benché chiamano infelicità
quella loro, perché è annichilirsi il mostrarsi quel
che non sei, cioè d'esser re, d'essere buono, d'esser savio,
e non esser in verità. Dal che argomentano che ci sia stato
gran scompiglio nelle cose umane, e stavano per dire con Platone,
che li cieli prima giravano dall'occaso, là dove mo è
il levante, e poi variano. Dissero anco che può essere che
governi qualche inferior Virtù, e la prima lo permetta, ma
questo pur stimano pazzia. Più pazzia è dire che prima
resse Saturno bene, e poi Giove, e poi gli altri pianeti; ma confessano
che l'età del mondo succedono secondo l'ordine di pianeti,
e credeno che la mutanza degli assidi ogni mille anni o mille seicento
variano il mondo. E questa nostra età par che sia di Mercurio,
si bene le congiunzioni magne l'intravariano, e l'anomalie han gran
forza fatale.
Finalmente dicono ch'è felice il cristiano, che si contenta
di credere che sia avvenuto per il peccato d'Adamo tanto scompiglio,
e credono che dai padri a' figli corre il male più della
pena che della colpa. Ma dai figli al padre torna la colpa, perché
trascuraro la generazione, la fecero fuor di tempo e luoco, in peccato
e senza scelta di genitori, e trascuraro l'educazione, ché
mal l'indottrinaro. Però essi attendeno assai a questi due
punti, generazione ed educazione; e dicono che la pena e la colpa
redonda alla città, tanto de' figli, quanto de' padri; però
non si vedeno bene e par che il mondo si regga a caso. Ma chi mira
la costruzione del mondo, l'anatomia dell'uomo (come essi fan de'
condannati a morte; anatomizzandoli) e delle bestie e delle piante,
e gli usi delle parti e particelle loro, è forzato a confessare
la providenza di Dio ad alta voce. Però si deve l'uomo molto
dedicare alla vera religione, ed onorar l'autor suo; e questo non
può ben fare chi non investiga l'opere sue e non attende
a ben filosofare, e chi non osserva le sue leggi sante: "Quel
che non vuoi per te non far ad altri, e quel che vuoi per te fa'
tu il medesimo." Dal che ne segue, che si dai figli e dalle
genti noi onor cercamo, alli quali poco damo, assai più dovemo
noi a Dio, da cui tutto ricevemo, in tutto siamo e per tutto. Sia
sempre lodato.
Osp. Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto
vicini al cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale
si non i sacramenti, io cavo argumento di questa relazione che la
vera legge è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà
signora del mondo. E che però gli Spagnuoli trovaro il resto
del mondo, benché il primo trovatore fu il Colombo vostro
genovese, per unirlo tutto ad una legge; e questi filosofi saran
testimoni della verità, eletti da Dio. E vedo che noi non
sappiamo
quel che facemo, ma siamo instromenti di Dio. Quelli vanno per avarizia
di danari cercando nuovi paesi, ma Dio intende più alto fine.
Il sole cerca strugger la terra, non far piante ed uomini; ma Dio
si serve di loro in questo. Sia laudato.
Gen. Oh, se sapessi che cosa dicono per astrologia e per l'istessi
profeti nostri ed ebrei e d'altre genti di questo secolo nostro,
c'ha più storia in cento anni che non ebbe il mondo in quattro
mila; e più libri si fecero in questi cento che in cinque
mila: e dell'invenzioni stupende della calamita e stampe ed archibugi,
gran segni dell'union del mondo; e come, stando nella
triplicità quarta l'asside di Mercurio a tempo che le congiunzioni
magne si faceano in Cancro, fece queste cose inventare per la Luna
e Marte, che in quel segno valeno al navigar novo, novi regni e
nove armi. Ma entrando l'asside di Saturno in Capricorno, e di Mercurio
in Sagittario, e di Marte in Vergine, e le congiunzioni magne tornando
alla triplicità prima dopo
l'apparizion della stella nova in Cassiopea, sarà grande
monarchia nova, e di leggi riforma e d'arti, e profeti e rinovazione.
E dicono che a' cristiani questo apporterà grand'utile; ma
prima si svelle e monda, poi s'edifica e pianta.
Abbi pazienza, che ho da fare.
Questo sappi, c'han trovato l'arte del volare, che sola manca al
mondo, ed aspettano un occhiale di veder le stelle occulte ed un
oricchiale d'udir l'armonia delli moti di pianeti.
