1 - Che cosa vogliamo.
Noi crediamo che la più gran parte dei mali che affliggono
gli uomini dipende dalla cattiva organizzazione sociale, e che gli
uomini volendo e sapendo, possono distruggerli.
La società attuale è il risultato delle lotte secolari
che gli uomini han combattuto tra di loro. Non comprendendo i vantaggi
che
potevano venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà,
vedendo in ogni altro uomo (salvo al massimo i più vicini
per
vincoli di sangue) un concorrente ed un nemico, han cercato di accaparrare,
ciascun per sé, la più grande quantità di godimenti
possibili, senza curarsi degli interessi degli altri.
Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati
dovevano vincere, ed in vario modo sottoporre ed opprimere i vinti.
Fino a che l'uomo non fu capace di produrre di più di quello
che bastava strettamente al suo mantenimento, i vincitori non potevano
che fugare e massacrare i vinti ed impossessarsi degli alimenti
da essi raccolti.
Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dell'agricoltura
un uomo poté produrre più di ciò che gli occorreva
per vivere, i
vincitori trovarono più conveniente ridurre i vinti in schiavitù
e farli lavorare per loro.
Più tardi, i vincitori si accorsero che era più comodo,
più produttivo e più sicuro sfruttare il lavoro altrui
con un altro sistema: ritenere per sé la proprietà
esclusiva della terra e di tutti i mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente
liberi gli spogliati, i quali poi non avendo mezzi per vivere, erano
costretti a ricorrere ai proprietari ed a lavorare per conto loro,
ai patti che essi volevano.
Così, man mano, attraverso tutta una rete complicatissima
di lotte di ogni specie, invasioni, guerre, ribellioni, repressioni,
concessioni strappate, associazioni di vinti unitisi per la difesa,
e di vincitori unitisi per l'offesa, si è giunti allo stato
attuale della società in cui alcuni detengono ereditariamente
la terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la grande massa degli
uomini, diseredata di tutto, è sfruttata ed oppressa dai
pochi proprietari.
Da questo dipendono lo stato di miseria in cui si trovano generalmente
i lavoratori, e tutti i mali che dalla miseria derivano: ignoranza,
delitti, prostituzione. Da questo, la costituzione di una classe
speciale (governo), la quale, fornita di mezzi materiali di repressione,
ha missione di legalizzare e difendere i proprietari contro le rivendicazioni
dei proletari; e poi si serve della forza che ha, per creare a se
stessa dei privilegi e sottomettere, se può, alla sua supremazia
anche la stessa classe proletaria. Da questo, la costituzione di
un'altra classe speciale (il clero), la quale con una serie di favole
sulla volontà di Dio, sulla vita futura, eccetera, cerca
di indurre gli oppressi a sopportare docilmente l'oppressione, ed
al pari del Governo oltre di fare gli interessi dei proprietari,
fa anche i suoi propri. Da questo, la formazione di una scienza
ufficiale che è, in tutto ciò che può servire
agl'interessi dei dominatori, la negazione della scienza vera. Da
questo, lo spirito patriottico, gli odii di razza, le guerre, e
le paci armate talvolta più disastrose delle guerre stesse.
Da questo, l'amore trasformato in tormento o in turpe mercato. Da
ciò l'odio più o meno larvato, la rivalità,
il sospetto fra tutti gli uomini, l'incertezza e la paura per tutti.
Tale stato di cose noi vogliamo radicalmente cambiare. E poiché
tutti questi mali derivano dalla lotta fra gli uomini, dalla
ricerca del benessere fatta da ciascuno per conto suo e contro tutti,
noi vogliamo rimediarvi sostituendo all'odio l'amore, alla
concorrenza la solidarietà, alla ricerca esclusiva del proprio
benessere la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, alla
oppressione ed all'imposizione la libertà, alla menzogna
religiosa e pseudo-scientifica la verità.
Dunque:
1. Abolizione della proprietà privata della terra, delle
materie prime e degli strumenti di lavoro, perché nessuno
abbia il mezzo di vivere sfruttando il lavoro altrui, e tutti, avendo
garantiti i mezzi per produrre e vivere, siano veramente indipendenti
e possano associarsi agli altri liberamente; per l'interesse comune
e conformemente alle proprie simpatie.
