CAPITOLO 2 / Indice
/ v. Capp. 1
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PARABOLA 2
Una ragazza di Berkeley raccontò una storia del Parco del Popolo.
Mentre alcuni stavano sistemandolo, altri presero pale
e cominciarono a scavare un buco. In realtà non si sapeva perché
lo stessero facendo però tutti i giorni continuavano a farlo.
Intanto, altre persone si fermavano a scavare per un po' e il buco diventava
vieppiù profondo. Queste persone non riconoscevano alcun tipo
di leadership. All'inizio
pensarono di fare una fontana, ma il buco diventava troppo grande per
una fontana. Allora pensarono che sarebbe diventato un laghetto per
i bambini, ma il buco diventò troppo grande per un laghetto.
Pensarono, quindi, che una piscina sarebbe stata una gran bella cosa,
ma pericolosa senza bagnini o senza un recinto tutt'attorno. Però
continuarono a scavare. Un giorno arrivò un tipo, raccolse una
pala e cominciò a rovesciare immondizia nel buco. « Heilà,
che cosa credi di fare? » gridò adirato uno, spalando fuori
l'immondizia.
« A tè piace spalare l'immondizia fuori dal buco, a me
va di sbadilarla dentro. Io faccio i fatti miei, né più
né meno come te. »
(Glenda Cimino, da Venceremos Brigade)
METASTASI SOCIALE ovvero LA DIFFUSIONE DEL TERMINE
Se di tutto desideriamo una conoscenza pura dobbiamo abbandonare il
corpo
Platone
Separata dal corpo, la vita è illusione
Alexander Lowen
Libertà è soltanto un altro termine per non lasciar perdere
nulla
Kristofferson e Poster
L'immondizia è stata definita materia nel posto sbagliato. Analogamente,
il veleno può essere definito una sostanza ingerita in un periodo
troppo breve e in quantità eccessiva. Stiamo appena cominciando
a risvegliarci da un tipo di follia, sotto l'influenza della quale si
è ritenuto che la crescita fosse una virtù magica non
soggetta a questa definizione. Nessun ammontare di essa, nessuna velocità
erano considerate troppo grandi. L'importanza dell'equilibrio e dell
armonia, che i popoli del mondo avevano, per il passato, riconociuta
con riverenza a ammirazione, è stata dimenticata in questo secolo
di delirio. L' uomo occidentale, invece, ha venerato il disquilibrio
e l'ipertrofia. « Massimale » e « ottimale »
sono diventati termini intercambiabili. La crescita è stata considerata
una benedizione incontaminata ad un livello tale che il termine è
stato perfino applicato ai miglioramenti del carattere personale. «Cambiare
e crescere» sono assurti a imperativi della classe agiata americana,
suscitando lo spettro di una razza di mostri psichici oppressivi. Nel
mondo organico, ipertrofia è patologia. La crescita è
considerata
sana soltanto quando il tasso di cambiamento è, a lunga scadenza,
decelerativo - essendo generalmente stimato sfavorevole un tasso accelerativo.
Per esempio, un bambino umano cresce di più durante il primo
anno di vita. Se ogni anno crescesse a ritmo più elevato, la
mostruosità subirebbe un collasso da tensione gravitazionale
prima che egli raggiungesse l'età scolare. Malgrado ciò,
la crescita del cambiamento tecnologico e dei suoi correlati: scienza,
sapere, produzione di materiali lavorati, legislazione, popolazione
e così via, è considerata salutare anche se costante o
accelerativa.
In un qualsiasi altro contesto, il tipo di crescita subito dalla cultura
occidentale negli ultimi tre secoli dovrebbe essere considerato segno
di evidente malfunzione. La crescita sana ha un ritmo differente - non
assorbe o distrugge tutto ciò che vive intorno ad essa. Sono
le cellule cancerose che crescono e si riproducono rapidamente, con
totale disprezzo della loro connessione con le cellule circostanti.
Da questo punto di vista, la tecnologia dovrebbe essere considerata
un cancro della cultura umana, la cultura occidentale un cancro della
specie umana e la specie umana un cancro della vita terrestre - un cancro
da doversi, alla fine, trattare contemporaneamente con radiazioni e
chinurgia radicale.
Speriamo che si possa trovare un'altra cura. Almeno, il problema è
già stato diagnosticato in un rapporto fatto dal Club di Roma
intitolato "I limiti alla crescita", in cui si riconosce,
finalmente, che l'unico risultato concepibile dell'attuale filosofia
di costante incremento economico è la catastrofe ecologica. In
questa sede, il nostro compito è di capire l'origine dell'illusione
dell'incremento, come esso si sia impossessato di noi con tanta virulenza,
come si ramifichi attraverso i nostri processi mentali e come sradicarlo.
Ormai, siamo avvezzi ad ascoltare illustrazioni di incremento patologico
citate con orgoglio e timore, soltanto recentemente sfumate di allarme:
che l'incremento scientifico raddoppia ogni dieci anni, che metà
di tutta l'energia consumata negli ultimi due millenni è stata
consumata nell'ultimo secolo, che il ritmo dell'evoluzione umana è
100.000 volte più rapido dell'evoluzione preumana, che la popolazione
urbana della terra raddoppierà nei prossimi undici anni, che
una teen-ager civile è circondata da due volte tanti beni di
recente manufatti di quanto essa non lo fosse da bambina, che il 90
per cento di tutti gli scienziati mai vissuti è vivente adesso,
e così via. Ma, per esempio, perché gli umani stanno consumando
tutta questa energia? Qual'è il movente che sta dietro a questa
attività frenetica? Quando gli animali diventano così
irrequieti si pensa che siano sottoposti a un certo tipo di tensione.
In questi tre capitoli tenterò di evidenziare alcuni dei fattoriresponsabili
di questa crescita patologica. È possibile che, a volte, le mie
osservazioni appaiano insinuare come la specie sia stata condannata
fin dall'inizio. Eppure per centinaia di migliaia di anni gli umani
sono stati soltanto potenzialmente distruttivi. Si può dire che
la malattia fosse presente, ma soltanto nello stesso senso in cui i
batteri sono sempre presenti nel corpo. René Dubos osserva che
« la gravità di una malattia microbica o tossica è
determinata più dall'intensità della risposta del corpo
che dalle caratteristiche del microbo o delle tossine presenti.»
Analogamente, David Bakan, sulla scia di Selye e Freud, considera che
l'organismo è più in stato di pericolo a causa delle sue
reazioni adattive che a causa di agenti esterni.
Noi ci troviamo nella fase acuta di una malattia virulenta e pur rivestendo
un qualche valore il rintracciare le sue fonti ultime, è assai
più importante indagare su come essa abbia preso il sopravvento.
La nostra specie è sempre stata vulnerabile alla malattia. Eppure
soltanto una porzione del genere umano ne è caduta vittima, mentre
altre stanno tuttora opponendo resistenza, anche se con successo in
rapido decremento.
La vulnerabilità è, si, deprimente, ma l'esistenza di
un tessuto sano è incoraggiante. Abbiamo, pertanto, bisogno di
comprendere sia la nostra intrinseca vulnerabilità alla malattia,
sia la natura delle forze che ne facilitano la sua forma acuta o che
resistono ad essa.
Nel trattare della nostra società', mi accorgo di fare frequente
uso della metafora cancro. E' difficile considerare la recente esplosione
tecnologica, con la sua straordinaria irrilevanza proliferativa, qualche
cosa di differente dal neoplasma. Ma l'analogia è ancora più
profonda: "E' stato dimostrato che , se i tessuti normali vengono
fatti crescere su una superficie di vetro, le cellule interrompono la
crescita quando si toccano reciprocamente. Le cellule del cancro, invece,
se analogamente fatte crescere su di una superficie di vetro proseguono
la crescita senza alcun impedimento da contatto cellulare (Bakan). Le
ricerche sulle cellule del cancro sembrano suggerire che quel certo
tipo di comunicazione reciprocamente limitante, presente nelle cellule
normali, sia debole o assente nelle cellule del cancro. Come se queste
ultime fossero state massicciamente indottrinate dall'ideologia dell'individualismo
e dell'acquisizione personale.
Immaginiamoci una massa di tessuto canceroso, le cui cellule fruiscono
di coscienza. Non sarebbero esse, forse, colme di sentimenti autocongratulatori
per la loro dipendenza, il livello più avanzato di sviluppo,
il tasso rapido di crescita? Non sorriderebbero delle loro cugine più
primitive confinate ad un essenza più statica e priva di libertà,
con aspirazioni limitate, soggette a pesante costrizione di gruppo e,
ovviamente, impedite a procedere verso un qualsiasi luogo? Non gioirebbero,
forse, per il controllo esercitato sul proprio destino e non si rallegrerebbero
della conversione di sempre più cellule come di una prova convincente
della validità del proprio modo di vivere? In effetti, perché
non dovrebbero sentirsi vieppiù trionfanti fino a che l'organismo
di cui si sono nutrite non spira?
Però, sarebbe grave errore immaginare che la nostra tendenza
ad abbracciare anche con maggior fervore la malattia sia pura questione
di arroganza. La continua esteriorizzazione della nostra malattia provoca
un effetto spirale. Quanto più creiamo un ambiente ammalato,
tanto più diventiamo frenetici nel tentativo di fuggirlo. Ed
ogni movimento al servizio della fuga ci porta sempre più lontano
dallo stato di salute verso il quale, così disperatamente, cerchiamo
di tornare. Toffler, per esempio, scorge più chiaramente di chiunque
altro l'effetto devastante del nostro frenetico schema di cambiamento
ma, malgrado ciò, esige un aumento della nostra adattabilità
ad esso, garantendo, in tal modo, un'ulteriore accelerazione del cambiamento
stesso. Egli desidera « liberare » gli esseri umani da quelle
reazioni spontanee che tendono a rallentare il tasso di cambiamento
o ad interferire con esso. In altre parole, desidera che ci adattiamo
ad un ambiente nocivo.