Osp. Oh! oh! oh! mi piace. Ma Cancro è segno feminile di
Venere e di Luna, e che può far di bene?
Gen. Essi dicono che la femina apporta fecondità di cose
in cielo, e virtù manco gagliarda rispetto a noi aver dominio.
Onde si vede che in questo secolo regnaro le donne, come l'Amazoni
tra la Nubbia e 'l Monopotapa, e tra gli Europei la Rossa in Turchia,
la Bona in Polonia, Maria in Ongheria, Elisabetta in Inghilterra,
Catarina in Francia, Margherita in Fiandra, la Bianca in Toscana,
Maria in Scozia, Camilla in Roma ed Isabella in Spagna, inventrice
del mondo novo. E 'l poeta di questo secolo incominciò dalle
donne dicendo: "Le donne, i cavalier, l'armi e l'amori."
E tutti son maledici li poeti d'ogge per Marte; e per Venere e per
la Luna parlano di bardascismo e puttanesmo. E gli uomini si effemminano
e si chiamano "Vossignoria"; ed in Africa, dove regna
Cancro, oltre l'Amazoni, ci sono in Fez e Marocco li bordelli degli
effeminati publici, e mille sporchezze.
Non però restò, per esser tropico segno Cancro ed
esaltazion di Giove ed apogìo del Sole e di Marte trigono,
sì come per la Luna e Marte e Venere ha fatto la nova invenzion
del mondo e la stupenda maniera di girar tutta la terra e l'imperio
donnesco, e per Mercurio e Marte e Giove le stampe ed archibugi,
di non far anche de leggi gran mutamento. Ché del mondo nono
e in
tutte le marine d'Africa e Asia australi è entrato il cristianesimo
per Giove e Sole, ed in Africa la legge del Seriffo per la Luna,
e per Marte in Persia quella d'Alle, renovata dal Sofì, con
mutarsi imperio in tutte quelle parti ed in Tartaria. Ma in Germania,
Francia ed Inghilterra entrò l'eresia per esser esse a Marte
ed alla Luna inchinate; e Spagna per Giove ed Italia per il Sole,
a cui sottostanno, per Sagittario e Leone, segni loro, restaro nella
bellezza della legge cristiana pura. E quante cose saran più
di mo inanzi, e quanto imparai da questi savi circa la mutazion
dell'assidi de' pianeti e dell'eccentricità e solstizi ed
equinozi ed obliquitati, e poli variati e confuse figure nello spazio
immenso; e del simbolo c'hanno le cose nostrali con quelle di fuori
del mondo; e quanto seque di mutamento dopo la congiunzion magna
e l'eclissi, che sequeno dopo la congiunzion magna in
Ariete e Libra, segni equinoziali, con la renovazione dell'anomalie,
faran cose stupende in confirmar il decreto della congiunzion magna
e mutar tutto il mondo e rinovarlo!
Ma per tua fé, non mi trattener più, c'ho da fare.
Sai come sto di pressa.
Un'altra volta.
Questo si sappi, che essi tengon la libertà dell'arbitrio.
E dicono che, se in quaranta ore di tormento un uomo non si lascia
dire quel che si risolve tacere, manco le stelle, che inchinano
con modi lontani, ponno sforzare. Ma perché nel senso soavemente
fan mutanza, chi segue più il senso che la ragione è
soggetto a loro. Onde la costellazione che da Lutero cadavero cavò
vapori infetti, da' Gesuini nostri che furo al suo tempo cavò
odorose esalazioni di virtù, e da Fernando Cortese che promulgò
il cristianesimo in Messico nel medesimo tempo.
Ma di quanto è per sequire presto nel mondo io te 'l dirò
un'altra fiata.
L'eresia è opera sensuale, come dice S. Paolo, e le stelle
nelli sensuali inchinano a quella, nelli razionali alla vera legge
santa della prima Raggione, sempre laudanda. Amen.
Osp. Aspetta, aspetta.
Gen. Non posso, non posso.
NOTA
Tommaso Campanella (1568-1639). Frate domenicano
e filosofo. Autore di
numerosi trattati teologici, filosofici e politici. Contemporaneo
di Giordano Bruno e Galileo Galilei, fu anch'egli perseguitato e
incarcerato dall'Inquisizione.