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Materiali per Operatori del Benessere Immateriale
Earthwalk
CAPITOLO 5 (prima parte) / v. Capp. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7
PARABOLA 5
Un soldato giapponese chiamato Solchi Yokoy si trovava nell'isola di Guam quando fu occupata dalle forze americane. Fedele al codice dell'esercito, che proibiva la resa, egli, con un gruppo di camerati, si diede alla giungla e si nascose nelle caverne. Trascorsero vent'anni e tutti i suoi camerati o morirono o furono catturati. L'imperatore si era già arreso dal dì, ma Yokoi restava fedele. Per più di otto anni rimase nascosto, completamente solo. Alla fine, trent'un anni dopo aver lasciato la terra natia, venne scoperto e ritornò in Giappone, per trovarlo totalmente trasformato. Egli presentò le proprie scuse per aver disonorato l'imperatore.

PROGETTANDO IL PALLONE GUIDA ovvero
LA CALATA NEL FUTURO

È sistema celeste prendere da ciò che possiede in eccedenza al fine di rendere buono ciò che è deficiatario. Il sistema dell'uomo è diverso. Prendere dagli indigenti al fine di offrire a coloro che già ne hanno più che a sufficienza.
Lao Tzu


L'impuro e l'organico sono concezioni intercambiabili.
C. S. Lewis


I popoli d'Occidente hanno una gran confusione su quanto concerne il cambiamento sociale. Sono indotti a credere che esso si determini soltanto attraverso una politica pubblica consapevole, quando, in effetti, i cambiamenti che realmente contano si verificano per minuscoli incrementi, ogni qual volta qualcuno compra o edifica qualche cosa. Essi, altresì, immaginano che i cambiamenti sociali importanti si possano realizzare semplicemente decidendo di farli. Come risultato, è possibile udire simultaneamente solenni dichiarazioni secondo cui il cambiamento è perpetuo ed accelerativo, oltre a scoraggiati compianti perché, in realtà, non cambia nulla.
È mia opinione che i nostri sforzi per risolvere i problemi sociali abbiano generalmente creato una miseria e un'ingiustizia sociale maggiore dei mali contro cui questi sforzi erano stati diretti. Gli Americani affrontano il cambiamento sociale con la sollecitudine di un patito della slot-machine, vomitando nel processo politico leggi e ordini di carattere amministrativo come quarti di dollaro. Questo non è fare la tradizionale richiesta di maggiore pianificazione, che, in genere, significa prendere le stesse decisioni su scala più gigantesca. Quanto segue non è tanto diretto a coloro che, attualmente, cercano di buttare all'aria il nostro mondo, ma a coloro che desiderano correggere questa condizione buttando all'aria sé stessi. Non è mai stato sufficientemente sottolineato come le miserie di cui la gente ora soffre nel mondo occidentale siano state ampiamente determinate da persone convinte di fare del mondo un posto migliore, più sicuro e più felice. La presunzione, senza il più approfondito esame di sé, che un qualsiasi nuovo programma audace, preso attualmente in considerazione, risulti, in qualche modo,
differente, non è soltanto arrogante, ma stupida. Gli uomini che hanno avuto la brillante idea di annientare le zanzare inzuppando il mondo di veleno dovevano ben saperla lunga, però noi, dopotutto, abbiamo il vantaggio supplementare di questa fatale esperienza. Ciò non vuol dire avercela col cambiamento, ma fare un tentativo per provocare un certo tipo di riflessione nei suoi riguardi. In questo capitolo, desidererei trattare quelli che ritengo siano profondi fraintendimenti riguardo al cambiamento, condivisi sia da liberali, sia da radicali, sia da conservatori.

