PARABOLA 7
Ogni primavera un commerciante di Ispahan si recava in
città. Era un uomo astuto ed energico che, ogni anno, recava
quantità di mercanzia inutile e difettosa, di cui si sbarazzava
con notevole profitto. Dopo qualche anno, le gente di città si
fece circospetta, per cui, quando esso ricomparve l'anno successivo,
lo aggredì e lo picchiò distruggendo la sua mercanzia.
Tuttavia, l'astuto commerciante, determinato a non perdere quel lucrativo
mercato, tornò di nuovo l'anno successivo travestito da imberbe
egiziano. Quantunque la gente di città avesse generalizzato,
entro certi limiti, la propria circospezione, la visita del commerciante
ebbe assai successo, per cui egli ripeté la manovra l'anno successivo.
Questa volta, però, il suo travestimento venne scoperto, così
venne nuovamente picchiato, nonché alleggerito delle sue rimanenti
merci. Da quel giorno, il cocciuto commerciante apparve ogni primavera
con un nuovo travestimento. Talvolta assumeva il ruolo di un vecchio,
talvolta quello di una donna, talvolta era un indù, talvolta
un turco. Egli assunse tanti atteggiamenti e tanti accenti da diventare
un mimo sempre più dotato. Ogni anno, dedicava più cura
alla pianificazione della sua visita in città progettando il
suo costume, perfezionando l'accento, l'andatura, le idiosincrasie,
e così via. Dacché la città era la favorita di
commercianti di passaggio privi di scrupoli, era per lui facile perdersi
nella folla. La gente di città, nel contempo, teneva acutamente
d'occhio il commerciante, considerandolo un nemico. Col passare degli
anni, essa si impeganva sempre più per prevedere le sue visite.
Ogni primavera si tenevano riunioni per discutere i mezzi atti a scoprire
il suo incognito, il che era sempre più difficile, dato che nessuno
si ricordava come egli fosse in origine. Si tentò di trovare
denominatori comuni del suo comportamento plurisfaccettato. Si scelsero
esploratori che osservassero tutti i commercianti in arrivo e prendessero
nota di ogni presunto sospetto. Alla fine, si cominciò ad offrire
premi a chiunque avesse potuto scoprire il commerciante. Ciò
portò ad un molestamento su vasta scala dei commercianti, per
cui la gente di città si vide costretta a stabilire regole di
contestazione per proteggere l'innocente. Il premio sarebbe stato offerto
soltanto a colui che avesse potuto individuare il commerciante senza
toccarlo e pesanti sarebbero state le pene per la scelta dell'uomo sbagliato.
Con ciò, la situazione si stabilizzò, in quanto, pur essendo
lo smascheramento del commerciante la più importante fonte di
ricreazione cittadina, le regole della contestazione l'avevano reso
estremamente difficile. Così si seguitò per molti anni.
Alcune volte aveva successo il commerciante, altre, la gente di città.
Il commerciante considerava la situazione in rapporto alla propria inventiva,
alla perseveranza a fronte delle gravi bastonature occasionali ed alla
sua abilità di mettere nel sacco un'intera città decisa
a smascherarlo. Pur non diventando mai ricco, visse assai agiatamente
e fu in grado di accumulare un notevole margine dai profitti delle sue
più favorevoli escursioni in città. La gente di città
considerava la situazione in rapporto all'eccellente organizzazione
da lei creata per prevenire il commerciante. Era compiaciuta della determinazione
e collaborazione dimostrata, ed era gratificata dal fatto che, spesso,
era capace di scoprire l'impostura del commerciante, malgrado la di
lui quasi sovrumana abilità nel travestirsi. La rete organizzativa
sviluppata per raggiungere questo obiettivo serviva egregiamente anche
quando esisteva minaccia di incendio, inondazione o guerra, per cui
la città ebbe esistenza lunga e moderatamente prosperosa. Dopo
parecchi anni, il commerciante morì. Già prima di allora,
tuttavia, il rituale primaverile di anticipare la sua visita era ormai
diventato un'impresa elaborata e appassionante, per cui si rese necessario
indurre la gente di città ad assumere il ruolo vacante. Ogni
anno, quindi, qualcuno si travestiva da commerciante per mescolarsi
fra gli estranei autentici. Chiunque avesse successo nel non essere
scoperto per tutto il tempo della Fiera otteneva il premio precedentemente
assegnato agli scopritori che avevano avuto successo. Dopo l'assegnazione
del premio si effettuava un'immensa celebrazione. Oggi, un secolo dopo,
il Festival del Commerciante costituisce ancora la più grande
vacanza della città. In mezzo al diletto della celebrazione,
nessuno si ricorda più della feroce lotta da cui essa aveva tratto
origine.
