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Materiali per Operatori del Benessere Immateriale
Il volto e la voce del tempo di Ayres Marques
La Fotografia Terapeutica in Animazione

  La fotografia ha qualcosa a che vedere con la resurrezione.(Roland Barthes)

8. La Fotografia

Per una ragione o per un’altra, tutti abbiamo instaurato un rapporto, più o meno profondo, con la fotografia. La fotografia “è di casa” per tutti quanti. Chi di noi non ha una storia da raccontare su una foto che ci hanno scattato da piccoli, o sulle foto che abbiamo fatto in viaggio o sulle foto che abbiamo visto da qualche parte? È proprio questa familiarità, questo rapporto affettivo (non necessariamente d’amore) instaurato con la fotografia, che può rivelarsi un grande alleato di chi vuole utilizzare la fotografia come strumento di animazione, di riabilitazione o terapeutico.

La familiarità diffusa è sorprendente quando si considera che la fotografia è un’invenzione relativamente recente se la paragoniamo alla musica, alla letteratura, alla pittura, al teatro, che sono espressioni artistiche ancestrali. È stato proprio l’altro ieri, il 19 agosto 1839, all’Accademia delle Arti e Scienze di Parigi, che viene presentata ufficialmente l’invenzione, attribuita a Daguerre, chiamata Fotografia.

Da quell’immagine fissata su una lastra d’argento (il daguerreotipe appunto) del diciannovesimo secolo alla fotografia digitale di oggi c’è una lunga e avventurosa strada di sviluppo tecnologico, della chimica in particolare, che ha avuto tanti protagonisti tra cui George Eastman, fondatore della Kodak alla fine dell’ottocento, che ha contribuito enormemente alla popolarizzazione della fotografia.

Questa strada la si può percorrere anche all’indietro, dal 1839 verso il passato. Facendo un passo indietro incontreremo Nièpce, un incisore francese che ha creato un metodo di incisione con la luce del sole, da lui chiamato “heliographie”, ancora molto più indietro incontreremo Leonardo da Vinci che ha aggiunto gli obiettivi (le lenti) alla già conosciuta macchina da disegnare, contribuendo in modo decisivo allo studio della prospettiva. Possiamo risalire fino ad Aristotele, che è stato il primo a descrivere il fenomeno fisico (ottico) della camera oscura, attraverso l’osservazione di fenomeni naturali: trovandosi in una grotta, ha osservato che l’immagine proveniente dall’esterno passando da un piccolo foro veniva proiettata sulla parete opposta in maniera invertita, proprio come accade all’interno della tradizionale macchina fotografica.

La parola stessa FOTOGRAFIA deriva dal greco: ƒòs,luce, e gràfo, scrivo. Fotografare perciò significa, etimologicamente, scrivere con la luce.

La verità profonda di questa definizione si rivela soprattutto se ricordiamo che la luce in sé è invisibile, ma che rende visibili gli oggetti che la riflettono, i cui significati a loro volta aspettano di essere illuminati dalla “luce della mente”.  

Rimane sempre vero però che il momento cruciale dello sviluppo del processo fotografico non è tanto quello di catturare un’immagine, ma di riuscire a fissarla in modo permanente su una superficie. Fa parte dei desideri archetipici dell’essere umano quello di fermare o di viaggiare avanti e indietro nella dimensione che è sinonimo dell’esistenza stessa: IL TEMPO.

La fotografia ci offre l’illusione di sottrarci alla contingenza di esistere nel flusso inarrestabile del tempo, che va dalla sorgente della vita all’oceano infinito della morte. È come se gli uomini giocassero una partita di calcio contro gli dei e nonostante il risultato finale sia conosciuto fin dall’inizio, ciò non impedisce che si realizzi una bella partita, piena di sorprese e azioni fantasiose. La fotografia sarebbe come un dribbling, non una rete, ma comunque un dribbling sul dio tempo.

In questa partita, tutti possiamo per un momento avere il pallone al piede, quando scattiamo una foto o quando qualcuno ci fotografa, o far parte del pubblico quando guardiamo un’immagine fotografica, o ancora fare l’allenatore quando decidiamo quale foto includere nel nostro album fotografico e quale scartare. Tutti questi ruoli sono impregnati di una carica psicologica, di una forza emotiva che ci può far sentire particolarmente vivi, presenti, partecipi.

La felicità suprema della vita è la convinzione che siamo amati. (Victor Hugo)                                                                                                 

Questa non è una sposa

-         Che simpatica questa Sua foto da sposa, signora Idilia!