Cambiamento e tensione

La prima concezione erronea è che sia possibile ottenere il cambiamento senza tensione. Ci viene detto quanto siano adattabili gli esseri umani - quanto la cultura ci abbia liberato dai nostri corpi, tanto da poter oscillare per qualsiasi cosa il cincischiamento scientifico, la tirannide governativa o la moda intellettuale potrebbero ritenere idonea infliggerci. È vero che gli umani sono adattabili, ma la loro adattabilità ha un limite. È anche vero che l'adattamento, però, è carico di tensione. In effetti, una delle conseguenze della nostra adattabilità ipertassata è quanto risulti ancora più carico di tensione l'adattamento ad una condizione più felice quando venga rimossa una miseria cui eravamo adusati. Toffler fa notare come il corpo risponda alla novità con massiccia mobilitazione fisiologica - con una « risposta d'orientamento », contrassegnata da una pesante scarica adrenalinica. Quando il cambiamento diventa cronico, analoga diventa la risposta d'orientamento, con conseguente danno per l'organismo. Questo è un altro esempio di meccanismo d'emergenza che diventa cronico, con le solite conseguenze distruttive. Uno dei segreti meglio conservati della scienza medica (in effetti, non fa vendere pillole) è che la causa maggiore di malattia è il cambiamento. La gente che vive in ambienti stabili, adeguatamente nutrita, gode, generalmente, di buona salute, mentre chi, come noi, è soggetto a costante cambiamento di contesti vitali tende ad ammalarsi di più. Inoltre, secondo quanto Toffler ha or ora proposto all'attenzione pubblica, esiste correlazione diretta fra il numero di cambiamenti importanti (residenza, coniuge, mansione, ecc.) sperimentato da una persona in un dato periodo e possibilità di cadere ammalati. Più importante di tutto, un effetto del genere si verifica anche quando tali cambiamenti sono voluti. In altre parole, si è trovato che il cambiamento è nocivo alla salute. Se trapiantati, fiori e piante spesso muoiono e lo stesso, talvolta succede ad animali e uomini. I viaggiatori si ammalano con indebita frequenza, anche se liberi da pressioni ordinarie e se, presumibilmente, si divertono. I vecchi, per i quali l'adattamento è più pesante, se istituzionalizzati, muoiono con rapidità tale per cui le corsie geriatriche di molti ospedali di stato sono state definite camere a gas ad azione differita. A quanto pare, l'allegro assunto della nostra cultura secondo cui il cambiamento cronico è condizione di vita adatto agli esseri umani, ha bisogni di essere rivalutato. D'altro canto, molte persone sopravvivono. Non è forse questa una dimostrazione di quanto, in effetti, sia possibile adattarci con successo? Ovviamente, questa è la posizione di Toffler. Dopo aver ammucchiato prove per dimostrare lo stridente impatto del cambiamento sull'organismo umano, egli si stringe semplicemente nelle spalle per dire che è necessario un adattamento più rapido, se si vuole che il mastodonte tecnologico continui a ricevere la sua sempre crescente razione giornaliera di sangue umano. Come un allenatore di calcio maniaco di vittoria, egli ci incerotta, ci rimpinza di Novocaina e ci rimanda in campo. Per adattarci al cambiamento, è proprio con l'equivalente psichico della Novocaina col quale dobbiamo avere a che fare. Insipidendoci alla vita, allontanandoci dai nostri sensi, perdendo i fatti nell'annebbiamento della concettualizzazione, evitiamo il trauma della separazione personale. « La gente è ovunque » costituisce un apprezzabile palliativo per coloro che hanno perduto la capacità di conoscere realmente qualcuno. Da un jet transcontinentale si ha l'impressione che ben poco accada quaggiù. La panoramica è la stessa per l'ubriaco suburbano, per la donna di casa sollevata dai tranquillanti, per il tossicomane. Qualsiasi mezzo si adoperi, il principio è lo stesso: iI cambiamento ti tocca se ti trovi qui. Se puoi andare tanto oltre da concettualizzare il precambiamento e il postcambiamento, sei libero dall'onere dell'adattamento.Se, però, ci lasciamo annebbiare da esso, o consentiamo a noi stessi di basarci su di esso, sia che diamo ad esso inizio o soltanto lo sperimentiamo sia che lo desideriamo o temiamo, il massiccio cambiamento ambientale - sociale o tecnologico, popolare o autoriatario, radicale o plutocratico che sia - è carico di tensione e porta alla brutalizzazione dell organismo umano.