Cronache di Noga
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IL CIRCUITO INTERROTTO
Ci sarà sempre una Cartagine.
Annibale
Mi trovo qui per te, e tu sei qui
per me.
Multa Nasrudin
È del tutto possibile che l'umanità possa fare la fine
del dinosauro: troppo grande (per le sue estensioni tecnologiche) e
troppo stupida (causa la sua insensibilità relazionale) per participare
felicemente alla danza della vita. Comunque, è evidente che questa
non è la prima volta che l'estinzione ha minacciato gli esseri
umani e che questi, ciò nonostante, hanno fatto di tutto per
sopravvivere e prosperare, in forza di una certa flessibilità
ed abilità artigianale, nonché di una profonda incapacità
ad affidare vigorosamente sé stessi ad una specifica presenza
nella natura. Che il destino dell'umanità sia la sopravvivenza
o l'estinzione, ciò dipende semplicemente dal fatto che i processi
autocorrettivi descritti nell'ultimo capitolo comprendano o escludano
la nostra specie. La cultura occidentale appare impegnata in un frenetico
sforzo per curare sé stessa, pur precipitandosi, contemporaneamente,
verso la distruzione totale, a tasso accelerativo. Cerchiamo, comunque,
di essere equanimi nelle nostre visioni apocalittiche: «Distruzione
totale», «catastrofe ecologica», «olocausto
nucleare», e tutti gli altri termini premonitori denotano un grado
di finalità' per il quale non esiste alcun riferimento specifico.
Nessuno dei plausibili disastri totali attualmente concepibili potrebbe
estinguere tutta la vita sul pianeta, anche se la maggior parte di essi
potrebbe benissimo annientare la specie mammifera. Del tutto in generale,
parlare di pianeta morto è pura iperbole. Qualunque cosa accada,
probabilmente resterà un qualche tipo di ecologia - forse centrata
su lumachine che consumano e decompongono idrocarbonio. La natura, quindi,
risanerà sé stessa sia perché anche la specie,
così fastidiosamente ammalata, farà altrettanto, sia perchè
questa stessa specie si distruggerà, consentendo maggior gioia
e grazia alla fioritura di forme alternative di vita. Assumendo una
posizione astratta, simile a quella divina si potrebbe sostenere con
eguale ragionevolezza sia di rivolgere le nostre energie alla guarigione,
sia di portare a termine con il maggiore vigore possibile il nostro
destino distruttivo. Ma non siamo dèi, siamo umani, e non viviamo
in astratto, anche se i rappresentanti chiave della nostra tecnocrazia
sembrano esistere in esso, irrompendo a balzi attraverso il proprio
tempo in una specie di incoscienza meccanica, come se non potessero
ammetterlo. Siamo umani, e il non tentare di resuscitare la nostra umanità
e di sanare la nostra malattia potrebbe risultare tanto pretenzioso
e stupido quanto tutti i nostri altri tentativi per essere diversi da
ciò che siamo.