Ora, l'adattamento ad un ambiente nocivo non offre soltanto un feedback
positivo all'ambiente stesso, ma, altresì, riduce la capacità
di rispondere ad un ambiente buono. Il bimbo piccolo, lasciato per settimane
in ospedale, conserva uno stato psichicamente sano finché continua
a piangere disperatamente perché vuole i genitori. Il danno psichico
comincia dal momento in cui egli si dispone ad una pacifica indifferenza,
assumendo quello che il compiaciuto personale ospedaliere chiama «
buon adattamento». Le conseguenze del prolungato adattamento a
questo ambiente impersonale e, in un certo modo, inumano, sono superficialità
emotiva, incapacità a creare attaccamenti duraturi e depressività
cronica.
Analogamente, recenti ricerche sulla schizofrenia indicano come la malattia
del paziente possa considerarsi un adattamento ragionevole ad un sistema
di comunicazione familiare abbondantemente malfunzionante.
In effetti, non sarebbe fuori luogo dire che tutte le malattie psicologiche,
fisiologiche e societarie - sono un adattamento a un ambiente nocivo.
Se ciò è vero, appare evidente la difficoltà a
recuperare la salute quando la malattia viene esteriorizzata. L'ambiente
non può migliorare dacché la malattia è continuamente
controreazionata in esso.Ulteriore adattamento crea ulteriore malattia
che peggiora l'ambiente, il quale, poi, ha bisogno di un adattamento
ancora più esagerato, e così via. Gli esempi più
ovvi di questo processo comprendono fatuità come l'adattarsi
alla sovrappopolazione imparando a vivere sotto il mare o l'adattarsi
all'eccesso di veicoli costruendo più strade. Ma esistono altri
esempi che, personalmente, trovo più penosi. Nei secoli scorsi,
la ricerca di giustizia sociale si basava, in gran parte, su principi
di conformità, obiettività, eguaglianza, imparzialità,
e cosi via. Nella lotta contro l'oppressione e lo sfruttamento, una
delle armi più valide fu quella di smascherare il fatto che due
persone provenienti da backgrounds diversi non venissero trattate ugualmente
di fronte alla legge, o che disponessero di possibilità disuguali,
o che ricevessero risposte differenti allo stesso comportamento. Un'altra
fu di dimostrare come, in alcuni casi specifici, un valore abbracciato
nell'astratto potesse venire notevolmente beffeggiato.
La nostra società è permeata d'oppressione, per cui il
non utilizzare queste armi sarebbe un crimine d'omissione contro l'umanità.
Ciò nondimeno, abbiamo bisogno di riconoscere fino a che punto
l'obiettività costituisce un sintomo della nostra malattia culturale
e la coerenza è un meccanismo della sua metastasi. È indispensabile
prendere in esame l'assunto secondo cui il progresso viene realizzato
barattando la brutalità di un proprietario personale di schiavi
con quella di uno impersonale.
Nella comunità semplice, l'obiettività, così come
è da noi concepita, esiste in maniera assai limitata. Quasi tutte
le azioni, le decisioni e i premi si basano su rapporti e posizioni
particolari all'interno della comunità. C'è ineguaglianza,
c'è inequità e anche un modesto grado di sfruttamento.
C'è, senz'altro, caproespiazione e miseria personale. Malgrado
ciò, si ammette che ognuno abbia un certo tipo di valore, nonché
un certo tipo di connessione significativa con chiunque altro. Nessuno
muore inosservato o incompianto. Quando, per accresciuta dimensione,
questa forma crolla e si instaura l'autoritarismo, ci si inizia a imbattere
in quello sfruttamento e in quella brutalità nella misura e nella
forma a noi familiari. Per la prima volta, premi e decisioni tendono
a basarsi su un certo tipo di principio grezzo: quanto più si
è vicini al centro del potere, tanto maggiori sono i premi. A
questo punto, un qualsiasi osservatore esterno può addirittura
prevedere la distribuzione di questi ultimi, senza conoscere l'intera
rete di rapporti e di costumi della comunità. E, come il potere
diventa più centralizzato e meno limitato dalla legittimità,
chiunque può raggiungere il successo materiale puramente arrabattandosi
per compiacere il tiranno.
La modalità sociale comincia con l'autocrazia. Ma, con ulteriori
incrementi in dimensione e in complessità, anche l'autoritarismo
crolla. Le limitazioni personali dei despoti fanno sorgere l'esigenza
di sistemi per la distribuzione obiettiva e meccanizzata dei premi.
La gente comincia a capire che i rapporti personali non devono più
giocare alcuna parte nel raggiungimento di decisioni politiche o economiche.
Il potere si incentra sempre più nei meccanismi impersonali,
anche se coloro che risiedono al centro del meccanismo, per la tensione
che sopportano, vengono ripagati tanto generosamente in premi simulati
da immaginare di essere i padroni fantasia, questa, confermata
da coloro che sono alla periferia.
Col diventare il sistema sempre più obiettivo e spersonalizzato,
ogni restante tendenza verso la corruzione e lo sfruttamento viene abbondantemente
esaltata; e con la frantumazione della trama della connessione armonica
col prossimo attraverso l'ulteriore enfasi di criteri universali o obiettivi,
le conseguenze dello sfruttamento diventano più depravate. Si
perde la possibilità di appello attraverso i canali personali,
per cui intere categorie di uomini possono semplicemente venire dimenticate.
La personalità poco importante di una comunità semplice,
invece, ha diritti, meramente in virtù della sua parentela o
intimità con qualcuno del sistema, che la sua controparte, in
una società come la nostra, non potrà mai ottenere. Anche
nella società burocratizzata più altamente libera da corruzione
l'individuo può fare appello soltanto ad un insieme di principi
astratti che non gli si applicano e che ignorano la sua condizione personale.
Sfruttamento e oppressione tendono ad assumere una forma massiccia e
impersonale. Il sistema è ingombrante e altamente inerte: qualunque
cosa si ponga in movimento è difficile da fermare e viceversa.
D'altro canto, in un sistema personalizzato, pur essendoci molto movimento,
nulla può allontanarsi troppo in qualsiasi direzione senza che
forze correttive entrino in ballo. Noi rispondiamo a questa pesantezza
adattandoci ai principi su cui si basa, accettandoli e tentando di estenderli.
Ma la lotta per una maggiore coerenza e imparzialità accresce
ancor più la pesantezza e l'inerzia del sistema. In una comunità
semplice, la propria posizione in essa è sempre caratteristica.
Invece, dacché nella maggior parte delle faccende della vita
quotidiana non abbiamo un rapporto con coloro che si trovano in relazione
con noi, cerchiamo modi d'essere più imparziali, cerchiamo di
garantire che tutti siano trattati allo stesso modo, di applicare criteri
astratti che ignorano i dettagli. La brutalità di giudici, medici
e amministratori della nostra società deriva meno dalla loro
incapacità ad applicare principi equi che dalla totale ignoranza
delle persone affette dalle loro decisioni.
Le reti organiche sono piene di incoerenza. Esse arrivano a un certo
tipo d'equilibrio attraverso movimenti goffi ma spontanei verso una
molteplicità di adattamenti. L'applicazione del principio astratto
distrugge irrevocabilmente questo equilibrio, per cui gli sforzi per
ristabilirlo su base matematica sono piuttosto simili al tentativo di
mantenere in equilibrio una palla sulla punta di una spada, sparandole
contro ogni volta che comincia ad inclinarsi. L'esigenza di coerenza
tratta la malattia cercando di estenderla all'intero organismo.
Siccome mi sento un po' a disagio a mettere questo argomento nelle mani
dei conservatori, vorrei aggiungere una parola di chiarimento. Oggi,
in America, nessun movimento sociale radicale trae la sua validità
e il suo significato da questi principi, anche se tutti i movimenti
radicali li utilizzano come argomento politico. Pur partendo essi dalla
retorica dell'uguaglianza, dell'imparzialità e della coerenza,
tendono a slittare - come risposta alla radicalizzazione e alla continua
analisi sociale - verso la convinzione della superiorità particolarizzata
dei propri costituenti Donne, negri, indiani e nazioni del terzo mondo
pongono, sì ancora notevole enfasi sull'uguaglianza, ma i loro
rappresentanti più accesi sono giunti a riconoscere che la società
dominante del maschio bianco occidentale ha bisogno di loro più
di quanto essi abbiano bisogno di lui indipendentemente da ogni problema
di imparzialità e giustizia Le forze dominanti della società
tendono a non percepire questa distinzione dacché è di
gran lunga più comodo presumere che qualcuno desideri soltanto
un pezzo della tua torta, piuttosto che ammettere di essere
prigioniero di un sistema ammalato e moribondo.
Linearità e Principio
Può apparire che molto di quanto sono venuto
dicendo intenda guardare con diffidenza all'utilizzazione di concetti
e principi astratti nelle faccende umane - pur non avendo io esitato
ad impiegare i miei. Ora dacché le prime (e, di solito, le uniche)
tré capacità insegnate agli intellettuali sono (a) come
classificare un argomento senza averlo ascoltato, (b) come trovare in
esso contraddizioni interne e (c) come rivolgerlo contro il suo autore,
è chiaro che mi sono cacciato in un mare di guai.
Forse, è necessario che sottolinei il fatto di non avere interesse
ad eliminare alcuna qualità umana, ma soltanto a stimarne il
costo. Se tutti avessero pienamente compreso, una volta per sempre,
il prezzo sociale che dobbiamo pagare per il privilegio di scorrazzare
in una macchina dalle ruote gommate, l'automobile potrebbe anche non
essere mai stata immessa sul mercato. O, più semplicemente, potrebbe
essere stata commercialmente trattata in modo del tutto differente.
Perfino qualità come 1' individualismo, divenute ormai ammorbanti
causa l'esagerazione, sono diventate indispensabili seppure in proporzione,
entro certi limiti, più esigua. Mio desiderio non è di
eliminare il tutto con un colpo di spugna, ma di riequilibrarlo e reintegrarlo.