Futilità dei programmi positivi

La seconda concezione errata è che il sistema sociale in cui viviamo sia statico e vuoto - un contenitore, cioè, immoto da riempirsi di piani, programmi ed energia. In effetti, l'energia viene, sì, richiesta per cambiare direzione, ma non è lo stesso come dire che, attualmente, esiste un vuoto energetico. Il sistema americano è sempre quello di aggiungere qualche cosa, di dare l'avvio a qualche cosa, di creare nuove attività. Malgrado ciò, si riversano grandi quantitativi d'energia in attività e istituzioni già esistenti e, in genere, risulta assai gravoso rifornire il tutto con qualche cosa di nuovo. È raro che qualcuno prenda in considerazione il rapporto d'energia fra ciò che già esiste e ciò che deve essere aggiunto. Se il ricco ruba al povero, avviamo un programma per compensare il povero. Se la gente marcisce in grandi ospedali mentali, creiamo piccoli centri modello di trattamento. Il vocabolo « modello » è assai sfruttato dal nostro vocabolario sull'attività - città modello, scuole modello, programmi modello. Il concetto è, sì, assennato, ma, in un modo o nell'altro, sembra che i modelli non incontrino mai il gusto delle masse - forse perché nessuno presta attenzione a ciò che trattiene così tanta energia legata alle vecchie strutture. Dacché siamo convinti che il cambiamento sociale aggiunga qualche cosa, si presenta sempre il problema del costo: quanto costerà un nuovo programma? Se, invece, si considera il cambiamento come energia reindirizzante, anziché intrapresa, di un nuovo compito, il problema del costo diventa meno rilevante. Per esempio, si sostiene che non possiamo permetterci migliori scuole, migliori comunità, migliore cura sanitaria, e così via. Però, ciò che possiamo permetterci meno di tutto è di consentire a certa gente di diventare troppo ricca. Questo, sì, che è il nostro programma più costoso: per renderlo possibile, abbiamo speso miliardi su miliardi di dollari, abbiamo permesso che l'aria e l'acqua venissero inquinate, che l'ambiente imbrunisse, che le città si deteriorassero, che le nostre cure sanitarie diventassero di terza categoria, che si determinasse immensa povertà, miseria, malattia, sofferenza, caos, disordine e sterminio di massa. Nondimeno, siamo riusciti a permetterci tutto ciò. La maggior parte dei nostri problemi verrebbe assai meglio risolta da un'azione negativa, piuttosto che da una positiva; cioè a dire, essi cesserebbero di esistere se la facessimo finita di premiare la gente perché li crei. La nostra politica nazionale è sempre stata quella di sovvenzionare in svariate maniere il ricco e l'ambizioso. Attualmente, per esempio concediamo incentivi a coloro che sfruttano e brutalizzano l'ambiente -siano essi promotori di sviluppo, taglialegna, appaltatori d'autostrade, compagnie petrolifere, fabbricanti. Attenuiamo i loro rischi, li agevoliamoper le tasse, offriamo loro incentivi per compiere ciò che, di per sé, è già altamente lucrativo. Per esempio, abbiamo concesso alle compagnie petrolifere, mediante autorizzazioni ad esaurire le scorte e mediante quote di importazione, miliardi di dollari affinchè saccheggino l'ambiente, conservino prassi inefficienti, si impegnino in pubblicità costosa e disonesta (quello che una compagnia petrolifera spende per cambiare denominazione potrebbe far fronte ad un budget annuale destinato al benessere di una città piuttosto grande) e affinchè conservino l'arcaica concezione di essere industria petrolifera piuttosto che essere industria dell'energia. Il fatto che una corporazione si assuma alcuni rischi al fine di ottenere un profitto enorme appare essere una ragione inadeguata per farle l'elemosina. Una cosa è pagare per un servizio necessario, tutt'altra cosa è garantire un eccessivo benessere economico a coloro che si assumono un mediocre rischio per fornirlo. Le imprese vacillanti possono essere poste su base non-profit se ciò che forniscono è realmente essenziale. Ciò nonostante, mentre la crescente