Inoltre, nella cultura occidentale, i processi di autorisanamento stanno
già affiorando, e tutto ciò che compiamo nella nostra
vita, per quanto banale, aggiunge energia tanto a questi processi, quanto
al nostro precedente corso lineare. Con la miglior buona volontà
e con la più raffinata coscienza politica del mondo, potremmo,
però, fare soltanto in modo di dedicare circa il 10 per cento
delle nostre ore di veglia al tentativo deliberato di curare il sistema
ammalato in cui viviamo, dedicando inconsciamente e automaticamente
l'altro 90 per cento ad aumentare e sostenere la sua patologia. Non
c'è alcun motivo per disperare di ciò o per perdere tempo
per l'esame di una coscienza tormentata da rimorsi, che, raramente,
porta a qualche cosa di vibrante e salutare. Quando la consapevolezza
della nostra posizione fra queste forze in conflitto passa dal livello
cognitivo a quello emotivo - cioè dal concetto alla sensibilità
corporale - possiamo fare affidamento sulle nostre sensazioni viscerali
e su quelle altrui per superare con maggior creatività e minor
sforzo questo difficile terreno. La cultura occidentale, come la struttura
della personalità schizoide, è costruita su di un circuitismo
interrotto di feedback. La rispondenza è bloccata e, al suo posto,
si inserisce l'istruzione programmata proveniente da un apparato concettuale
interno. Al posto del feedback altrui, la persona individualisticamente
programmata inserisce l'auto-feedback. Anziché armonizzarsi reciprocamente
in maniera sempre più intonata, ogni individuo obbedisce meccanicamente
al proprio programma, seguendo il proprio circuitismo chiuso fino a
quando non pone sé stesso in disuso. Il programma è veramente
suo, nel senso che la cultura fornisce una selezione limitata di istruzioni
ideologiche, per cui l'individuo è libero di crearsi la propria
combinazione caratteristica. Ciò che non è libero di fare
è di disobbedire all'istruzione di rispondere in modo meccanico,
di percepire forme non meccaniche di collegamento transpersonale, o
di ammettere di essere stato istruito ad essere «libero»
(cioè meccanico). Ciò è tipico delle tecniche di
mistificazione trattate da Laing e Bateson in rapporto alle famiglie
di schizofrenici. Ma, prescindendo da ciò che la nostra cultura
ci addestra a credere e prescindendo da ciò che ci diciamo l'un
l'altro, noi siamo reciprocamente connessi. L'unica cosa che cambia
è come siamo connessi: organicamente, meccanicamente, simbolicamente,
consciamente, inconsciamente, fisicamente, verbalmente, o che dir si
voglia. La nostra cultura tenta di spezzare le connessioni emotive fra
uomini per sostituirle con altre burocratiche. Addestrandoci a renderci
ciechi alla nostra interdipendenza di base cioè, formandoci
al mito di essere particelle isolate che si sforzano di trovare un modo
per andare insieme siamo indotti ad investire i nostri sentimenti,
i nostri bisogni e i nostri desideri in obiettivi ed istituzioni astratte,
ritenendo in ogni momento, così facendo, di essere indipendenti
l'uno dall'altro. La nostra cultura è come un uomo in posizione
negativa che ci persuade a frodare del dovuto a coloro che ci sono più
intimi per investirlo, invece, su di noi. Ovviamente, egli ci mostra
come farlo e ne trae il proprio beneficio. Siamo, sì, tuttora
connessi ma, adesso, tramite lui. Egli deride il nostro conformismo
alle persone e ci dice di farci le cose nostre, lasciando il coordinamento
a meccanismi sempre più remoti e impersonali, capiti da sempre
meno persone con sempre più potere negativo concentrato. Sapendo
che la coerenza è implicita alla vita stessa e che le risposte
adattive fanno parte del nostro diritto umano di nascita, egli si rallegra
quando forze vieppiù impersonali autorità in luogo
di gruppi stretti, burocrazia in luogo d'autorità, macchine in
luogo di burocrazia, simboli ideologici in luogo di macchine
scuotono questi istinti di adattamento e ci assicura come questa progressione
sia diretta ad una perfetta libertà. Ho già descritto
l'evoluzione delle propensioni dell'umanità moderna a interrompere
il circuito. Potrebbe anche risultare utile analizzare il modo in cui,
a livello individuale, si impara a interrompere il circuito. Noi nasciamo
in rapporto simbiotico con un altro essere umano. I nostri battiti cardiaci
e i movimenti del corpo sono in sincronia con i suoi. È indispensabile
che questo legame sia sciolto se si vuole che il bambino acquisisca
salute psichica e fisica, ed è altresì necessario estendere
la capacità di armonizzazione sensibile a comprendere molte altre
persone. Però, questa stessa capacità ha bisogno di non
atrofizzarsi, cosa che, in molte società non occidentali, non
accade. Che cos'è mai successo perché questa armonizzazione
interpersonale si frantumasse, per cui è possibile riempire il
gap verificatosi di regole, procedure, slogan, violenza, ordine e filosofia?