-         No, signor Ayres, questa che Lei vede non è una sposa. Io non mi sono sposata col vestito bianco. Non c’erano né soldi né tempo per questo. Il mio matrimonio è stato deciso e celebrato un po’ così, in fretta e fuga.

Io facevo la commessa in una farmacia a Pesaro quando ero fidanzata. Mario, il mio futuro marito, doveva trasferirsi ad Urbino dove lavorava come incisore alla Scuola del Libro.

Io sapevo che se lui andasse a vivere da solo ad Urbino, un bel pezzo d’uomo com’era lui, giovane e focoso in mezzo a tutte quelle ragazze, porterebbe alla rovina il nostro rapporto.

Così non ho avuto dubbi, ho lasciato il mio lavoro, per il grande dispiacere dei padroni della farmacia, che mi volevano tanto bene e che si fidavano tanto di me. Ci siamo sposati con una cerimonia molto semplice, con vestiti normali. Io indossavo un cappotto elegante che mi aveva prestato la mia ex-padrona e lui il suo completo da festa. Ecco la foto del nostro matrimonio.

Ci siamo sposati e siamo andati a vivere insieme ad Urbino.

Siamo stati felici io e Mario, nonostante le difficoltà della vita. Sì, perché lavorava soltanto lui. Io facevo la casalinga. Abbiamo sempre vissuto in affitto e gli affitti ad Urbino sono sempre stati cari. Ma io amministravo bene la casa. Risparmiavo in tutto, e così riuscivamo a mettere da parte un pochettino di soldi che ci ha permesso, piano piano, di comprare tutti i mobili della casa.

Prima che Mario andasse in pensione avevamo comprato pure una macchina! Nei fine settimana andavamo in gita con gli amici nei paesi vicini.

Ah, quando penso che proprio nel periodo che Mario è andato in pensione e che potevamo veramente goderci la vita fino in fondo, spensieratamente, lui si è ammalato. Povero Mario, come mi manchi!

Era un fumatore accanito. Ma quando il medico gli ha detto che se continuasse a fumare moriva, lui ha smesso il giorno stesso. Penso che lo abbia fatto non per lui, ma per me. Sul comò, c’era ancora un pacchetto con delle sigarette e l’accendino vicino. Ho preso tutto quanto per buttarli via, ma lui me lo ha impedito. Mi ha chiesto di lasciarli lì, che aveva bisogno di vederli. Il pacchetto e l’accendino sono rimasti parecchio tempo lì sul comò. Ogni tanto ci riprovavo a buttarli via, ma lui me lo impediva sempre.

Un giorno, un paio di anni più tardi, lui mi ha detto: “Se vuoi, puoi buttare via quel pacchetto”. Ah, le sigarette, se non fosse per loro, Mario sarebbe forse ancora qui, vicino a me.

(pausa, pianto)

-         Ma signora Idilia, e quel vestito da sposa?

-         Sì, è vero, il vestito. Ecco, alcuni anni dopo il mio matrimonio, si è sposata mia sorella più piccola, Anna. I tempi erano un po’ migliorati. Tutta la famiglia si è mobilizzata per fare una grande cerimonia. Era una soddisfazione per tutti noi. Almeno Anna, il nostro gioiello, doveva sposarsi alla grande. E così è stato. Dopo la cerimonia, prima di partire per la luna di miele, mentre l’aiutavo con i preparativi per il viaggio, Anna, un po’ così per scherzo, ha detto: “Ma perché non ti metti il mio vestito da sposa che ti facciamo una foto?”

Mi sono vestita subito con l’aiuto di Anna. Era come un gioco da bambine, come facevamo da piccole. L’allegria allora era completa. Mi ero tolta la voglia nascosta di indossare per una volta il vestito da sposa, anche se solo per puro gioco e Anna era ancora più felice di me. Ah, in questa vita, signor Ayres, non si può essere felici da soli. La felicità si moltiplica quando viene condivisa con chi si ama.               

Dialogo sulla luce

Dialogo sulla luce, del monaco indiano SANKARA, uno dei massimi filosofi e mistici dell’India, vissuto a cavallo del secolo VII e VIII.

-         Che è la luce per te?

-         Di giorno il sole, di notte le fiaccole, e così via.

-         Sia pure. Ma quale luce illumina come il vederla? La luce del sole? Dimmi.

-         L’occhio.

-         E quando esso è chiuso?

-         La mente.

-         E la mente da chi è veduta?

-         Da me.

-         Tu sei dunque la luce suprema.

-         Quella io sono signore.

Attività

Raccogli le vecchie foto della tua famiglia e scopri le storie che queste foto “raccontano”.