2. Abolizione del Governo e di ogni potere che faccia la legge e
la imponga agli altri: quindi abolizione di monarchie, repubbliche,
parlamenti, eserciti, polizie, magistratura, ed ogni qualsiasi istituzione
dotata di mezzi coercitivi
.
3. Organizzazione della vita sociale per opera di libere associazioni
e federazioni di produttori e consumatori, fatte e
modificate secondo la volontà dei componenti, guidati dalla
scienza e dall'esperienza e liberi da ogni imposizione che non
derivi dalle necessità naturali, a cui ognuno, vinto dal
sentimento stesso della necessità ineluttabile, volontariamente
si
sottomette.
4. Garantiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli
ed a tutti coloro che sono impotenti a provvedere a loro
stessi.
5. Guerra alle religioni ed a tutte le menzogne, anche se si nascondono
sotto il manto della scienza. Istruzione scientifica
per tutti e fino ai gradi più elevati.
6. Guerra alle rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione
delle frontiere: fratellanza fra tutti i popoli.
7. Ricostruzione della famiglia in quel modo che risulterà
dalla pratica dell'amore, libero da ogni vincolo legale, da ogni
oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso.
2 - Vie e mezzi.
Abbiamo esposto a sommi capi qual è lo scopo che vogliamo
raggiungere quale l'ideale pel quale lottiamo.
Ma non basta desiderare una cosa: se si vuole ottenerla davvero
bisogna impiegare i mezzi adatti al suo conseguimento. E questi
mezzi non sono arbitrari, ma derivano, necessariamente, dal fine
cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta; giacché
ingannandosi sulla scelta dei mezzi, non si raggiungerebbe il fine
propostosi, ma un altro, magari opposto che sarebbe conseguenza
naturale, necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino
e sbaglia strada, non va dove vuole, ma dove lo porta la strada
percorsa.
Occorre dunque, dire quali sono i mezzi che, secondo noi, conducono
allo scopo prefissoci, e che noi intendiamo adoperare.
Il nostro ideale non è di quelli il cui conseguimento dipende
dall'individuo considerato isolatamente. Si tratta di cambiare il
modo di vivere in società, di stabilire tra gli uomini rapporti
di amore e solidarietà, di conseguire la pienezza dello sviluppo
materiale, morale e intellettuale, non per un dato partito, ma per
tutti quanti gli esseri umani - e questo non è cosa che si
possa imporre colla forza, ma deve sorgere dalla coscienza illuminata
di ciascuno ed attuarsi mediante il libero consentimento di tutti.
Nostro primo compito quindi deve essere quello di persuadere la
gente.
Bisogna che noi richiamiamo l'attenzione degli uomini sui mali che
soffrono e sulla possibilità di distruggerli. Bisogna che
suscitiamo in ciascuno la simpatia pei mali altrui ed il desiderio
vivo del bene di tutti.
A chi ha fame e freddo noi mostreremo come sarebbe possibile, e
facile, assicurare a tutti la soddisfazione dei bisogni materiali.
A chi è oppresso e vilipeso, noi diremo come si può
vivere felicemente in una società di liberi e uguali; a chi
è tormentato
dall'odio e dal rancore, noi additeremo la via per raggiungere,
amando i propri simili, la pace e la gioia del cuore.
E quando saremo riusciti a far nascere nell'animo degli uomini il
sentimento di ribellione contro i mali ingiusti ed inevitabili di
cui soffre nella società presente, ed a far comprendere quali
sono le cause di questi mali e come dipenda dalla volontà
umana
l'eliminarli; quando avremo ispirato il desiderio vivo, prepotente,
di trasformare la società per il bene di tutti, di coloro
che li han preceduti nella convinzione, si uniranno e vorranno,
e potranno, attuare i comuni ideali.
Sarebbe - lo abbiam già detto - assurdo e in contraddizione
col nostro scopo di voler imporre la libertà, l'amore fra
gli uomini, lo sviluppo integrale di tutte le facoltà umane,
per mezzo della forza. Bisogna dunque contare sulla libera volontà
degli altri, e la sola cosa che possiamo fare è quella di
provocare il formarsi ed il manifestarsi di detta volontà.