Però, il lettore non deve attendersi che questo desiderio possa
essere ammantato dei panni della serenità in un mondo in cui
la pura idea di armonia suscita soltanto avversione e irritazione.
L'armonia è priva del senso di movimento, e ciò produce
una sensazione di ingabbiamento nelle persone che si trovano in stato
di grave tensione. La civiltà occidentale è un uomo che
corre a velocità crescente dentro un tunnel, ermeticamente chiuso
all'aria, alla ricerca di ossigeno supplementare. Si può fargli
osservare del tutto ragionevolmente che sopravviverà più
a lungo se rallenterà, ma non è probabile che lo faccia.Senza
diminuire in alcun modo l'importanza del contributo di McLuhan si dovrebbe
dire che la linearità nella cultura umana è più
di un orientamento stilistico derivato da proporzioni sensoriali. La
sensazione di
movimento non ostacolato nella linearità esprime quel bisogno
disperato di fuga precipitosa che uno schema a mosaico frustra completamente.
Le linee rette, in natura, sono una rarità - la presenza di una
di esse, generalmente, suggerisce una presenza civile umana. E quando
gli umani se ne vanno, o consentono alla natura di riaffermarsi, le
linee rette si incurvano. La bellezza della neve è che ridona
anche alla città più rettilinea una parvenza di organicità.
Una scalinata diventa una duna sabbiosa ondulata, modellata da un insieme
di forze che si trovano in un certo tipo di giocondo equilibrio reciproco,
piuttosto che da un solo concetto spietato e dominatore. La sensazione
di qualche bisogno umano frenetico e insaziabile - sempre suggerita
dalla linea retta - vienemutata e addolcita.
Probabilmente, non esistono linee rette in natura - le nostre candidate
più certe cominciano a piegarsi per curvarsi, a lunga scadenza.
Forse, la linea retta è puramente una finzione umana - una fantasia
di totale indipendenza e irresistibilità. Fondamentalmente, tutto
si rivela essere interconnesso e soggetto all'influenza esterna, mentre
invece il desiderio dell'individualista coscienziosamente indottrinato
è di poter perseguire una vita sprovvista di feedback negativo
- di dover essere eternamente «nel giusto», senza mai deflettere
dal suo rigido corso puramente autoperpetuantesi.
In breve, l'esistenza della linearità tradisce l'assenza di feedback
negativo (cioè, correttivo) e l'incapacità di ricevere
feedback negativo è, senz'altro, una calamità. Per esempio,
nulla ha contribuito più del mito della scienza pura alla stravaganza
delle sue applicazioni. Se il concetto di patologia ha mai una qualche
utilità, la linearità è patologica. Il restante
problema di questo capitolo è di esaminare la forma e la natura
di questa patologia al suo livello più elementare. Non possiamo
riesaminare tutto da capo, né si guadagnerà nulla confidando
in una spontaneità, che non esiste più, verso un sistema
organico gravemente danneggiato. Però, può tornare utile
comprendere come siamo arrivati a questo punto - valutare le zone molli
dell'equipaggiamento psicologicodella specie. Ogni umana virtù
contiene un male, per cui abbiamo bisogno di conoscere il prezzo pagato
per quelle qualità che ci sono care e ci sembrano essenziali.
Il mammifero schizoide
Nel suo The Divided Self, Roland Laing descrive alcune
tecniche schizoidi per ottenere sicurezza in un ambiente psicologicamente
dannoso Sebbene intesa come descrizione psicologica, essa può
anche servirci come
metafora dell'evoluzione della cultura occidentale. Come tale, essa
pone in rilievo una grave pecca della specie e indica i pericoli dell'evoluzione
culturale in confronto a quella biologica. Di rilevanza quanto mai pregnante
è l'esigenza schizoide d'autarchia che riproduce, con una certa
precisione, l'incostante relazione fra l'individuo e il suo ambiente
prodotta dalla rivoluzione tecnologica.
Il processo schizoide comincia con lo staccare una parte di sé
dalla connessione con l'ambiente. Questa parte, considerata come interiorità
o sé « reale » è, in tal modo, svincolata,
non risponde al feedback, è disincarnata. Essa osserva, con distacco
spassionato, tutto ciò che accade al resto dell'organismo (dalla
gratificazione sessuale alle punizioni). Ogni transazione con l'ambiente
è irreale, dacché il sé «reale» non
è impegnato. Di più, siccome nulla di reale giunge al
sé, nulla di reale può uscire da esso, per cui, conseguentemente,
esso esperimenta perfino sé stesso in modo vieppiù irreale,
morto e insignificante. La ricerca della sicurezza attraverso il distacco
si rivela, alla fine, insicura in quanto, con lo svuotamento progressivo
del sé della propria vitalità, esso diventa sempre più
vulnerabile ad essere ingolfato da altri, che sono reali, e al bloccaggio
inferiore verso gli stimoli reali esterni. Il senso di libertà
ed autonomia fornito da questa autarchia è illusorio, dacché
esercitato in un vuoto, per cui ciò che è libero viene
continuamente sminuito e devitalizzato. Il senso di identità
richiede l'esistenza di altri esseri da cui si è
conosciuti ed in relazione ai quali la propria esistenza trova espressione.
Gregory Bateson fece una volta osservare la follia di tentare di delimitare
qualche cosa tagliando i sentieri che costituiscono le definizioni del
suo essere.
Quella che Laing descrive è una posizione difensiva a disposizione
dell' intera specie. La difesa schizoide diventa possibile con l'emergere
della capacità a generare, maneggiare e collegare simboli. Una
volta che esista tale capacità, è possibile che l'organismo
si ritiri dalla rete complessa del feedback reciproco in cui è
inserito e risponda soltanto al suo circuitismo interiore. La natura
e il corpo non comandano più all'organismo. Questo è un
modo per interpretare il mito del Giardino dell'Eden.
Originariamente, l'armonia del pianeta era mantenuta da un equilibrio
di forze a cui tutte le specie partecipavano inconsapevolmente e in
cui ogni organismo dominava attraverso i suoi sforzi per evitare il
disagio o per ricercare il piacere. Soltanto l'umanità optò
al di fuori del sistema, abiurando al piacere e all'incertezza, al fine
di essere « libera ». Nella storia biblica, il primo sintomo
del disturbo è una perdita improvvisa dell'agio nei confronti
del corpo - una tendenza a sentirsi distaccati da esso e vergognosi
di esso. « L'essere dell'individuo (schizoide) è spaccato
in due, producendo un sé disincarnato ed un corpo oggetto di
osservazione del sé che, a volte, considera come se fosse tutt'altra
cosa » (Laing).
Quando Adamo ed Eva cessano di esistere nel loro corpo, cessano di essere
in grado di vivere in Paradiso e ne vengono cacciati. Avendo imboccato
la strada schizoide, debbono tribolare in eterno per avvicinarsiall'equilibrio
abbandonato. La fonte della caduta è la vanità: il «Tu
sarai simile a Dio e conoscerai il bene e il male,» e l'illusione
secondo cui un uomo può «sollevarsi al di sopra »
del suo corpo hanno portato alla più impressionante atrocità
della storia. La fonte dell'illusione è la petulanza caratteristica
esibita da parecchi umani di fronte al fatto che tutte le strutture
organiche specifiche sono temporanee - in effetti, più o meno
irrilevanti.
Essi si aggrappano all'idea di continuità personale, nel modo
in cui un pedante si aggrappa ad un concetto, o il burocrate alla procedura.
È come se una particolare configurazione in un gioco del Cat's
Cradle ( * ), diciamo una Scala di Giacobbe passabilmente eseguita,
desiderasse immortalarsi perennemente nella pietra - quel particolare
bambino, quel particolare spago e quella particolare mediocre raffigurazione
della forma. Il bambino sa di poterla rifare ancora, probabilmente meglio.
Dopotutto la tecnica, come il messaggio genetico, trascende il momento.
Ma quella particolare prova esiste soltanto in quel momento - che è
collocato nel tempo, che ha un suo spazio. Però, gli umani trovano
difficoltà ad accettare questa limitazione e, nei loro sforzi
frenetici di diffondersi in un'area temporale più estesa, spesso
hanno finito per esistere a malapena del tutto. Come l'uomo che desidera
essere in ogni luogo nello stesso momento finisce per non essere in
nessuna parte, l'uomo che cerca l'immortalità finisce per non
essere presente neanche nel suo tempo.
Eppure, indipendentemente da quanto le persone si rallegrino del cambiamento
delle stagioni, del sorgere e tramontare del sole e della nascita, il
trascorrere della loro configurazioni è frustrante. Il desiderio
di prendere a prestito più tempo è segno di vita non vissuta.
L'uomo più desideroso che un party si prolunghi è colui
che, per timore del rifiuto, ha sprecato la serata senza avvicinare
la ragazza da cui è attratto. Inoltre, il senso di penuria temporale,
come tutta la penuria del genere, è contagioso. L'uomo che invade
il tempo della posterità smorza la vita dei suoi discendenti,
inducendo anche loro a cercare l'immortalità, né più
né meno come l'orda che invade l'altrui paese motiva gli invasi
ad invaderne altri.
Il collegamento fra narcisismo e bramosia di immortalità spiega
perché, nel mito dell'Eden, siano il serpente ed Eva a ricevere
tutto il biasimo. I primi umani invidiavano il serpente perché
mutava la pelle, per cui immaginavano che fosse immortale. E gli uomini
hanno sempre invidiato le donne perché possono riprodursi estensibilmente.
Eva, in effetti, viene punita proprio per questo: il parto viene reso
doloroso. Ma il mito, in realtà, riguarda la caduta di Adamo:
l'idea che egli sia stato tentato da Eva è soltanto il modo con
cui l'oppressore afferma di essere diventato invidioso di lei. «
Tentazione>> sta ad Adamo come « provocazione » sta
ad un grande paese che vuole aggredirne uno piccolo. Come osserva C.S.