Ashley Montague indica un certo numero di strade. Nella nostra società,
alla nascita, il neonato viene generalmente isolato quasi immediatamente
dalla madre e posto in una gabbia senza tetto. Spesso, la sua sensibilità
tattile viene ulteriormente intorpidita dall'alimentazione in bottiglietta.
Questo è un utile addestramento sia per la padronanza, sia per
porsi in relazione con la macchina. Dacché le reazioni alla bottiglia
sono meno complesse e di gran lunga più prevedibili di quelle
del seno, il bimbo impara che i bisogni fondamentali si soddisfano maneggiando
oggetti inerti e insensibili, piuttosto che interagendo in un'armonia
reciprocamente adattiva con un altro organismo altrettanto complesso
quanto il proprio. Di più, nella maggior parte delle società
più «primitive», il bambino viene costantemente tenuto
in braccio o trasportato, il che richiede un adattamento reciproco complesso
di movimento e posizione. Nella maggioranza delle culture occidentali,
la sensibilità tattile viene altresì modificata dall'abbigliamento.
Ma, anche in quelle poche situazioni in cui è liberamente concesso
di toccare, lo sviluppo della sensibilità interpersonale è
limitato: «Margaret Mead ha fatto notare come l'attenzione del
bambino americano sia deviata dal rapporto con la madre mediante giocattoli
introdotti nel suo bagno». (Montague) Come la bottiglia, anche
questo è un buon addestramento per vivere in una società
piena di utensili. Esso contribuisce a spiegare la nostra tendenza a
dedicare le energie a semplici problemi meccanici che possono essere
«risolti» una volta per tutte, ignorando i problemi complessi
che richiedono costante adattamento e riaggiustamento e che riducono
a banale irrilevanza le nostre eleganti soluzioni una-volta-per-tutte.