Ma sarebbe però ugualmente assurdo e contrario al nostro
scopo l'ammettere che coloro i quali non la pensano come noi c'impediscono
di attuare la nostra volontà, sempre che essa non leda il
loro diritto ad una libertà uguale alla nostra.
Libertà dunque per tutti di propagare ed esperimentare le
proprie idee, senza altro limite che quello che risulta naturalmente
dall'eguale libertà di tutti.
Ma a questo si oppongono - e si oppongono colla forza brutale -
coloro che sono i beneficiarii degli attuali privilegi e dominano
e regolano tutta la vita presente.
Essi hanno in mano tutti i mezzi di produzione; e quindi sopprimono
non solo la possibilità di esperimentare nuovi modi di
convivenza sociale, non solo il diritto dei lavoratori di vivere
liberamente col proprio lavoro, ma anche lo stesso diritto
all'esistenza; ed obbligano chi non è proprietario a lasciarsi
sfruttare ed opprimere se non vuole morire di fame.
Essi hanno polizie, magistrature, eserciti creati appositamente
per difendere i propri privilegi; e perseguitano, incarcerano,
massacrano coloro che vogliono abolire quei privilegi e reclamano
i mezzi di vita e la libertà per tutti.
Gelosi dei loro interessi presenti ed immediati, corrosi dallo spirito
di dominazione, paurosi dell'avvenire, essi, i privilegiati, sono,
generalmente parlando, incapaci di uno slancio generoso, sono incapaci
benanco di una più larga concezione dei loro interessi. E
sarebbe follia sperare ch'essi rinunzino volontariamente alla proprietà
ed al potere, e si adattino ad essere gli eguali di coloro che oggi
tengono sottoposti.
Lasciando da parte l'esperienza storica (la quale dimostra che mai
una classe privilegiata si è spogliata, in tutto o in parte
dei
suoi privilegi, e mai un governo ha abbandonato il potere se non
vi è stato obbligato dalla forza o dalla paura della forza),
bastano i fatti contemporanei per convincere chiunque che la borghesia
ed i governi intendono impiegare la forza materiale per difendersi,
non solo contro l'espropriazione totale, ma anche contro le più
piccole pretese popolari, e son pronti sempre alle più atroci
persecuzioni, ai più sanguinosi massacri.
Al popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella di
opporre la forza alla forza.
Risulta da quanto abbiam detto che noi dobbiamo lavorare, per risvegliare
negli oppressi il desiderio vivo di una radicale
trasformazione sociale, e persuaderli che unendosi, essi hanno la
forza di vincere; dobbiamo propagare il nostro ideale e preparare
le forze morali e materiali necessarie a vincere le forze nemiche,
ed a organizzare la nuova società. E quando avremo la forza
sufficiente dobbiamo, profittando delle circostanze favorevoli o
creandole noi stessi, fare la rivoluzione sociale, abbattendo, colla
forza, il governo; espropriando, colla forza, i proprietari; mettendo
in comune i mezzi di vita e di produzione, ed impedendo che nuovi
governi vengano ad imporre la loro volontà e ad ostacolare
la riorganizzazione sociale fatta direttamente dagli interessati.
Tutto questo però è meno semplice di quello che potrebbe
a prima giunta parere.
Noi abbiamo a che fare cogli uomini quali sono nell'attuale società,
in condizioni morali e materiali disgraziatissime; e
c'inganneremo pensando che basta solo la propaganda per elevarli
a quel grado di sviluppo intellettuale e morale che è necessario
alla attuazione dei nostri ideali.
Tra l'uomo e l'ambiente sociale vi è un'azione reciproca.
Gli uomini fanno la società come essa è e la società
fa gli uomini
come essi sono, e da ciò risulta una specie di circolo vizioso.
Per trasformare la società bisogna trasformare gli uomini
e per trasformare gli uomini bisogna trasformare la società.
La miseria abbrutisce l'uomo e per distruggere la miseria bisogna
che gli uomini abbiano coscienza e volontà. La schiavitù
educa gli uomini ad essere schiavi e per liberarsi dalla schiavitù
v'è bisogno di uomini aspiranti a libertà. L'ignoranza
fa sì che gli uomini non conoscano le cause dei loro mali
e non sappiano rimediarvi, e per distruggere l'ignoranza bisogna
che gli uomini abbiano il tempo ed il modo d'istruirsi.