Lewis, «Riteniamo gentile l'agnello perché la sua lana
è soffice al tatto: gli uomini chiamano voluttuosa una donna
quando suscita in loro sensazione voluttuose. » Dacché
più delle donne gli uomini sono a scarso contatto con i sentimenti,
tendono a biasimarle ogni volta che i propri sentimenti sfuggono loro
dalle mani. E sono proprio gli uomini ad optare più entusiasticamente
per il disincorporamento e l'immortalità spirituale.
Mi rendo conto di presumere su di una congenialità che il lettore
può non condividere. In effetti, non costituisce, forse, la «
caduta » una grande vittoria, per la quale l'umanità si
è liberata dal servaggio all'impulso? Non ci ha forse portato
tutti i benefici di cui ora fruiamo e concesso il controllo del nostro
destino, a differenza delle altre specie la cui spontaneità ci
ha permesso di estinguerle?
È senz'altro vero che la ritirata nel circuitismo interno ha
assunto un certo valore di sopravvivenza a breve scadenza, per cui vorrei
consigliare a chiunque fosse interessato alla longevità di guardarsi
dal cercare un ritorno alla condizione paradisiaca, fintantoché
esiste nei dintorni immediati un qualche essere come noi. Quanto ai
vantaggi relativi di una breve vita fragrante e di una vita lunga ma
arida, dobbiamo decidere ciascuno per proprio conto. E, quanto ai benefici
della civiltà, essi sono, tutti ed ognuno, un prodotto delle
propensioni schizoidi dell'uomo, come lo sono tutte le crudeltà
della vita civile. Non esiste assolutamente alcun modo per conservare
le caramelle e scrollare via i mali è un affare di pacchetto
e non faremo alcun progresso finché tenteremo di sfuggire questo
fatto. Non si può appendere un Rembrandt a una palma. La gente
parla, ad esempio, della guerra peloponnesiaca o della prima guerra
mondiale come di quelle che hanno posto un termine all'Età d'Oro
che le avevano precedute - età in cui erano fiorite con particolare
abbondanza arti e scienze. Questo è un nonsenso perché,
in entrambi i casi, le guerre furono tanto un'espressione autentica
di quell'età quanto una qualsiasi opera d'arte, e, in effetti,
sia grande arte, sia guerre importanti derivano dallo stesso impulso
alla grandiosità. Non c'è modo di conservare la grande
arte senza il narcisismo che la rende inevitabile. Se vogliamo attenuare
le condizioni che fanno sorgere la guerra, dobbiamo stabilire un più
modesto livello di acquisizione individuale in altre sfere.
Ma i problemi di libertà individuale dall'impulso e di controllo
del proprio destino hanno bisogno di maggior chiarimento. Nessuna parola
ha svolto un'attività più violenta al servizio della mistificazione
di « libertà » (in America uno degli eufemismi più
popolari per congedare l'amato bene è, « Sto per lasciarti
libero »). Nessuno che si sia alienato dal corpo riesce a dominare
il proprio destino anche se è molto abile a proiettare attorno,
nell'ambiente esterno, il proprio peso dissociato. A qualsiasi livello
ci rifugiamo nel circuitismo interno, la libertà che acquisiamo
è illusoria e temporanea, come nel termine « caduta libera
» nel linguaggio paracadutistico.
Per un organismo vivente non esiste piena autonomia. Esiste soltanto
variabilità riguardo ai sentieri attraverso i quali la sua dipendenza
parassitaria può essere esercitata. Un pesce non è autonomo
in rapporto all'acqua nel momento che sta anfanando la propria vita
sul fondo della barca. Ne lo è l'astronauta in rapporto all'atmosfera
o alla terra, quando viene proiettato fuori, in una sfera di metallo,
per centomila miglia, suggendo ossigeno e rispondendo a messaggi di
uno che non può vedere, mentre si affida alle abilità
costruttive di uomini sconosciuti. Fa ben poca differenza la consapevolezza
di essere controllati da bisogni e impulsi corporei, da norme proprie
e da valori culturali, da aspirazioni neurotiche, o da un qualche insieme
di vanità ideologiche di qualche altra cultura. In effetti la
nostra esistenza è definita da tutte queste cose - cambia soltanto
la proporzione, e molto meno di quanto si immagini. Senz'aria si muore,
senza amore si diventa cattivi, senza feedback si diventa matti. Siamo
nati con energia, materia, e con l'informazione che procede dentro e
fuori di noi, per continuare così fino alla morte. Una deviazione
troppo grande dal livello normale di influsso e di efflusso turba il
senso dei nostri confini, il che significa come sia assai possibile
che il nostro essere sperimenti come invasione tanto un'infuenza, un
controllo, o qualsiasi altra cosa derivante dall'esterno, troppo scarsa,
quanto una eccessiva, anche se siamo stati addestrati a non percepirla.
L'idea che le persone partano come individui separati, che escono marciando
per connettersi agli altri, e uno dei brani più luminosi di auto-mistificazione
della storia della nostra specie. Attraverso questa mistificazione ci
rendiamo vulnerabili alla manipolazione da parte di forze essenzialmente
meccaniche: sistemi tecnologici, regolamentazioni burocratiche, coerenze
ideologiche. Il paranoide che immagina di essere controllato elettronicamente
si trova in condizioni migliori delle nostre - almeno ha una sensazione,
seppur vaga, di dove la mistificazione di sé l'ha condotto.
Weston La Barre riassume la tanto vantata libertà dall'istinto
dell'umanità facendo notare come un uomo, attraverso la propria
dipendenza dall'apprendimento, « raggiunga la realtà soprattutto
per il tramite di individui non disinteressati componenti la sua famiglia
immediata e la società. Egli si adatta per forza ai loro errori...
non alla natura stessa... come uomo egli risulterà quella qualsiasi
bizzarria addomesticata che i genitori inconsciamente preferiscono o
involontariamente modellano. » Libertà dall'istinto, quindi,
significa trasferimento di dipendenza da qualche cosa che non può
rendere psicotico a qualche cosa
che lo può - la libertà dall'istinto è l'inizio
dell'inquinamento psicotico. Come dice La Barre, l'uomo è unico
fra gli animali per la « sua capacità posta in opera di
conoscere cose che non sono tali. »
Ovviamente, questa è una visione unilaterale. Se è possibile
immaginare ciò che non è, ci si può comportare
in modo tale da farlo accadere invece di cercare meramente senza scopo
fino a quando uno stimolo non si addica al desiderio. Il prezzo pagato
è che, mentre si sta immaginando, non si sperimenta ciò
che è - il che può anche essere più attraente.
E, nel momento in cui la felicità immaginata è posta in
essere, si può aver perduto la capacità di sperimentarla,
ma si può già stare immaginando
qualche altro stato inesistente.
Ora, c'è una bella differenza fra una pustoletta e un cancro
come fra il fumare stupefacenti o il masticare gomma e la lancinante
eroina. La prima volta che un uomo ha ucciso qualcosa senza mangiarla
e che non stava tentando di mangiarlo, si è aperto un canale
che ha reso possibile Hiroshima, però tutto questo non l'ha resa
inevitabile. Per lo stesso motivo, la capacità di creare e maneggiare
simboli, pur aprendo la porta al processo schizoide, non l'ha reso universale
e ingiuntivo. Quando gli uomini presero per la prima volta il mare determinarono
la possibilità di annegare. Però, quando si verifica un'ecatombe
di annegamenti, cominciamo a rivolgerci ad altre cose, quali le imbarcazioni
difettose. A questo punto è sufficiente suggerire che la capacità
di simbolizzare, come per 1'andare in barca, contiene un pericolo, per
cui richiede certi tipi di salvaguardia, a tutt'ora non sufficientemente
sottolineati.
Con il sorgere della cultura si apre un altro canale. Se l'umanità
è un animale schizoide, la cultura è un approccio schizoide
all'evoluzione. Come osserva La Barre, gli schizofrenici sono soltanto
esseri esageratamente umani, dacché, « qualitativamente,
non esiste differenza apprezzabile di contenuto fra cultura e nevrosi.
« L'unica differenza è quantitativa - quando parecchi persone
condividono uno stesso sistema simbolico questa è cultura; se
lo fa una persona sola, è psicosi. Entrambe le situazioni sono
indipendenti dalla realtà, ed entrambe forniscono soluzioni speciose
ai problemi di sicurezza ma, come fa osservare La Barre, lacultura ha
il vantaggio che, se parecchie persone credono ad una bugia, il suo
potere di lenire l'ansia viene immensamente accresciuto.Di più,
se un intero gruppo di persone si comporta come se una certa finzione
sociale fosse vera, questa tende ad acquisire un suo grado di realtà
- di quelle che, in definitiva, impediscono alla verità in quell'ambiente,
di venire a galla. Per esempio, i bambini possono essere deformati in
molti e svariati modi, ma se una qualche progenie è ritenuta
superiore, o inferiore, o pigra, o aggressiva, o fragile, o riottosa,
in effetti essi tenderanno ad esagerare cedesti tratti. Una persona
paranoide ha la probabilità, presto o tardi, di sentirsi perseguitata,
confermando così la sua visione della realtà, ma con una
verosimiglianza di cultura, ciò diventa quasi inevitabile. Sociologia,
economia e scienza politica sono, in sommo grado, studi sulla materializzazione
del processo schizoide.
La cultura, quindi, libera l'umanità ancor più della realtà
perché, secondo quanto fa notare La Barre, non esiste selezione
naturale fra idee e convinzioni; milioni di persone possono credere
alla medesima falsità per migliaia di anni. Ciò, di per
sé, non è dannoso: dopo tutto, parecchie illusioni sono
innocue. Ma il pericolo sorge quando ci si stacca dall'essere profondamente
a contatto con l'ambiente esterno e con le proprie sensazioni corporee.
Questa immediatezza tattile, questo affondarsi nell'esperienza, una
volta perduti non possono mai più essere interamente ricatturati.