La ricerca scientifica e socioscientifica, la legislazione sociale e
l'approccio dei Presidenti americani alla guerra del Vietnam, tutto
sembra radicato in questa esperienza della vasca da bagno. Gli oggetti
inanimati sono assai più facili da «maneggiare» e
noi siamo così scarsamente attrezzati ad aver rapporti con organismi
tanto complessi quanto siamo noi, da risultare allettante confondere
gli uni con gli altri. Oltre a tutta questa obbligatoria carenza di
contatto, esiste anche la convinzione ideologica che il bambino debba
«imparare a stare per conto proprio». Poche società
non occidentali hanno escogitato una regola del genere. Perché
mai il bambino deve imparare a starsene per conto suo? Per prepararsi
alla vita urbana, o per la vecchiaia? Forse, ma, anche così,
può imparare a porsi in relazione con oggetti inanimati facilmente
controllati e ad ottenere la propria istruzione da amministratori di
massa - dottori, televisione, giocattoli educativi, e così via
invece di imparare direttamente dall'interazione per prova ed
errore con altri organismi. Una delle più energiche tecniche
infantili che mai sia stata progettata per interrompere il circuito
è l'alimentazione programmata. La non rispondenza al bisogno
umano che, oggi, caratterizza le nostre istituzioni sociali deve probabilmente
qualche cosa al fatto che sono state escogitate, mantenute e condotte
da gente abbandonata a questo tipo d'addestramento. Nell'alimentazione
programmata, il ciclo fame-strillo-alimentazione-digestione-sonno viene
interrotto dalla madre che inserisce il concetto meccanico, quello cioè
di alimentare il figlio secondo il tempo automatico, anziché
secondo quello biologico. Già da tempo è stato riconosciuto
lo sfavorevole impatto di questa procedura sul benessere del bambino,
però, è degno di nota come possa essere anche forte sulla
madre. Entro certi limiti, la programmazione oraria potrebbe convenirle,
però, spesso, è costretta sia a sopportare strilli sempre
più intensi, fino a quando l'orologio non abbia compiuto il suo
ciclo, sia a negare il proprio desiderio spontaneo di alimentare, nutrire
e confortare lo strillante figlio. Di solito, si presume che la maggiore
enfasi contemporanea posta sull'alimentazione a richiesta sia una negazione
completa degli effetti della programmazione. Però, dal punto
di vista della madre, questo non è realmente il caso. Invece
di esser schiava dell'orologio è schiava degli strilli del figlio,
in altro modo si suppone che essa ignori le proprie risposte interne
di deferenza ad un principio meccanico. Nel sistema di richiesta, lo
strillo del bambino non è una comunicazione di sentimenti atta
a far scattare il bisogno emotivo di rispondere, ma, piuttosto, è
un segnale dotato di significato simbolico fisso. Invece di strillo
desiderio di lenire, abbiamo strillo - interpretazione (fame)
richiesta automatica di alimentazione. In tal modo, saranno i
genitori a interrompere il circuito, qualunque sia la serie di istruzioni
meccaniche che governa il loro comportamento. Entrambi tendono a formare
nei figli l'insensibilità. Lo stesso trabocchetto si trova nelle
istruzioni di allevamento dei figli della tradizione spockiana, malgrado
i frequenti ammonimenti di Spock a «fidarsi del proprio istinto».
In primo luogo, i nostri impulsi «spontanei» sono già
fin troppo ottusi e inquinati per potervi porre troppa fiducia e, anche
se non lo fossero, presto verrebbero soffocati da un libro zeppo di
istruzioni e connessioni causali. Un manuale per l'allevamento dei figli
può costituire un male necessario in una società carente
di comunità per l'allevamento dei bambini, però, è
piuttosto difficile sintonizzarsi ad un figlio con un libro in mano
e una testa piena di obiettivi. Il manuale è, per la madre, quello
che i giocattoli per la vasca sono per il figlio. Se la madre fa di
tutto per sensibilizzarsi al bimbo perde, in genere, il contatto coi
propri bisogni e sentimenti, e viceversa. La mia impressione sui prodotti
dell'allevamento spockiano del figlio è che, come gruppo, siano,
sì, più armonizzati ai propri visceri di quanto lo siano
i loro predecessori, ma anche meno sensibili ai bisogni e ai sentimenti
altrui - sensibilità negata loro da quei genitori che hanno soffocato
i propri bisogni allo scopo di produrre una progenie «sana».
Non è il contenuto della formula a interrompere il circuito,
ma la forma istruttiva in sé e per sé. Ovviamente, sarebbe
assurdo condannare l'interruzione del circuito come un male non diluito.
Vi sono momenti in cui la posposizione della gratificazione, il bloccaggio
dei sentimenti, l'interruzione della comunicazione, la desensibilizzazione
al proprio ambiente, e così via, sono apprezzabili, se non necessari
alla sopravvivenza. Ma i circuiti si interrompono molto più facilmente
di quanto si riconnettano, per cui ogni interruzione di circuito reca
in sé il pericolo di spirali di escalation difficili da fermare.