Il governo abitua la gente a subire la legge ed a credere che la
legge sia necessaria alla società; e per abolire il governo
bisogna che gli uomini siano persuasi della sua inutilità
e del suo danno.
Come uscire da questo circolo vizioso?
Fortunatamente la società attuale non è stata formata
dalla volontà illuminata di una classe dominante, che abbia
potuto
ridurre tutti i dominati a strumenti passivi ed incoscienti dei
suoi interessi. Essa è il risultato di mille lotte intestine,
di mille fattori naturali ed umani agenti casualmente senza criteri
direttivi; e quindi non vi sono divisioni nette né tra gli
individui né tra le classi.
Infinite sono le varietà di condizioni materiali; infiniti
i gradi di sviluppo morale ed intellettuale; e non sempre - diremmo
quasi
molto raramente - il posto che uno occupa in società corrisponde
alle sue facoltà ed alle sue aspirazioni. Spessissimo alcuni
individui cadono in condizioni inferiori a quelle a cui sono abituati,
ed altri, per circostanze estremamente favorevoli,
riescono ad elevarsi a condizioni superiori a quelle in cui sono
nati. Una parte notevole del proletariato è già arrivata
ad uscire dallo stato di miseria assoluta, abbrutente, o non ha
mai potuto esservi ridotta; nessun lavoratore, o quasi nessuno si
trova nello stato di incoscienza completa, di completa acquiescenza
alle condizioni che gli fanno i padroni. E le stesse istituzioni,
quali sono state prodotte dalla storia, contengono delle contraddizioni
organiche che sono come i germi di morte, i quali sviluppandosi
producono la dissoluzione dell'istituzione e la necessità
della trasformazione.
Da ciò la possibilità del progresso; - ma non la possibilità
di portare, per mezzo della propaganda, tutti gli uomini al livello
necessario perché vogliano e facciano l'anarchia, senza un'anteriore
graduale trasformazione dell'ambiente.
Il progresso deve camminare contemporaneamente, parallelamente negli
individui e nell'ambiente; dobbiamo profittare di tutte le possibilità,
di tutte le occasioni che ci lascia l'ambiente attuale, per agire
sugli uomini e sviluppare la loro coscienza ed
i loro desideri; dobbiamo utilizzare tutti i progressi avvenuti
nella coscienza degli uomini per indurli a reclamare ed imporre
quelle maggiori trasformazioni sociali che sono possibili e che
meglio servono ad aprire la via a progressi ulteriori.
Noi non dobbiamo aspettare di poter fare l'anarchia ed intanto limitarci
alla semplice propaganda. Se facessimo così, presto
avremmo esaurito il campo; avremmo convertiti cioè, tutti
quelli che nell'ambiente sono suscettibili di comprendere ed accettare
le nostre idee e la nostra ulteriore propaganda resterebbe sterile;
o se delle trasformazioni d'ambiente elevassero nuovi strati popolari
alla possibilità di ricevere idee nuove, ciò avverrebbe
senza l'opera nostra, forse contro l'opera nostra e quindi con pregiudizio
delle nostre idee.
Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua totalità o
nelle sue frazioni, pretenda, imponga, prenda da sé tutti
i miglioramenti, tutte le libertà che desidera, man mano
che giunge a desiderarle ed ha la forza di imporle; e propagandando
sempre tutto intero il nostro programma e lottando sempre per la
sua attuazione integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere
ed imporre sempre di più fino a che non ha raggiunto l'emancipazione
completa.
3 - La lotta economica.
L'oppressione che, oggi, più direttamente preme sui lavoratori,
e che è la causa principale di tutte le soggezioni morali
e
materiali cui i lavoratori sottostanno, è l'oppressione economica,
vale a dire lo sfruttamento che i padroni e i commercianti
esercitano su di loro, grazie all'accaparramento di tutti i grandi
mezzi di produzione e di scambi.
Per sopprimere radicalmente e senza pericolo di ritorno questa oppressione,
occorre che il popolo tutto sia convinto del diritto che esso ha
all'uso dei mezzi di produzione, e che attui questo suo diritto
primordiale espropriando i detentori del suolo e di tutte la ricchezze
sociali e mettendo questo e queste a disposizione di tutti.