Si rompe una connessione, si smarrisce un ingranaggio dell'equilibrio
e il sistema diventa suscettibile di crescita esponenziale, di movimento
simile a quello del robot, di scorrazzare in lungo e in largo preso
da follia sanguinaria.
È chiaro che ciò non accade immediatamente. Ogni cultura,
anche la più semplice, seduce i propri aderenti attraverso impegni
verso convinzioni e prassi strane e assurdamente inopportune che, però,
non tutte portano le persone fuori dal contatto del loro corpo e del
loro ambiente naturale. Alcune delle convinzioni e prassi che appaiono
più irrazionali agli Occidentali sono, in effetti, espressioni
di questo senso di intimità. Si rendono pertanto necessari ancora
parecchi passi prima che il pericolo diventi grave.
Stando a quanto molti hanno fatto notare, quando si da un nome ad un'esperienza,
ci si stacca un po' dall'esperienza stessa. Se poi si combinano questi
nomi in un certo tipo di sistema concettuale, ci si distacca ancora
di più, dacché cominciamo a cercare il nostro senso di
coerenza nel sistema concettuale, piuttosto che nella realtà
stessa e nel nostro inserimento in essa. Ma, fino a quando il sistema
si riduce soltanto ad un tipo di rozza mappa segnata con linee ipsometriche
riflettenti il relativo significato emotivo e pratico delle varie fisionomie
ambientali, la sua capacità di spingerci fuori dal mondo e dentro
al circuitismo interiore è assai limitata. È quando si
comincia a trattare questo sistema come fine a sé stesso - razionalizzandolo,
ordinandolo, applicando ad esso principi di logica e coerenza - che
il vuoto comincia a farsi intorno a noi. A questo punto, esso diventa
un mondo interiore capace di staccarsi dal nostro mondo tattile. Il
che non vuoi dire che un sistema del genere non possa essere una guida
eccellente per afferrare certi aspetti del mondo reale e per orientarli
verso direzioni specifiche. Purtroppo, non ci troviamo già più
in esso - ci consideriamo esterni al mondo (generalmente, al di sopra
di esso), in atto di osservarlo. Di più, dacché ci siamo
staccati dal resto della totalità, la totalità è
qualche cosa che non ci è dato scorgere. Come osserva Bateson,
«quasi necessariamente la coscienza è cieca di fronte alla
natura sistematica dell'uomo stesso. La coscienza premeditata emette,
dalla mente totale, sequenze che non possiedono la struttura a loop
caratteristica dell'intera struttura sistemica. » In altre parole,
è « obiettività » che ci impedisce di vedere
la totalità di cui siamo parte.
La conoscenza meccanica delle fisiologia del corpo, per esempio, è
un eccellente espediente per ottundere la consapevolezza delle proprie
risposte corporali e della loro relazione agli stimoli ambientali. Trattare
il corpo come oggetto porta fuori dal corpo e, conseguentemente, fuori
dall'ambiente. Ciò mette in grado chi si trova in un ambiente
oppresso dall'ansia di prendere una pillola, invece di urlare o di scappar
via, ma tutto questo, a sua volta, aumenta la possibilità che
qualsiasi cosa venga immessa in quell'ambiente non potrà essere
regolata, il che esigerà ulteriore anestesia. La nostra società
è fatta di milioni di tali piccole scelte e ciò ha bisogno
di enormi quantitativi di anestetico a disposizione dei suoi partecipanti.
Intendo dire che i concetti astratti facilitano l'obiettificazione di
sé, la quale, a sua volta, tende a deprivare l'ambiente costruito
dall'uomo di quel feedback negativo necessario ad impedirgli di comportarsi
inumanamente. È improbabile che un architetto che tratti i propri
bisogni corporali e le proprie risposte emotive come ostacoli fastidiosi
al completamento del suo compito, sia in grado di progettare un edificio
piacevole da viverci, e lo stesso dicasi dei pianificatori, dirigenti,
tecnologi, insegnanti, e così via.
Non è possibile vivere senza sistemi concettuali, ma dobbiamo
essere consapevoli dei danni ai quali ci espongono.
La capacità dei sistemi concettuali di attrarci nel loro meccanismo
e di staccarci dalle connessioni organiche è motivo familiare
di umorismo, pathos e satira: l'ufficiale dell'esercito che tratta il
figlio « proprio come un qualsiasi soldato», il burocrate
ancorato alla norma, l'ideologo il cui sistema fideistico lo depriva
dei piaceri semplici. Probabilmente, l'esempio più classico è
la nostra tendenza a perdere il contatto con i nostri bisogni emotivi
a fronte della logica economica, come nella frase, « è
così a buon mercato che non ci si può permettere di non
comprarlo. » È proprio il potere di sopraffare l'immaginazione
detenuto da simili considerazioni puramente economiche che da credito
al concetto secondo cui « il denaro non può comprare la
felicità. » Per principio, il denaro può anche comprare
la felicità, come qualsiasi altra cosa - se non lo fa è
perché la gente non l'utilizza in questo modo. Il tipo di impegno
necessario ad accumulare moneta seduce spesso le persone a rispondere
alla misura economica più che a quella emotiva. « È
troppo caro, » invece di, « Lo desidero tanto, » ovvero,
« È regalato, » invece di, « Non lo vorrei
per nulla al mondo. » La gente abbandona case alle quali ha dedicato
decenni d'amore e d'energia perché sono «troppo care da
mantenersi,» passa anni di profonda depressione, a meno che non
muoia, come risposta alla perdita di condizioni ambientali familiari
e amate. Il ragionamento che sta dietro a un simile modo d'agire è
che il denaro, in virtù di ciò, si renderà disponibile
per beni e servizi di costo assai più ragionevole, anche se questi
ultimi non nutrono l'anima, per quanto gradevoli, se non necessari,
essi possano apparire. L'accettazione di criteri esterni di valore -
cioè,l'utilizzazione del denaro soprattutto per acquisirne di
più, viene definita « sensibilità » al denaro.
La tendenza opposta, quella di utilizzare il denaro soprattutto per
comprare la felicità o per soddisfare profondi bisogni interiori
viene generalmente definita « capriccio », « incoerenza
» o « irrazionalità » riguardo al denaro.
Rispondenza meccanica
Quantunque la rispondenza organica venga perduta attraverso
l'evoluzione di strutture formali e principi logici, ciò non
si verifica per la capacità degli esseri umani di rispondere
all'influsso. Le illusioni dell'individualismo ci rendono ciechi al
fatto che un singolo essere umano sia nato come parte di un sistema
di interazione - per cui non può e non potrà mai essere
un'entità completa ed auto-sufficiente. Parte del messaggio genetico
di un essere umano è uno schema complesso di recettivita all'influsso,
soprattutto di altri esseri umani. L'individuo è come un ricettacolo
che esige un qualche messaggio estemo per completarsi. E programmato
per imitare ed adattarsi, anche se queste parole risultano detestabili.
Anche quando la rispondenza organica è affievolita, resta ancora
la disponibilità di reazione ai messaggi esterni. In assenza
del canale originale, altri ne saranno utilizzati. La sottomissione
autoritaria è uno di questi canali, con autorità simboliche
(semafori, indicatori, istruzioni scritte) vieppiù sostituite
a quelle personali, col progredire dell'anestesia. Un altro canale è
l'ideologia: cioè, quell'istruzione generale interiorizzata da
cui è possibile dedurre logicamente regole specifiche di comportamento
e di atteggiamento.
Il problema inerente a questi canali impersonali di ortodossia - da
me raggruppati sotto il termine rispondenza meccanica - è che
mancano di delicata messa a punto. I sistemi logici tendono ad essere
un po' troppo semplici Per esempio, una porzione considerevole della
creazione burocratica di norme è costituita dagli sforzi per
impedire che una singola circostanza avversa si verifichi nuovamente,
attraverso il rozzo espediente di eliminare quella certa categoria alla
quale essa appartiene. Uno scandalo pubblico o la minaccia di un processo
assicureranno senz'altro la promulgazione di nuovi regolamenti (ognuno
dei quali erode la vitalità dell'organizzazione) a garanzia contro
un qualsiasi accadimento la cui probabilità di ricorrere è
infinitesimale. Se in una determinata stanza accade uno scandalo, quest'ultima,
per l'avvenire, sarà dichiarata « fuori dei limiti »;
se ciò deve essere dilazionato di qualche ora, le porte verranno
sigillate e si istituiranno controlli periodici. Se un malversatore
adopera inchiostro verde, l'inchiostro verde verrà bandito. La
sicurezza viene diligentemente perseguita con il futile espediente di
utilizzare reti
concettuali sempre più grosse per pescare determinati pesci sempre
più piccoli. Nessuno, nella storia del mondo, è mai riuscito
a trovare una formula generale che, in un qualsiasi dato contesto, garantisca
la felicità o eviti il male, tuttavia la ricerca prosegue, tanto
è il desiderio di libertà dall'ambiguità quotidiana.
Ma c'è un problema più grave inerente il dominio della
legge se confrontato con modi più personali e informali di controllo
sociale L'obiettificazione della moralità rende possibile ad
un individuo di sentirsi morale o di mitigare la colpa conformandosi
ad un insieme di regole astratte, anche se è in procinto di commettere
un qualsiasi tipo di malvagità. Non esiste comportamento tanto
crudele o bizzarro che non possa essere giustificato nei termini di
un qualche principio perfettamente ragionevole, così come non
vi è località nel globo tanto « fuori mano »
da non potere essere raggiunta volando in linea retta in una qualsivoglia
direzione.
Malauguratamente, non si può riprodurre su larga scala il tipo
di controllo sociale esistente nelle comunità semplici, sebbene
un ritorno alla sua completa caratterizzazione darebbe l'avvio, dappertutto
e di nuovo, all' intero processo storico. Però, anche le comunità
semplici possiedono qualche regola astratta, per cui sappiamo che anche
là esistono già i semi. Siamo inchiodati alla dimensione
e siamo inchiodati a principi astratti. Tuttavia, abbiamo bisogno di
essere più chiaramente consapevoli dei pericoli che essi pongono
- gli umani hanno l'orribile debolezza di far virtù di turpi
necessità, consentendo, in tal modo, a esse di far sì
che il loro impatto sia più demoniaco del necessario.