inefficienza delle poste viene talvolta attribuita al fatto di essere un ente governativo, questo argomento crolla sul fatto che, nello stesso decennio, il servizio telefonico si è andato deteriorando ancor più drammaticamente, malgrado i costanti incrementi di tariffa e i lauti divedenti degli azionisti. Oltre a ciò, quantunque le Poste degli Stati Uniti siano, di per sé, non-profit, esse hanno fornito profitti ad altri attraverso la categoria della posta di terza classe, l'eliminazione della quale, a favore di corporazioni basate sul profitto, sarebbe servita molto a migliorare il servizio. Ci preoccupiamo della sovrappopolazione — e soprattutto di quella degli Americani, dacché l'impatto deleterio di un solo Americano sull'ambiente è di gran lunga superiore a quello di una persona del Terzo Mondo. Malgrado ciò, il nostro sistema tributario ci premia se abbiamo dei figli. Analogamente, ci lamentiamo perché i promotori dello sviluppo spazzano rapidamente via, a colpi di bulldozer, tutti i belli spazi aperti, creando brutti quartieri di case separate, circondate da inutili strisce di erba seminata. Ciò nonostante, concediamo sgravi fiscali al proprietario del comprensorio. Chiunque è in grado di moltiplicare gli esempi: io ho menzionato soltanto quelli economici; comunque, non è necessaria una stragrande abbondanza di fatti a sostegno della tesi che la gente, senza incentivi, non commette in modo trasparente atti folli. Qualsiasi abuso ci circondi è, in un modo o nell'altro, da noi incoraggiato, per cui ha un senso scoprirne il perché. Ci fa piacere che un cambiamento sociale parta da un progetto che abbiamo in testa — che siamo noi ad avviare un processo di cambiamento. Questa è ignoranza e megalomania. Quando decidiamo un corso d'azione, noi rispondiamo a qualche cambiamento già avvenuto. Stiamo, cioè', affermando che esso ci danneggia e che desideriamo evitare questo danno. Il modo di pensare meccanico e l'Etica Protestante ci hanno resi ciechi al fatto di essere anelli di una catena continua di feedback. Ci illudiamo, con i nostri nuovi programmi audaci, di ricominciare sempre da capo e questo è il motivo principale del loro fallimento.


Judo sociale, ovvero, quel che è giusto è giusto

La terza illusione riguardante il cambiamento sociale è che si possono effettuare le riforme auspicabili quando gli oppositori vengono posti in minoranza o rieducati circa quello che è il loro interesse migliore. L'ampollosità delle sinistre riguardo a questo punto è tanto stravagante che vale la pena ricordare come la maggioranza dei mali che la sinistra cerca di arginare era stata già in precedenza completamente attaccata dai conservatori. Le storie e le biografie sulle quali veniamo allevati ci presentano Eroi del Progresso che sopraffanno Ostacoli ostinati al Progresso. Però, col trascorrere degli anni, i mormorii di scontento di quelli che conservano gli Ostacoli sono sempre più difficili da differenziare dalle argomentazioni dei radicali contemporanei. Il reazionario di ieri è l'utopista di domani. Chi abbraccia l'idea del progresso lineare non può tollerare questo tipo di manifestazione ciclica. Posto di fronte ad affermazioni di uomini e donne che hanno tentato di bloccare cinquant'anni fa' le devastazioni della tecnologia, esso le accantona perché hanno un significato diverso o perché adatte a ragioni sbagliate. Però, questo è snobismo intellettuale: in effetti, le ragioni erano esattamente le stesse, in un periodo in cui tali ragioni non erano ancora di moda. Per decenni, i reazionari hanno frapposto barriere al carbonchio tecnologico. Si sono uniformemente opposti al potere governativo centralizzato e all'ipertrofia della branca esecutiva della nostra amministrazione pubblica. Hanno attaccato la burocratizzazione, sogghignato all'ingenua fiducia nel progresso, lamentato che l'accelerazione del tasso di cambiamento distruggeva gli umani valori. È soltanto da un decennio, o giù di lì, che l'interesse per i problemi