Ma si può ora stesso metter mano a questa espropriazione?
Si può oggi passare direttamente, senza gradi intermedii,
dall'inferno in cui si trova ora il proletariato, al paradiso della
proprietà comune?
I fatti dimostreranno di cosa i lavoratori sono oggi capaci.
Compito nostro è quello di preparare il popolo, moralmente
e materialmente, a questa necessaria espropriazione; e di tentarla
e ritentarla, ogni volta che una scossa rivoluzionaria ce ne presenta
l'occasione, fino al trionfo definitivo. Ma in che modo possiamo
preparare il popolo? In che modo preparare le condizioni che rendano
possibile, non solo il fatto materiale
dell'espropriazione, ma l'utilizzazione a vantaggio di tutti, della
ricchezza comune?
Abbiamo detto antecedentemente che la sola propaganda, parlata o
scritta, è impotente a conquistare alle nostre idee tutta
quanta la grande massa popolare. Occorre una educazione pratica,
la quale sia a volta causa ed effetto di una graduale trasformazione
dell'ambiente. Occorre che a mano a mano che si sviluppano nei lavoratori
il senso di ribellione contro le ingiuste e inutili sofferenze di
cui son vittime, ed il desiderio di migliorare le loro condizioni,
essi, uniti e solidali tra loro, lottini per il conseguimento di
quel che desiderano.
E noi, come anarchici e come lavoratori, dobbiamo provocarli ed
incoraggiarli alla lotta e lottare con loro.
Ma sono possibili, in regime capitalistico, questi miglioramenti?
Sono essi utili, dal punto di vista della futura emancipazione integrale
dei lavoratori?
Qualunque siano i risultati pratici della lotta per i miglioramenti
immediati, l'utilità principale sta nella lotta stessa. Con
essa gli operai imparano ad occuparsi dei loro interessi di classe,
imparano che il padrone ha interessi opposti ai loro e che essi
non possono migliorare le loro condizioni, ed anche meno emanciparsi,
se non unendosi e diventando più forti dei padroni. Se riescono
ad ottenere quello che vogliono, staranno meglio: guadegneranno
di più, lavoreranno meno, avranno più tempo e più
forza per riflettere alle cose che loro interessano, e sentiranno
subito desideri maggiori, bisogni maggiori. Se non riescono, saran
condotti a studiare le cause dell'insuccesso ed a riconoscere la
necessità di maggiore unione, di maggiore energia;
e comprenderanno infine che a vincere sicuramente e definitivamente
occorre distruggere il capitalismo. La causa della
rivoluzione, la causa dell'elevamento morale del lavoratore e della
sua emancipazione non possono che guadagnare dal fatto che i lavoratori
si uniscono e lottano per i loro interessi.
Ma, ancora una volta, è possibile che i lavoratori riescano,
nell'attuale stato di cose, a migliorare realmente le loro condizioni?
Ciò dipende dal concorso di una infinità di circostanze.
Malgrado ciò che dicono alcuni, non esiste una legge naturale
(legge dei salari), la quale determina la parte che va al
lavoratore sul prodotto del suo lavoro: o, se legge si vuol formulare,
essa non potrebbe essere che questa: il salario non può scendere
normalmente al disotto di quel tanto che è necessario alla
vita, né può normalmente salire tanto da non lasciare
nessun profitto al padrone.
E' chiaro che nel primo caso gli operai morrebbero e quindi non
riscuoterebbero più salario, e nel secondo i padroni cesserebbero
di far lavorare e quindi non pagherebbero più salari. Ma
tra questi due estremi impossibili vi sono un'infinità di
gradi, che vanno dalle condizioni miserabili di molti lavoratori
agricoli fino a quelle quasi decenti degli operai dei buoni mestieri
nelle grandi città.
Il salario, la lunghezza della giornata e tutte le altre condizioni
del lavoro sono il risultato della lotta tra padroni e lavoranti.