L'ideologia dell'individualismo è un esempio di tale debolezza.
Nulla avrebbe potuto fare di più delle critiche social-popolari
degli anni cinquanta (Fromm, Riesman, Whyte e altri) sia per convincere
la gente della virtù della disconnessione, sia per spianare il
sentiero alla rispondenza meccanica. Suscitando lo spettro dell'immersione
nella vita di gruppo - di perdere, cioè, la propria coscienza
narcisistica - esse hanno terrorizzato e svergognato il prossimo, stimolandolo
ad un perseguimento ancora più frenetico di autonomia ed auto-sufficienza.
In tal modo sconnessa, una porzione ancora più grande di popolazione
si è resa disponibile per farsi agganciare al meccanismo impersonale
della vita moderna. Gli Americani possono essere tanto facilmente manipolati
dalla pubblicità, proprio perché sono individualisti.
Sradicate dall'ordito sociale, le loro risposte sociali sono alla costante
ricerca di uno stimolo mancante al quale potersi aggrappare. Una nidiata
di anatroccoli privata della madre si « impresse » su Konrad
Lorenz tanto da seguirlo successivamente. Gli umani, deprivati di comunità,
possono, in certo senso, « imprimersi » sulle norme, le
macchine, le ideologie e le strutture burocratiche. Le critiche contro
la conformità, pertanto, hanno contribuito a determinare esattamente
ciò che stavano attaccando. Accumulando disprezzo sulle risposte
sociali fondamentali del genere umano, hanno ulteriormente contribuito
al processo di sconnessione dalla società, rendendo così
la popolazione ancor più vulnerabile alla manipolazione autoritaria
e impersonale. In quanto le forme in cui ortodossia e autoritarismo
appaiono nella società moderna sono un prodotto dell'ideologia
di libertà e individualismo - cioè, tentativi disperati
e confusi di riempire il bucolasciato dal disinnesto colpevolizzante,
secondo cui ogni-uomo-do-vrebbe-lottare-per-essere-un-genio-solitario-testa-e-spalle-al-di-sopra-del-le-masse-indegne-gregarie-dipendenti.
L'illusione che l'individuo sia un'entità indipendente minaccia
quell'integrità inferiore dell'organismo, radicata nell'interdipendenza.
L'individuo è un adattamento dei modi di relazionare. Senza un
qualsiasi oggetto a disposizione di queste risposterelazionali, egli
è costretto ad allucinare o a sgretolarsi, così come la
vittima della deprivazione sensoriale. (L'eremita, ad esempio, si pone
in relazione con oggetti di fantasia - figure parentali, dèi,
l'intera comunità, o qualsiasi altra cosa, talvolta mascherati
come porzioni del sé). In altre parole, il distacco ha la probabilità
di produrre tanto disintegrazione interna, quanto ipercoinvolgimento.
Questa tendenza a considerare l'organismo individuale più come
entità che come processo, come terminale più che come
condotto, ha portato ad alcune norme culturali strane, quali l'alto
valore posto sulle capacità a restare soli - equivalente psichico
dell'abilità a trattenere il respiro, o a stare senza dormire
o ad arrotolarsi in una ciambellina salata o a torturare e alienare
in altro modo il corpo a servizio della vanità. Premiare l'abilità
di un animale sociale a sfrondare il suo equipaggiamento biologico è
un po' come dire che l'uccello più virtuoso è quello che
può traforare una galleria attraverso la terra. Fritz Peris,
padre della terapia Gestalt, sosteneva che «crescere significa
essere soli.» Egli, evidentemente, non si accorgeva che questa
era una violazione del suo punto di vista secondo cui la terapia non
dovrebbe consistere nell'ottenere un adattamento ad una società
ammalata. Eppure, ciò è quanto effettua esattamente la
terapia Gestalt con la maggiore efficacia. In una società fondata
su rapporti instabili, frammentari, transeunti, competitivi e scoordinati,
l'approccio gestaltico è uno strumento di sopravvivenza, sebbene
contribuisca anche al mantenimento dello status quo e lo incoraggi.
C'è qualche cosa di un po' allucinante nell'osservare 200 milioni
di persone aderire servilmente, ed in maniera egualmente infelice, ad
una norma di indipendenza e di unicità personale.
La nostra era è stata inondata da fantasie letterarie, cinematiche
e video, di società superintegrate. Nella condizione attuale,
appaiono un tantino ridicole, come le fantasie di un uomo ipercontrollato
la cui rabbia, se mai esplodesse, risultasse omicida o distruttrice
del mondo. C'è un granello di verità in simili fantasie:
precisamente, che il controllo esagera quelle bramosie che sopprime.
Ma c'è anche un granello di falsità, in quanto la fantasia
di forza esagerata può incoraggiare la soppressione continua
di un impulso perfettamente normale. Nei nostri libri-spauracchio (1984,
Brave New Worid, We, Fahrenheit 451), questo impulso è la bramosia
di abbandonare la propria autonomia isolata per diventare parte di un
qualche cosa. Marcia Millman dimostra come, al di sotto dell'orrore
superficiale di queste fantasie, esista la segreta convinzione che la
felicità si basi sulla perdita del sé. Le società
vengono dipinte in simili forme grottesche (tutte sono anomalie sociologiche,
contenenti molti tratti che potrebbero sorgere soltanto in una società
individualista) al fine di terrorizzarci dal realizzare quella bramosia
anche nella sua forma più blanda.
Dramma e distacco
Anche il dramma ha portato il suo contributo a questo
successo, servendo sia come sostituto alla vita comunitaria, sia come
veicolo all'erosione di essa. Così come lo conosciamo, il dramma
inizia quando finisce la vita della strada nella comunità - quando
una persona non può più presumere di potersi fondere con
la gente che vorrebbe vedere nel corso normale di una giornata.
La famiglia è la sorgente più potente del dramma. I grandi
drammi sono prevalentemente costituiti da problemi familiari. In una
comunità semplice, quando si verifica una crisi familiare, la
gente si precipita nella strada e la comunità le si raduna attorno
per mediare, nutrire e assorbire. Quando la comunità si amplia
e diventa meno integrata, non muta affatto la capacità della
famiglia di creare il dramma, però quest'ultimo non può
essere più compartecipato. La comunità si privatizza,
la famiglia viene isolata, la strada rimane deserta. È a questo
punto che comincia ad affiorare il dramma nella forma a noi nota - come
se la gente dovesse disporre di un qualche luogo dove andare a sfogare
la sua rispondenza collettiva. Nel buco lasciato dalla famiglia ritiratasi
entro le mura domestiche viene rovesciata un scena drammatica, posta
in esecuzione da altri. E' possibile osservare più chiaramente
questa transizione nelle tragedie greche che, in genere, sono ambientate
nella strada, fuori del focolare domestico. In effetti, le uccisioni
e le mulilazioni, di solito si verificano dentro la casa, dietro le
quinte, per essere riferite al coro, come se questo e l'uditorio fossero
villici riuniti nella strada. Atene, nel periodo in cui la tragedia
greca raggiunse il vertice, era stata testimone di una rapida urbanizzazione,
con una contrazione e un isolamento dell'unitàfamiliare non dissimili
da quelli da noi sperimentati durante il secolo scorso. Gli attori,
qualche volta, avevano tentato di esercitare il loro mestiere in comunità
che non avevano perduto la rispondenza sociale, ma con risultati negativi.
La gente semplice dimentica l'artificiosità dell'ambiente ed
è propensa ad entrare in azione. In un ambiente del genere, un
furfante rischia la pelle. Noi sorridiamo con condiscendenza ad un simile
comportamento, ma sono proprio questa rispondenza e questo senso di
interconnessione a rendere tali comunità ambienti sociali nutritivi.
Non è che la gente sia infantile o stupida, soltanto che i suoi
impulsi sociali funzionano ancora in modo intenso e automatico, laddove
i nostri sono atrofizzati. C'è da supporre che abbiamo sostituito
a questa rispondenza un comportamento razionale e giudizioso, ma è
sufficiente uno sguardo per rendersi conto di quanto esso funzioni miseramente.
Corti d'appello, ospedali mentali, prigioni, case di cura sono soltanto
qualcuno dei meccanismi tardi, impersonali, inumani e, generalmente,
piuttosto dilapidati, da noi creati per rimpiazzare questa ingenua rispondenza.
Il dramma - sia esso reale, in film o in video è uno dei
modi per rendere insensibile questa risposta. Siamo condizionati assai
precocemente ad osservare in modo passivo gente che viene bastonata
e uccisa, o sta soffrendo in qualunque maniera concepibile. Il successo
del dramma nell'anestetizzare i nostri impulsi sociali è evidente
in ogni angolo di strada di una qualsiasi città. Il teatro ci
aiuta ad addestrarci alla non rispondenza affinchè quelle istituzioni
la cui esistenza dipende dalla nostra narcosi sociale possano sopravvivere.
È il teatro stesso che ha cominciato a svilupparsi come antidoto
a questa condizione, non senza resistenza notevole da parte del suo
uditorio incallito. Il teatro ambientale sembra centrare con esattezza
questo problema - non soltanto nei suoi tentativi di impegnare l'uditorio,
ma nel suo impulso di ritornare alla strada.