La nostra civiltà è giunta al punto in cui molti canali
di consapevolezza sono quasi interamente atrofizzati. L'Americano più
centrato sul corpo e più «sensorialmente risvegliato»
non potrà mai eguagliare il livello di sensibilità di
cui i cacciatori e i raccoglitori primitivi dispongono per tutta la
vita. È impossibile conservare una sensibilità del genere
in un ambiente di vita urbana. Non è possibile essere totalmente
armonizzati in un ambiente disperatamente discordante, tuttavia, è
pericoloso rimanere troppo a lungo fuori contatto con un tale ambiente,
o con noi stessi, o l'uno con l'altro.
Armonizzazione
In libri del genere, questo è il momento in cui si suppone che
vengano offerti suggerimenti per qualche tipo d'azione da intraprendere.
«Basta diagnosi, è ora di prescrivere». Non so perché
sia così, perché i libri d'analisi sociale debbano scimmiottare
il formato di una relazione su una ricerca di mercato o di un memorandum
da ingegnere. I suggerimenti dati mi appaiono sempre fatuio tanto vaghi
e generali da essere impliciti nell'analisi, o così concreti
e banali che si sarebbero potuti offrire senza passare attraverso di
essa. Desidero subito dichiarare la mia intenzione di violare la formula
tradizionale: non ho alcun suggerimento da dare. Ho descritto un modo
d'essere con le sue conseguenze patologiche. Ciò implica che
un certo tipo di capovolgimento di tale modo d'essere (di questo atteggiamento
mentale)potrebbe anche essere d'aiuto, però, come arrivarci non
può essere prescritto, soltanto scoperto. Dire altrimenti significherebbe
annunciare che ho preso in giro il lettore per tutto il tempo. Non è
possibile alcuna prescrizione meccanica per la demeccanizzazione; qualsiasi
persona dotata di un po' di quella consapevolezza che mi auguro di aver
rafforzata con questo libro ha la possibilità di iniziare a sperimentarla
con il proprio circuitismo in qualsivoglia sfera personale, politica
o professionale si proponga. Ogni cambiamento basato su di un
modo di pensare che abbia bisogno di parole come «progettazione»
e «effettuazione» non è per
nulla cambiamento, ma estensione del problema. Nulla di bene verrà
senza alterazioni dell'insieme mentale, per cui, dato un insieme mentale
più rispondente, quasi ogni attività comincerebbe a costituire
un cambiamento reale. È caratteristico degli Americani chiedere
«Che cosa dobbiamo fare?», ma la domanda è errata.
L'umanizzazione non deriva dal fare qualche cosa di specifico, ma, piuttosto,
dal fare tutto ciò che facciamo con differente orientamento.
«Che cosa?» è una domanda che non porterà
mai alla saggezza. La domanda «Che cosa dobbiamo fare?»
è, altresì, di tipo autoalienato, implicando che siamo
oggetti immotivati e insensibili, adatti soltanto ad essere manipolati
dall'istruzione, come robots, per scopi orientati al compito. Analogo
atteggiamento compare nella frase spesso ascoltata e piuttosto deprimente
«dobbiamo trovare il mezzo per motivarli... » , come se
la gente non avesse motivi propri, ma fosse un involucro vuoto da riempirsi
di bisogni e desideri per opera di operatori sociali, istruttori ed
altri elaboratori di gente. Abbiamo la tendenza a definire le nostre
azioni dall'esterno in termini di «problemi» avulsi da una
qualsiasi connessione con noi: «Che cosa dobbiamo fare per l'inquinamento?»
invece di «Sono stufo che l'aria sia viziata, per cui vado ad
affrontare quelli che la rendono tale e li faccio smettere». La
richiesta di una formula d'azione esprime anche il desiderio di controllare
il futuro, per cui, sebbene nessuna formula abbia mai partorito un tale
controllo, l'atto stesso di cercarla implica distacco dal nostro ambiente.