ecologici è stato accantonato da liberali e radicali come stravagante preoccupazione reazionaria. I primi oppositori a Pasteur e alla teoria dei germi nella malattia — considerati per mezzo secolo, o più, come uomini privi di immaginazione - suonano stranamente moderni, adesso che questa teoria è durata più a lungo della sua utilità. Oppure, prendiamo in considerazione un problema passé più di recente: la fluoridazione — causa liberale per eccellenza. Un'affermazione scientifica viene realizzata sotto forma chimica ed applicata su base di massa, per il suo bene, ad una popolazione. Coloro che si opposero a tale processo furono derisi come arcaici e paranoici — igiene dentaria e igiene mentale si ergevano fianco a fianco contro le forze dell'oscura ignoranza. Oggi, intorpiditi dalle tante e ben più gravi intrusioni della mentalità burocratica, sembra difficile ricordare in che cosa consistesse, all'incirca, questo trambusto, ma, in retrospettiva, sembra che le forze della tenebra abbiano avuto una certa qual coscienza ecologica e politica più profonda di quella dei loro divini oppositori. Ma non trascuriamo considerazioni contemporanee. Oggi, i conservatori sono contrari al controllo delle armi e al disarmo unilaterale. Per avere assunto queste posizioni, vengono considerati ottenebrati e violenti, però è necessario ammettere, almeno, che tali posizioni sono coerenti. Prese insieme, esse implicano che, data l'esistenza di armi, quanto più queste sono egualmente distribuite, tanto meglio è. Pur preferendo personalmente che tutto questo armamentario venisse abolito, secondo me questa posizione è incontestabile. Una così ampia disponibilità di armi per una popolazione turbolenta come la nostra rende la vita estremamente insicura. Malgrado ciò, non si dovrebbe disarmare neanche una plebaglia violenta e folle finché soggetta ad un ancor più folle governo iperarmato sul quale essa ha scarso, se non alcun controllo. Non fossi abituato alla caratteristica incapacità con la quale i liberali collegano singoli problemi a contesti più ampi, resterei stupefatto della loro disponibilità a disfarsi di uno dei pilastri del Bill of Rights. Si noti come l'esigenza di controllo delle armi si sia diffusa soltanto quando le armi riservate al fratricidio cominciarono ad essere rivolte contro figure pubbliche. Ogni stato desidera, si, conservare quanto più possibile il monopolio dell'assassinio e della violenza, però, parlando del tutto in generale, quanto più ha successo nel farlo, tanto peggio vanno le cose per la sua popolazione. I liberali sono del tutto corretti nel sentire che non si dovrebbe concedere potere di vita e di morte a chiunque; tuttavia, se lo si deve concedere, sia concesso all'intera comunità. Ma un governo autoritario non è una comunità, ed è un malaugurato paradosso che proprio quell'individualismo da tali governi universalmente determinato spesso appaia essere la sola protezione contro di essi. Tale protezione è illusoria, dacché individualismo significa, in pratica, che ognuno si erga, solo, contro quella forza centralizzata coordinante che l'individualismo stesso rende necessaria. Pure, fino a quando non si trovi qualche cosa di meglio, è tutto quello che abbiamo. Riservare tutte le armi a coloro che sono in uniforme significa abbandonare la penultima pretesa di democrazia. Un uomo in uniforme si rende strumento del potere personale di un altro uomo — a quali fini non può sapere. Egli e tutti coloro che indossano quest'uniforme sono estensioni concentrate di quel potere, e, conseguentemente, assai più pericolosi del singolo lunatico dotato di fucile. Ne può esser accantonata alla leggera la preoccupazione conservatrice circa le posizioni competitive di potere all'estero. La storia delle società umane' è di quelle in cui comunità umane felici e sane sono state continuamente invase, o spazzate via, da altre competitive, arcigne ed emotivamente deprivate, per cui, se mai dovessimo evolvere da quest'ultime alle