Libertà e volere
Quanto più esaminiamo da vicino la ricerca della
libertà, con tanto maggior sospetto essa appare una ricerca di
sicurezza interpersonale - di un ambiente umano prevedibile e privo
di rischi. Ciò che il tossicomane delle libertà cerca
è il controllo e l'ordine attraverso il bloccaggio del feedback
coartante o disturbante. Libertà significa massimizzare il livello
di controllo del proprio input, il che è un modo diverso per
dire che sono maggiormente « libero » quando la forma e
il contenuto di ciò che incontro sono io stesso. La libertà
risulta essere così implicitamente illusoria, dacché,
in effetti, non si può alterare l'interdipendenza della materia
vivente invero, di tutta l'energia ma si può alterare
soltanto la propria percezione di essa. Ciò, come osserva David
Bakan, è il paradosso della dominanza: « Al fine di dominare,
l'ego domina le cose al di fuori della loro esistenza. Eppure, spesso,
è proprio ciò che viene dominato ad insorgere per affermare
sè stesso, per cui non esiste alcune dominanza proprio là
dove veniva cercata. In breve, la libertà è ciò
di cui si rallegra Kitty Genovese: libertà di essere comodamente
pugnalato a morte, per un'ora, in una strada di New York, senza che
qualche ficcanaso provinciale si intrufoli nei tuoi affari privati.
La capacità di simbolizzare viene, spesso, descritta come la
liberatirice dell'umanità da quella prigione istintuale in cui
tutti gli altri animali sono per sempre racchiusi. Questa libertà
è libertà della mente la libertà che consente
ad un uomo di morire di fame in mezzo all'abbondanza e di saziarsi di
sogni - quella libertà manifesta nel termine « modo d'esprimersi
con accento totalmente controllato. » II meccanismo che ha posto
in grado l'umanità di superare le altre specie nella favola dell'evoluzione
(« cosi l'uomo si evolvette dagli ominidi e visse per sempre felice
e contento ») è lo stesso che Laing descrive come radice
del processo schizoide. È la capacità di ignorare l'informazione
derivante dal corpo o dall'ambiente a favore di un circuitismo concettuale.
Soltanto che, mentre colui che si libera in tal modo da un amico resta
incatenato ai propri bisogni, alle proprie perdite e alle proprie pene;
colui che si libera in tal modo da un nemico è confinato all'incertezza,
alla paura e alla paranoia.
Ho avanzato l'ipotesi secondo cui la capacità umana di creare
e maneggiare simboli ha aperto la porta alla patologia, e che ciò
è stato accresciuto sia dall'evoluzione della cultura, sia dalla
capacità di organizzare i simboli secondo una gerarchia d'astrazione.
Sin qui, sembra che stiamo trattando realizzazioni irreversibili e,
forse, essenziali. Dati questi pericoli appare vitale, per la sopravvivenza
della specie, che essa nutra un impegno avido a mantenere la consapevolezza
della interconnessione organica, dacché è sempre in acuto
pericolo di perderla. Fondare l'individuo sul qui e adesso nella
realtà concreta ed immediata è l'antidoto al collasso
schizoide, e lo stesso dicasi a livello culturale. Data un'inevitabile
suscettibilità alle risposte schizoidi, abbiamo bisogno di guardarci
dagli incoraggiamenti gratuiti. Il dualismo mente-corpo che ha dominato
il pensiero occidentale (e altrettanto dicasi di quello orientale) è,
chiaramente, uno di questi; poche idee forniscono un contesto più
fertile allo sviluppo schizoide dell'idea secondo cui lo spinto e indipendente
dalla carne. Un altro, ancora più potente, è l'affioramento
di schemi culturali che incoraggiano l'ipertrofìa del volere.
Come fa notare Alexander Lowen, la volontà è un meccanismo
d'emergenza. In condizioni ordinarie, il principio controllore dell'organismo
è il piacere. Il piacere corporeo non integra soltanto 1'organismo
stesso, ma mantiene l'armonia nel sistema organismo-ambiente. II comportamento
basato sul piacere, osserva Lowen, appare coordinato e privo di sforzo
laddove il comportamento basato sul volere tende ad essere traballante
rigido e meccanico. L'individuo schizoide, la cui vita intera propende
ad essere governata dalla volontà, non inibisce soltanto gli
impulsi ma, al fine di acquisire tale inibizione, isola i canali di
informazione lungo i quali questi impulsi normalmente viaggiano, in
modo che trova difficoltà a sapere ciò che desidera e
tende a basare tutto il suo comportamento sui principi. « Normalmente
si mangia quando si ha fame, ma, nello stato schizoide, si va a pranzo
perchè è mezzogiorno.....L'individuo schizoide si impegna
negli sports per migliorare il proprio controllo del corpo e non per
il piacere dell'attività o del movimento>>.
Come meccanismo d'emergenza, il potere della volontà è
un utile scorciatoia biologica, quando tutti gli altri mezzi hanno fallito.
I normali desideri di piacere e sicurezza vengono ingannati in modo
da far si che si compia l'innaturale. Potremmo considerare questo meccanismo
come un modo per riportare l'organismo in sincronia con il proprio ambiente
quando questo, per una qualche ragione, è uscito dai ranghi.
Tuttavia, l'utilizzazione persistente del volere, porta essa stessa
fuori sincronia e tende ad incoraggiare una propria ulteriore utilizzazione,
nel tenativo vieppiù auto-frustrante di ristabilirla. Questa
utilizzazione del potere della volontà nelle attività
normali, routinarie, è diagnostica di condizione schizoide: «Quando
la volontà diventa meccanismo primario d'azione rimuovendo le
normali forze motivanti del piacere, l' individuo funziona in maniera
schizoide. » (Lowen) Dacché nella nostra società
questa tendenza è più una regola che un'eccezione, diventa
ragionevole parlare di società
schizoide.
Il tentativo futile di ottenere la sincronia è, in certo modo,
responsabile del nostro sforzo di «vivere da orologio».
Sfortunatamente, siamofuori fase col resto del sistema ecologico - non
perche andiamo troppo piano, ma perché procediamo troppo in fretta:
ecco perche i tentativi di « riuscire a raggiungere » sono
auto-frustranti. Vivere da orologio è, con tutta la sua assurdità,
un tentativo genuino di conservare la connessione. Ciò che si
trascura è che la connessione fra organismi e fra organismi e
ambiente esiste già. Questo è il caratteristico modo di
fare schizoide: perdere consapevolezza di una connessione concreta e
tentare disperatamente di costruirne, come sostituto, una concettuale.
Così gli orologi meccanici prendono il posto di quelli biologici.
Così il carattere schizoide non può capire come il corpo
possa funzionare per conto proprio, senza che lui lo voglia. E così
il politico ritiene che non si verificherà alcun cambiamento
sociale senza legislazione.
Freud disse una volta che la civiltà è il procedimento
di sostituire alla gioia la sicurezza e Lowen sembra ribadire questo
concetto quandooppone il senso primitivo di unità al modo di
pensare lineare causa-effetto dei popoli occidentali. Quest'ultimo orientamento
fornisce, sì, sicurezza contro le vicissitudini dell'esperienza,
arguisce Lowen, ma a spese di un sentimento d'armonia con natura e corpo.
Soltanto che, nel creare i tipi di problemi da noi ora affrontati, gli
schemi culturali che esagerano il controllo della volontà e dell'ego
vanno assai al di là degli effetti della costumanza a modi urbani.
Lowen considera l'evoluzione dell'ego umano un parallelo del corso tipico
del leader eroico immesso per proteggere il popolo che, poi, usurpa
il potere e diventa un tiranno. Egli fa notare che, mentre la funzione
addotta dell'ego è di verifìcare la realtà, in
concreto, invece, essa è ampiamente impegnata a dettare la realtà.
« L'ego crea quella discontinuità che poi tenta di superare
con conoscenza e vocaboli. » La vita diventa esercizio di potere,
controllo e auto-inganno, anziché un gradevole interludio di
organismi interdipendenti. Mentre idealmente l'ego è tenuto in
scacco cioè, la sensazione corporea bilancia l'immagine
dell'ego, i sentimenti bilanciano le idee, i bisogni del piacere bilanciano
i bisogni del potere, e così via questi scacchi e questi
bilanciamenti sprofondano in una cultura che apprezza la conoscenza
più del sentimento, il potere più del piacere e la mente
più del corpo. »
L'evoluzione culturale procede parallelamente a questo processo. Fra
gli animali più inferiori, la cultura è limitata ad una
esigua porzione di conoscenza acquisita e trasmessa circa i veleni,
e così via, e ad alcune schematizzazioni di rapporti appresi.
A questo livello, la cultura si limita meramente a mediare in modo utile
fra organismo e realtà ma, a livello umano, la cultura, come
l'ego, assume la funzione di definire e dettare la realtà per
cui le illusioni possono essere ampiamente partecipate.
La cultura tende altresì a rafforzare le propensioni tiranniche
dell'ego attraverso un'eccedenza di feedback negativo. La natura risponde
al comportamento esploratorio in modo neutro: movimenti corretti ottengono
successo, scorretti ottengono fallimento. Il fallimento, in altre parole,
costituisce punizione adeguata. L'individuo che esplora non è
soggetto ad alcun'altra punizione per un suo atteggiamento scorretto.
Le culture, invece, non sono così gentili. Un individuo che fa
uno sbaglio culturale, un errore sociale, viene svergognato, umiliato,
minacciato o fatto sentire colpevole. Il motivo è ovvio: dacché
la conoscenza culturale non ha validità intrinseca, non può
basarsi su premi e punizioni intrinseche Le leggi culturali sono arbitrarie
e, per garantire 1'apprendimento debbono, pertanto, essere rafforzate
da un eccesso di feedback negativo. Nessuno ha necessità di essere
ridicolizzato o umiliato nell'apprendimento della futilità di
accendere un fuoco con foghe umide o di utilizzare un pezzo di schisto
come utensile. Questi errori risultanoauto-punitivi attraverso il fallimento,
un errore di etichetta non lo è.
Il fine di punire un individuo per aver fatto un errore è, ovviamente,
di scoraggiare il comportamento esploratorio e di premiare la concettualizzazione.
La concettualizzazione è un tipo di meccanismo di sicurezza -
un espediente per anticipare i risultanti e ridurre i rischi. Ciò,
a sua volta facilita l'apprendimento di quel tipo di sistemi automaticamente
autoconvalidanti di cui Lowen parla.