Quelli cercano di dare ai lavoranti il meno che possono e di farli
lavorare fino a esaurimento completo; questi cercano, o
dovrebbero cercare, di lavorare di meno e guadagnare il più
che possono. Dove i lavoratori si contentano di tutto, o, anche
essendo scontenti, non sanno opporre valida resistenza ai padroni,
sono presto ridotti a condizioni animalesche di vita; dove invece
essi hanno un concetto alquanto elevato del modo come dovrebbero
vivere degli esseri umani, e sanno unirsi e mediante il rifiuto
del lavoro e la minaccia latente o esplicita di rivolta, imporre
rispetto ai padroni, là essi sono trattati in modo relativamente
sopportabile. In modo che può dirsi che il salario dentro
certi
limiti, è quello che l'operaio (non come individuo, s'intende,
ma
come classe) pretende.
Lottando dunque, resistendo contro i padroni, i lavoratori possono
impedire, fino ad un certo punto, che le loro condizioni
peggiorino ed anche ottenere dei miglioramenti reali. E la storia
del movimento operaio ha già dimostrato questa verità.
Bisogna però non esagerare la portata di questa lotta combattuta
tra operai e padroni sul terreno esclusivamente economico. I padroni
possono cedere, e spesso cedono, innanzi alle esigenze operaie energicamente
espresse, fino a quando non si tratti di pretese troppo grosse,
ma quando gli operai incominciassero (ed è urgente che incomincino)
a pretendere un tale trattamento che assorbirebbe tutto il profitto
dei padroni e riuscirebbe così ad una espropriazione indiretta,
è certo che i padroni farebbero appello al governo e cercherebbero
di costringere gli operai a restare nella loro posizione di schiavi
salariati.
Ed anche prima, ben prima che gli operai possono pretendere di ricevere
in compenso del loro lavoro l'equivalente di tutto ciò che
han prodotto, la lotta econimica diventa impotente a continuare
a produrre il miglioramento delle condizioni dei
lavoratori.
Gli operai producono tutto e senza di loro non si può vivere:
quindi sembrerebbe che rifiutando il lavoro essi potessero imporre
tutto ciò che vogliono. Ma l'unione di tutti i lavoratori
anche di un sol mestiere, anche di un sol paese, è difficile
ad ottenere, ed all'unione degli operai si oppone l'unione dei padroni.
Gli operai vivono alla giornata e, se non lavorano, presto mancano
di pane; mentre i padroni dispongono, mediante il denaro, di tutti
i prodotti già accumulati, e quindi possono tranquillamente
aspettare che la fame abbia ridotti a discrezione i loro salariati.
L'invenzione o l'introduzione di nuove macchine rende inutile l'opera
di un gran numero di operai ed accresce il grande esercito dei disoccupati,
che la fame costringe a vendersi a qualunque condizione. La immigrazione
apporta subito nei paesi dove gli operai riescono a star meglio,
delle folle di lavoratori famelici che, volendo o no, offrono ai
padroni il modo di ribassare i salari. E tutti questi fatti, derivanti
necessariamente dal sistema capitalistico, riescono a controbilanciare
il progresso della coscienza e della solidarietà operaia:
spesso camminano più rapidamente di questo progresso e lo
arrestano e lo distruggono. Ed in tutti i casi resta sempre il
fatto primordiale che la produzione, in sistema capitalistico, è
organizzata da ciascun capitalista per il suo profitto individuale
e non già per soddisfare come sarebbe naturale, nel miglior
modo possibile, i bisogni dei lavoratori. Quindi il disordine, lo
sciupio di forze umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori
inutili e dannosi, la disoccupazione, le terre incolte, il poco
uso delle macchine eccetera, tutti mali che non si possono evitare
se non levando ai capitalisti il possesso dei mezzi di lavoro e
quindi la direzione della produzione.
Presto dunque si presenta per gli operai, che intendono emanciparsi
o anche solo migliorare seriamente le loro condizioni,
la necessità di attaccare il governo, il quale, legittimando
il diritto di proprietà e sostenendola colla forza brutale,
costituisce una barriera innanzi al progresso, che bisogna abbattere
colla forza se non si vuole restare indefinitamente nello stato
attuale e peggio.
Dalla lotta economica bisogna passare alla lotta politica, cioè
alla lotta contro il goveno; ed invece di opporre ai milioni dei
capitalisti gli scarsi centesimi a stento accumulati dagli operai,
bisogna opporre ai fucili ed ai cannoni che difendono la
proprietà, quei mezzi migliori che il popolo potrà
trovare, per vincere la forza con la forza.