Armonizzarsi, d'altro canto, significa assumersi il rischio che l'affidarsi
sempre offre. Se ti affidi a una nave, questa può affondare -
se non lo fai, non affonderai mai - ma neppure navigherai. Armonizzarsi
significa affidare il proprio destino alla natura e ammettere la possibilità
di morire, la possibilità, cioè, che un cambiamento ambientale
possa dissolvere tutto. Ovviamente, nella realtà questa eventualità
viene assunta in ogni modo, nonostante le nostre ansiose misure di sicurezza.
L'unico modo per evitare la morte è, in primo luogo, il non essere
vivi. L'unico modo per evitare la perdita dell'amore è non amare.
E l'unico modo per evitare l'obsolescenza è di non finire mai
nulla. Nella nostra società queste soluzioni sono dominanti,
per cui parliamo e parliamo di assunzione di rischio, pur facendo di
tutto per evitarlo. Quando affermiamo l'importanza della flessibilità
è perché abbiamo paura di non possederla. Di solito, ciò
che chiamiamo flessibilità risulta essere distacco, disimpegno.
Il nostro discorrere di flessibilità altro non è che timore:
sappiamo che le cose fluiscono sempre e chiediamo a qualcun altro che
mantenga aperte le nostre opzioni e che non getti più di un giocattolo
per volta nell'acqua. Ciò che temiamo è di non avere in
noi la flessuosità di rispondere in modo da salvarci, qualora
ci si impegni totalmente in qualche corso prefissato d'azione e qualora
questo si dimostri poco maneggevole. Probabilmente, in questo abbiamo
ragione, dacché ciò che il distacco produce è,
in effetti rigidità. Si impara a nuotare nuotando - e a rispondere
a pressioni mutevoli restando in contatto con esse. Un'armonizzazione
del genere vuoi dire maggior rischio e maggiore sofferenza, ma anche
maggiore gioia. Nonostante il nostro addestramento culturale, il bisogno
di trovarsi in stato di rischio di verificare, cioè, la
propria armonia con la natura è profondamente radicato
nella psiche umana. Esso viene alla superficie nel desiderio di spaventarsi
ed esporsi a pericoli fisici reali o immaginari; aspetto importante,
questo, del parco dei divertimenti. Esso viene a galla nel piacere per
gli sports attivi e, in certo qual modo, rischiosamente armonizzanti,
quali lo sciare e il surfing, in cui godimento e abilità implicano
movimento in stato di armonia sensibile con adattamento alle forze naturali.
Esso emerge nell'amore per il gioco d'azzardo, in cui si verifica la
propria armoniosità con l'ordine astruso dell'universo. Esso
affiora nella «sfida al destino». Campioni e virtuosi di
ogni specie definiscono i propri successi in rapporto a due teorie opposte
e compartimentalizzate. L'una sottolinea il controllo, la padronanza,
l'auto-disciplina e la tecnica. L'altra sottolinea doni innati, ispirazione,
l'essere psicologicamente «disposti» o «insieme»,
nonché il trovarsi in un certo tipo di armonia mistica con l'ambiente.
Nella nostra società, tendiamo a porre l'accento primario sulla
teoria della padronanza e a relegare l'altra nel regno della superstizione.
Victor Gioscia fa tuttavia notare come noi vediamo e sentiamo perché
i nostri organi sensoriali sono sincronizzati con certe onde ambientali
di frequenza. Noi abbiamo la tendenza a considerare vista e udito, con
tutte le loro amplificazioni, in termini di padronanza, ma, in effetti,
vediamo e sentiamo perché siamo in armonia con queste minuscole
particelle ambientali. Le grandi acquisizioni possono essere considerate
dalla stessa prospettiva, in quanto chiaramente dipendono dall'essere
nel posto giusto al momento giusto con la giusta esperienza e il giusto
stato mentale, cioè in particolare sincronia con le condizioni
ambientali. Quando dico che il contenuto dell'azione è meno importante
dell'orientamento interno col quale viene eseguita, ho in mente qualche
cosa del genere. L'atteggiamento armonico è sensorialmente e
visceralmente aperto, recettivo e rispondente, capace cioè di
modificare la direzione come risposta al feedback derivante sia dall'interno,
sia dall'esterno.