Cultura tecnologica
Si supera ancora un'altra soglia quando i processi schizoidi
sopra descritti vengono abbinati all'abilità di dare forma concreta
all' immagine concettuale - permettendo, nei termini di Laing, l'organizzazione
di un sistema di falso-sé attorno ad una realtà materiale.
Lo sviluppo di un sè interiore disincarnato è assai facilitato
dalla presenza di un falso sè esternamente incarnato.
Nel pensiero contemporaneo c'è molta confusione riguardo a questo
problema. Quella degli Stati Uniti, ad esempio, viene descritta come
cultura «materialistica», apparentemente perché inondata
da prodotti materiali lavorati. Eppure, con tutta probabilità,
non è mai esistito popolo che abbia effettuato un minore investimento
di emotività in possedimenti materiali specifici. Gli Americani,
quando arrivano a possedere sono, di regola, platonici e sono più
attaccati all'idea o alla forma di una casa, di
un automobile, di una sedia o di un vaso che all'oggetto specifico.
Basta soltanto osservare la cura, la devozione e il significato umano
che persone appartenenti a società meno « sviluppate »
investono in alcuni possedimenti per comprendere bene quanto sia superficiale
il nostro supposto materialismo. In parte, ovviamente, questa è
semplice questione di forma. L'istinto materno degli animali è
funzione inversa della dimensione della lettiera, e, analogamente, non
si può essere tanto intensamente coinvolti con centinaia di oggetti
come lo si è con due o tre. Egualmente importante, tuttavia,
è il nostro orientamento utilitaristico verso gli oggetti e la
loro sostituibilità. La produzione di massa si basa su un atteggiamento
concettuale verso gli oggetti che, a sua volta, incoraggia.È
molto più difficile rendere personale ed amare una casa, una
camicia o un'auto virtualmente identiche a tante altre, che essere liberi
di sostituirle quanto prima. Il valore da noi attribuito ai possedimenti
tende a basarsi su criteri quantitativi (denaro, prestigio) che riducono
tutte le differenze ad un singolo standard. Ciò, a sua volta,
facilita un atteggiamento in cui gli oggetti non hanno realtà
indipendente, ma sono mere manifestazioni dei nostri processi concettuali.
Il sé, dice Laing, « cerca, attraverso il disincorporamento,
di trascendere il mondo per sentirsi, conseguentemente, sicuro. Ma il
sé è soggetto ad uno sviluppo che percepisce esterno ad
ogni esperienza ed attività. Diventa un vuoto. Ogni cosa è
lì intorno, all'esterno; nulla è qui, all'interno. »
Ma che cosa succede se la sola parte del mondo esterno, di cui il sé
è partecipe, è costituita da immagini fantastiche incorporate?
Non si verificherà lo stesso vuoto? Dacché si sta continuamente
esalando il proprio scarico, deve conseguirne un analogo impoverimento,
anche se, poiché la persona appare pienamente impegnata col suo
ambiente, l'illusione della normalità può essere, entro
certi limiti, facilmente mantenuta.
Laing dice che nella condizione schizoide « il sé può
collegarsi con immediatezza ad un oggetto che sia oggetto della propria
immaginazione o memoria, ma non a una persona reale. » Ciò
dà un senso illusorio di libertà, dacché non si
può essere lesi da un'immagine; ma, ovviamente, non si può
neanche esserne gratificati. « II rapporto del sé con l'altro
è sempre in stato di rimozione. » Ma, per quanto la tecnica
ci abbia fornito di immagini altamente tangibili che predefiniscono
la maggior parte dei nostri rapporti, noi stiamo vivendo nella condizione
schizoide, dacché è virtualmente impossibile sperimentare
un rapporto adulto che non sia stato previsto e ripetuto con i media.
I media mediano i nostri incontri interpersonali. Di più, ciò
che la tecnologia delle comunicazioni effettua simbolicamente, altre
tecnologie effettuano in concreto. Laing fa notare come, in una persona
non schizoide, soltanto un certo numero delle di lui, o di lei, azioni
è meccanico. Ma la cultura occidentale ha progressivamente espanso
questo dominio meccanico al punto in cui tutti i cittadini medi di una
società tecnologica possono sentire, in modo schizoide, di star
vivendo tramite le loro azioni meccaniche, piuttosto che il contrario.
Mangiano, dormono, si svegliano, lavorano e smettono di lavorare quando
i ritrovati meccanici dicono loro che è il momento di farlo.
Ingurgitano perfino cibi lassativi per mantenere « programmati
» anche i processi d'eliminazione. E tutto ciò diventa
talmente doloroso per loro, da farli ricercare l'assistenza psichiatrica,
per poi scoprire che anche i loro incontri terapeutici sono determinati
non dall'intensità della loro angoscia, nè dalla disponibilità
ad affrontare i loro problemi, ma concordemente ad un orario meccanicamente
prestabilito. La cultura tecnologica, in altre parole, contribuisce
a generare un sistema di falso sé anche in assenza di patologia
individuale. La stessa ricerca di sicurezza e libertà che motiva
il carattere schizoide dell'analisi di Laing ha prodotto, nella cultura
moderna, lo stesso tipo di autarchia personale, la stessa atrofia interna,
lo stesso comportamento da robot, le stesse sensazioni di torpore, falsità
e irrealtà interiori. C'è la stessa bramosia di intimità,
esperienza, stimolazione, vita, unitamente alla stessa paura che ogni
incontro genuinamente soddisfacente faccia esplodere all'interno la
personalità. David Bakan osserva come « molta della fame
contemporanea di significatività sia basata sulla monotonia di
ciò che l'ego consente e sulla paura profonda, ma non ammessa,
di ciò che non è consentito. »
Questo stimolo ambivalente a prendere contatto con la realtà
si rispecchia nei tentativi dei media di far derivare la realtà
da eventi drammatici. La descrizione che Laing fa di una delle sue pazienti
potrebbe essere applicata con pochissima fatica alla rete televisiva:
« Se qualcuno le dice qualche cosa che lei classifica "reale",
essa dirà, "Ci penserò"; e comincia a ripetersi
sempre più la parola o la frase, nella speranza che un po' della
realtà dell'espressione si imprima in lei. »
II fallimento di questi espedienti è tanto visibile nell'irrigidimento
e nella disintegrazione della nostra società, quanto nell'individuo
francamente psicotico. «L'ironia tragica è che, alla fine,
nessun'ansia viene evitata. » - in quanto la tecnologia ha creato
danni peggiori di quanti ne abbia rimossi. « Nella fuga dal rischio
di essere ucciso, (il sé) muore » - la nostra società
considera la minaccia come derivante dal di fuori, però è
in pericolo di essere distrutta dal proprio sistema difensivo. In una
società tecnologica, ognuno « è in relazione principalmente
con gli oggetti delle (sue) fantasie. »
Se la dinamica descritta da Laing può essere applicata alla cultura
tecnologica, possiamo attenderci i seguenti sviluppi:
1) II sistema tecnologico diventerà più esteso e autonomo;
2) Coloro che vi sono immischiati saranno « pieni di odio nella
(loro) invidia per la vita ricca, vivace e abbondante che si trova sempre
altrove; sempre là, mai qua »;
3) Dacché, comunque, questa vita è troppo terrorizzante
da afferrarsi e la bramosia di essa troppo acuta per essere denegata,
tenteranno « di distruggere il mondo riducendolo in polvere e
cenere, senza assimilarlo »;
4) La realtà sarà corteggiata con mezzi sadici e masochisti
- mettendo a prova la propria realtà attraverso quegli effetti
dolorosi che si è capaci a produrre in altri (bombardo, quindi
sono), o assogettandosi a dolore e a rischi terrificanti.
Nell'individuo, il processo culmina in un'esplosione psicotica, che
Laing considera come una rivoluzione della mente - la dissoluzione di
una struttura decaduta in un oceano di possibilità senza confini.
Talvolta, dall'immersione, emerge una nuova struttura, più ricca
e più flessibile; talvolta l'individuo annega. In tal modo, quindi,
la cultura occidentale si sottomette al caos, alla confusione e al cataclisma
prima che affiori un nuovo sistema vitale, se, in effetti, affiorerà
mai.
Soltanto chi è affascinato da fantasie di Gotterdammerung cercherà
attivamente un tale risultato, che potrebbe ben ridurre la Nave-spaziale
Terra a cenere errante. Essendoci ancora tempo per cambiare, appare
assurdo non tentarlo. E se è scritto che la nostra specie debba
morire, almeno avremo un'idea più chiara del perché.
Sappiamo che, staccandoci dal resto del sistema organico di cui siamo
parte e ritirandoci nell'ambito della torretta della nostra sicurezza
schizoide tecnologicamente isolata, abbiamo « battuto »
la natura, nello stesso modo in cui i denti ci sconfiggono quando mordono
la lingua. È incerto se mai una specie possa evolvere con una
conoscenza delle cose (in contrapposizione ad una comprensione dei rapporti)
eguale alla nostra, senza seguire lo stesso corso. In ogni caso, questa
linea di « progresso » è arrivata ad un punto morto
- i pensatori più raffinati di tutti i campi stanno affaccendandosi
a mimare i processi del pensiero relazionale dei popoli primitivi. Dobbiamo
semplicemente accettare la propensione all'ideazione schizoide, che
è parte della condizione umana, e tentare di isolare quegli schemi
che ingenerano quel tipo di eruzione patologica totalmente germogliata
in cui attualmente viviamo.
Noi possiamo riandare alla nostra infanzia e giovinezza e dire, «
In questo o quell'anno, sono stato tanto ammalato da morire. »
Ma una malattia sociale può abbracciare così tanti periodi
d'esistenze individuali, anche nella sua fase acuta, da non potere essere
conseguentemente distinta dalla normalità da parte di coloro
che vivono in essa, in quanto essa è tutto ciò che conoscono.
Ciò rende più difficile, ma anche più necessario,
il nostro compito, per timore di adattarci ancora di più alla
patologia in cui ci troviamo.
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