4 - La lotta politica.
Per lotta politica intendiamo la lotta contro il governo. Governo
è l'insieme di quegli individui che detengono il potere,
comunque acquistato, di far legge ed imporla ai governati, cioè
al pubblico.
Conseguenza dello spirito di dominio e della violenza con cui alcuni
uomini si sono imposti agli altri, esso è nello stesso
tempo creatore e creatura del privilegio e suo difensore naturale.
Erroneamente si dice che il governo compie oggi la funzione di difensore
del capitalismo, ma che abolito il capitalismo esso
diventerebbe rappresentante e gerente degli interessi generali.
Prima di tutto il capitalismo non si potrà distruggere se
non quando i lavoratori, cacciato il governo, prendano possesso
della
ricchezza sociale ed organizzino la produzione e il consumo nell'interesse
di tutti, da loro stessi, senza aspettare l'opera di un governo
il quale, anche a volerlo, non sarebbe capace di farlo.
Ma v'è di più: se il capitalismo fosse distrutto e
si lasciasse sussistere un governo, questo, mediante la concessione
di ogni
sorta di privilegi lo creerebbe di nuovo poiché non potendo
accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente
potente che lo appoggi in cambio della protezione legale e materiale
che ne riceve.
Per conseguenza, non si può abolire il privilegio e stabilire
solidamente e definitivamente la libertà e l'eguaglianza
sociale se non abolendo il governo, non questo o quel governo, ma
l'istituzione stessa del governo.
Però, in questo come in tutti i fatti di interesse generale,
più che in qualunque altro occorre il consenso della generalità:
e
perciò dobbiamo sforzarci di persuadere la gente che il governo
è inutile e dannoso, e che si può vivere meglio senza
governo.
Ma, come abbiamo già ripetuto, la sola propaganda è
impotente a convincere tutti - e se noi volessimo limitarci a predicare
contro il governo, aspettando altrimenti inerti, il giorno in cui
il pubblico sarà convinto della possibilità ed utilità
di abolire
completamente ogni specie di governo, quel giorno non verrebbe mai.
Sempre predicando contro ogni specie di governo, sempre reclamando
la libertà integrale, noi dobbiamo favorire tutte le lotte
per le libertà parziali, convinti che nella lotta s'impara
a lottare e che incominciando a gustare un po' di libertà
si finisce col volerla tutta. Noi dobbiamo sempre essere col popolo,
e quando non riusciamo a fargli pretender molto, cercare che almeno
cominci a pretendere qualche cosa: e dobbiamo sforzarci perché
apprenda, poco o molto che voglia, a volerlo conquistare da sé,
e tenga in odio e in disprezzo chiunque sta o vuole andare al governo.
Poiché il governo tiene oggi il potere di regolare, mediante
le leggi, la vita sociale ed allargare o restringere la libertà
dei
cittadini, noi non potendo ancora strappargli questo potere, dobbiamo
cercare di diminuirglielo e di obbligarlo a farne l'uso
meno dannoso possibile. Ma questo lo dobbiamo fare stando sempre
fuori e contro il governo, premendo su di lui mediante
l'agitazione della piazza minacciando di prendere per forza quello
che si reclama. Mai dobbiamo accettare una qualsiasi funzione legislativa,
sia essa generale o locale, poiché facendo così diminuiremmo
l'efficacia della nostra azione e tradiremmo
l'avvenire della nostra causa.
La lotta contro il governo si risolve, in ultima analisi, in lotta
fisica, materiale.
Il governo fa la legge. Esso dunque deve avere una forza materiale
(esercito e polizia) per imporre la legge, poiché altrimenti
non vi ubbidirebbe che chi vuole ed essa non sarebbe più
legge, ma una semplice proposta che ciascuno è libero di
accettare o di respingere. Ed i governi questa forza l'hanno, e
se ne servono per potere con leggi fortificare il loro dominio e
fare gli interessi delle classi privilegiate, opprimendo e sfruttando
i lavoratori.
Limite all'oppressione del governo è la forza che il popolo
si mostra capace di opporgli.
