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«Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi
e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili
a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce».
Don Milani priore di Barbiana studia da profeta. Lo dice
a volte con l'ironia ed il sarcasmo che gli sono consueti.
E lo dice da profeta moderno, anche con il suo linguaggio
che per forza e immediatezza non può non ricordare i profeti
della Bibbia. Isaia in testa.
Quella di don Lorenzo Milani, prete ortodosso fino allo
spasimo, fino alle lacrime, è una vera e propria strategia,
un metodo: sulle orme di Socrate e di Cristo, vuol turbare
le coscienze, condurle alla riflessione critica.
«Io al mio popolo gli ho tolto la pace. Non ho seminato
che contrasti, discussioni, contrapposti schieramenti di
pensiero» scrive, illustrando il suo metodo pastorale.
«Vedi, con la dolcezza - spiega a un altro prete, don Renzo
Rossi - raggiungerei soltanto quelli che non hanno bisogno
delle mie osservazioni. Con la durezza invece ho la speranza
di sconquassare quelli, in buona fede, che non potrei raggiungere.
Chi riceve uno schiaffo, se è in mala fede, reagisce male,
si ribella. Se invece è in buona fede, viene scosso, e poi
è portato a riflettere. Con la dolcezza lo lascerei nell'illusione!».
Sulla sua figura di profeta il priore di Barbiana scherza
con una strana drammaticità. «...ho cambiato malattia -
fa sapere in una lettera al suo avvocato, Adolfo Gatti -.
Contro ogni regola scientifica son passato dal linfogranuloma
alla leucemia mieloide. Due malattie altrettanto inguaribili
ma l'una e l'altra dotate dell'unica qualità che mi sta
a cuore cioè di non richiedere operazioni. Perché io sono
un profeta e un eroe, ma fino alle estrazioni dentarie escluse
(lo sa che in antico dicevano "lo giuro sui miei genitori
ecc. ecc. fino al rogo escluso"?)». Ironia dunque.
Ma le condizioni di vita, relegato tra i monti del Mugello
a Barbiana; il modo di esprimersi sempre diretto, chiaro
e dirompente; la capacità di vedere al di là della superficie
del reale; la terribile malattia, che lo porterà alla morte
giovane, ne fanno un vero profeta. E tra gli scritti proprio
la Risposta ai cappellani militari e la Lettera
ai giudici sono i più profetici, sia sul piano stilistico
che dei contenuti.
Un esempio sul piano stilistico: «Ma se ci dite che il
rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio
e il comandamento del Signore è "estraneo al comandamento
cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito
siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate
le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza
degli obiettori, almeno tacete!».
Un altro esempio misto.
«Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani
e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non
ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati
e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro.
Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri».
Non è il «Guai a voi...» di Isaia. Ma il tono è quello.
La potenza della parola è quella.
Per il contenuto: «...la guerra difensiva non esiste più.
Allora non esiste più una "guerra giusta" né per
la Chiesa né per la Costituzione». Sono solo tre esempi
e se ne potrebbero fare decine.
I due scritti sono profetici anche per altre due caratteristiche.
Si parte infatti da un caso circoscritto, i giovani obiettori
al servizio militare finiti in carcere negli anni Sessanta,
per affrontare il vero problema che è questione di principio
essenziale: la libertà di coscienza. Si arriva a dire ai
giovani «...che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza
non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni...».
E lo afferma un prete che ha fatto dell'obbedienza alla
Chiesa dei sacramenti, della remissione dei peccati, una
ragione di vita.
L'altra caratteristica è questo avere un interlocutore
non generico, un interlocutore che spesso detiene il potere.
Non a caso davanti a don Milani c'è sempre un uomo in carne
ed ossa, qui ed ora, a cui ciò che scrive è indirizzato.
La maggior parte degli scritti e delle opere sono, forse
proprio per questo, sotto forma di lettera. Quell'apparente
anomalia che può sembrare Esperienze pastorali, in
realtà, ne contiene almeno tre formalmente stilate: Lettera
aperta a un predicatore, Lettera dall'oltretomba,
Lettera a don Piero. Insomma la forza della parola di
don Milani è proprio in questo ragionare in concreto per
arrivare ai princìpi. E la lettera è la forma più adatta
per questa operazione.
Per capire la potenza della parola milaniana che muove
le coscienze, basta fare un confronto tra la sua Risposta
ai cappellani militari e la Lettera aperta ai cappellani
militari di don Bruno Borghi.
La lettera di don Borghi, un prete operaio fiorentino di
grande caratura, non smuove le coscienze, non suscita la
polemica feroce. È una fredda e asettica riflessione intellettuale.
Viene pubblicata, pur essendo stata diffusa prima, solo
con gli scritti di don Milani.
Il priore sa la potenza della propria parola e fa tutto
in piena coscienza: «Sto scrivendo - confida alla madre
- una lettera ai cappellani militari (...). Spero di tirarmi
addosso tutte le grane possibili». E le grane non mancano:
lettere minatorie, insulti, attacchi sui giornali fascisti,
la minaccia di sospensione a divinis, e poi la denuncia
e il processo. La condanna dopo la morte.
La parola potente e dirompente di don Milani ha però un
fine ultimo ulteriore: «È per me il processo può essere
solo una nuova cattedra per fare scuola...» scrive. In buona
sostanza l'obiezione di coscienza è solo un appiglio per
continuare ad essere maestro di libertà per quelle
poche decine di creature per cui aveva «perso la testa»:
i piccoli alunni della scuola di Barbiana. Ancora una lezione
mirata, che proprio per questo può diventare universale.
Va detta una parola sulla violenza di don Milani.
È una violenza verbale che nasce da una miscela esplosiva:
un pensiero forte, tagliente e sovversivo; la certezza,
come credente e cattolico ortodosso, che la verità si mostra;
il gusto ironico del paradosso e dell'iperbole, che spesso
non è stato inteso. L'ingrediente più pericoloso è l'idea
che la verità è come la luce e si mostra. Chi non la vede
è quindi in malafede, è accecato dalla propria malvagità.
Un errore simile a quello dei grandi profeti. Fortunatamente
don Milani, come Gandhi e King, attenua l'errore professandosi
nonviolento. L'errore teorico è bloccato nella prassi.
D'altra parte non si può chiedere a un profeta di leggere
Stuart Mill o Karl Popper.
Carlo Galeotti
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