L'armonizzazione presume una presenza motivata ed energica. Le persone
che, nella nostra società, «suonano a orecchio» non
hanno spesso idea di ciò che vogliono e si immergono nella situazione
con la stessa indifferenza emotiva e sensoriale di coloro che vi si
immergono altamente programmati. Armonizzazione comporta attiva rispondenza
concentrata. Il suo opposto, l'atteggiamento di padronanza, si evidenzia
per il suo obiettivo, palese o nascosto, di esagerazione dell'ego. Alle
osservazioni da me testé fatte, spesso le persone obiettano il
difetto di non fornire un mezzo per effettuare un impatto sufficientemente
ampio sul sistema.Queste persone vogliono, invece, imprimere il loro
marchio. Ma è proprio questo impulso alla grandiosità
che ricrea intorno a noi la malattia. L'azione sociale basata sulla
superiorità è parte del problema, non parte della soluzione.
'L'azione radicale della classe media prende spesso le mosse da persone
sedute in circolo che si sforzano di immaginare, in termini di cambiamento
sociale, come effettuare la maggior strage e, conseguentemente, perpetuare
un monumento di sé. Il tutto, talvolta, viene mascherato attraverso
l'assunzione di un atteggiamento di zelante responsabilità sociale
e di colpa globale, ma, in effetti, non è altro che superbia
personale. Assumersi un'attiva responsabilità personale di un'intera
classe o nazione costituisce il vertice della presunzione, ancorché
si potrebbe desiderare, a causa di un sentimento di repulsione interna,
dissociarsi dalle azioni di questa classe o nazione ed opporsi ad essa.
La responsabilità comincia e finisce con l'essere un terminale
nervoso rispondente per ogni sistema al quale si appartiene. Ciò
non significa che sia necessario abbandonare la speranza che, nella
propria vita, si verifichi un cambiamento significativo al di là
del proprio ambiente immediato. Le buone notizie viaggiano in fretta,
e i media, nonostante tutti i loro difetti, sono affamati di novità
sociale, ed effettuano un buon lavoro nel diffonderla. Chiunque si dia
da fare per generare intorno a sé un ambiente più favorevole,
ne troverà altri già da molto tempo prima impegnati in
processi analoghi. Se si è interessati che venga reso noto qualcosa
come il Piano di Mary o John Doe e che sia effettuato su scala di massa,
questo diventerà, tosto, un ambiente malevolo per parecchie altre
persone; ma, se la conoscenza si diffonde organicamente, l'innovazione
verrà modificata, nel momento stesso in cui si diffonde, in migliala
di modi differenti e nessuno si preoccuperà del credito dell'idea.
Il problema è più complicato per i gruppi oppressi, che
possono scoprire come la creazione di un ambiente ristretto più
favorevole suscitil'ostilità dei rappresentanti del sistema ammalato.
Come minimo, questo li costringerà ad autodifendersi e, probabilmente,
a compiere un certo quantitativo di mobilitazione intenzionale. Per
esempio, questa è stata l'esperienza delle Pantere Nere. Comunque,
tale mobilitazione sorge spontanea dall'esperienza immediata di un'acuta
oppressione, per cui non è da paragonarsi alle dimostrazioni
alla James Bond degli ideologi della classe media. Armonizzazione esige
da ogni persona qualche cosa di diverso, ma, a volte, può implicare
un comportamento diametralmente opposto per persone di classi differenti.
Continua >>>>>
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