Vi può essere conflitto aperto o latente, ma conflitto v'è
sempre; poiché il governo non si arresta innanzi il malcontento
ed alla
resistenza popolare se non quando sente il pericolo dell'insurrezione.
Quando il popolo sottostà docilmente alla legge, o la protesta
è debole e platonica, il governo fa i comodi suoi senza curarsi
dei bisogni popolari; quando la protesta diventa viva, insistente,
minacciosa, il governo, secondo che è più o meno illuminato,
cede o reprime. Ma sempre si arriva all'insurrezione, perché
se il governo non cede, il popolo acquista fiducia in sé
e pretende sempre di più, fino a che l'incompatibilità
tra la libertà e l'autorità diventa evidente e scoppia
il conflitto violento.
E' necessario dunque prepararsi moralmente e materialmente perché
allo scoppio della lotta violenta la vittoria resti al popolo.
L'insurrezione vittoriosa è il fatto più efficace
per l'emancipazione popolare, poiché il popolo, scosso il
giogo, diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli crede
migliori, e la distanza che passa tra la legge, sempre in ritardo,
ed il grado di civiltà a cui è arrivata la massa della
popolazione, è varcata d'un salto. L'insurrezione determina
la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi delle forze latenti
accumulate durante la precedente evoluzione.
Tutto sta in ciò che il popolo è capace di volere.
Nelle insurrezioni passate il popolo, inconscio delle ragioni vere
dei suoi mali, ha voluto sempre molto poco, e molto poco ha
conseguito.
Che cosa vorrà nella prossima insurrezione?
Ciò dipende in parte dalla nostra propaganda e dall'energia
che sapremo spiegare.
Noi dovremmo spingere il popolo ad espropriare i proprietari e mettere
in comune la roba, ed organizzare la vita sociale da sé stesso,
mediante associazioni liberamente costituite, senza aspettare gli
ordini di nessuno e rifiutando di nominare o
riconoscere qualsiasi governo, qualsiasi corpo costituito, che sotto
un nome qualsiasi, qualsiasi corpo costituito, che sotto un
nome qualunque (costituente, dittatura, eccetera) si attribuisca,
sia pure a titolo provvisorio, il diritto di far la legge e di
imporre agli altri con la forza la propria volontà.
E se la massa del popolo non risponderà all'appello nostro,
noi dovremo - in nome del diritto che abbiamo di esser liberi anche
se gli altri vogliono restare schiavi e per l'efficacia dell'esempio
- attuare da noi quanto più potremo delle nostre idee, e
non riconoscere il nuovo governo, e mantenere viva la resistenza,
e far sì che la località dove le nostre idee saranno
simpaticamente accolte si costituiscano in comunanze anarchiche,
respingano ogni ingerenza governativa, stabiliscano libere relazioni
con le altre località e pretendano di vivere a modo loro.
Noi dovremo, soprattutto, opporci con tutti i mezzi alla ricostituzione
della polizia e dell'esercito, e profittare dell'occasione propizia
per eccitare i lavoratori delle località non anarchiche a
profittare della mancanza di forza repressiva per imporre quelle
maggiori pretese che a noi riesca indurli ad avere.
E comunque vadano le cose continuare sempre a lottare, senza un
istante di interruzione, contro i proprietari a contro i
governanti avendo sempre in vista la emancipazione completa, economica,
politica e morale di tutta l'umanità.
5 - Conclusione.
Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento
dell'uomo sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini
affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino
tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la
società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli
esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile,
il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per
tutti pane, libertà, amore, scienza.
E per raggiungere questo scopo supremo noi crediamo necessario che
i mezzi di produzione siano a disposizione di tutti, e che nessun
uomo, o gruppo di uomini possa obbligare gli altri a sottostare
alla sua volontà né esercitare la sua influenza altrimenti
che con la forza della ragione e dell'esempio.
Dunque, espropriazione dei detentori del suolo e del capitale a
vantaggio di tutti, abolizione del governo.
Ed aspettando che questo si possa fare: propaganda dell'ideale;
organizzazione delle lotte popolari; lotta continua, pacifica violenta
secondo le circostanze, contro il governo e contro i proprietari
per conquistare quanto più si può di libertà
e di
benessere per tutti.