prime, avremmo la possibilità di subire lo stesso destino, a meno che il resto del mondo armato non evolvesse allo stesso ritmo. Non desidero, comunque, sorvolare sul fatto che questa preoccupazione costituisce un poderoso deterrente per chiunque evolva in tale direzione e, di conseguenza, massimizzi la probabilità di distruzione della specie. Parecchi trarranno l'impressione che queste osservazioni siano frivole. Un qualsiasi intellettuale, con tanto di diploma, potrebbe collezionare una quantità d'esempi per dimostrare come i conservatori che assumono questa posizione siano motivati da considerazioni meno nobili di quelle da me proposte. Ciò nondimeno, quando un qualsivoglia ampio numero di persone abbraccia una posizione ideologica e la difende con passione esso costituisce campione di un bisogno umano condiviso non soltantanto da esso stesso, ma anche dai suoi oppositori, i quali, di conseguenza, si risparmiano di dedicarvi, dentro di sé, attenzione. Chiunque cerchi il cambiamento sociale ignorando questi bisogni è, con tutta probabilità, destinato al fallimento, e chiunque cerchi un mondo più umano non ci riuscirà mai, se si dedicherà alla loro soppressione. Spesso, per esempio, i radicali tendono ad essere controfobici circa il cambiamento, denegando i propri bisogni di sicurezza, dipendenza e stabilità. Adottano la posizione dell'awenturiero senza macchia di fronte all'ignoto — del non restare, cioè, intimoriti dai pericoli che stanno loro innanzi e dello sprezzare coloro che tentennano ed esitano. È mia impressione che, se i loro bisogni di stabilità vengono troppo fortemente repressi, questi riappaiano nella loro ideologia sotto forma di rigidità. In altre parole, se dovessi accingermi a provocare e a modificare tutto ciò che resiste, cercherei la sicurezza nella perfezione e nell'inalterabilità della mia teoria. Forse questo, più di qualsiasi altra cosa, è ciò che spiega la frantumazione che affligge i movimenti della sinistra. Questi punti di vista sono influenzati da molti anni dedicati alla conduzione di encounter groups, nei quali ho potuto osservare come coloro che esercitano una pressione maggiore per un'esperienza « intensa » di gruppo sono, assai spesso, i più resistenti quando si verifica, mentre coloro che appaiono fin dall'inizio timidi e difensivi realizzano, talvolta, i cambiamenti più profondi. In un gruppo, il conservatore emotivo consente agli altri di esporre piani d'azione più coraggiosi di quanto si rendano conto. Nella mia esperienza di gruppo, qualsiasi posizione assunta, per quanto possa apparire al momento repellente, irrilevante o ostruzionistica, è radicata in sentimenti meno consciamente condivisi dagli altri membri del gruppo. Tali sentimenti vengono ignorati a caro prezzo. Il movimento concreto si verifica quando si abbandona la falsa divisione emotiva del lavoro a favore del riconoscimento de (1) la legittimità di tutti i sentimenti, (2) i conflitti all'interno di ogni persona, e (3) le concrete differenze fra persone nel modo in cui questi conflitti vengono interiormente sistemati. È possibile, allora, abbandonare il rollare con la corrente, nonché il compromesso, a favore della sintesi — inquantoché, mentre i sentimenti e i bisogni umani di base sono pochi e semplici, gli adattamenti sociali per la loro espressione sono molteplici e complessi. Uno dei bisogni umani a cui i radicali concedono poco spazio è il bisogno, nella vita quotidiana, di ordine, di routine e di prevedibilità. Questo bisogno è tanto importante che molte persone hanno la possibilità di sopravvivere in una sgobbata quotidiana priva di interessi, prosciugante ed oppressiva pur conservando una piccola quantità di felicità, mentre altri, che hanno la possibilità di vivere in una vacanza perpetua, costantemente esposti a nuove esperienze entusiasmanti, sono dei poveracci. L'aula scolastica tradizionale è stata creata da persone che non prestavano attenzione alcuna ai bisogni umani — ad eccezione della guerra, questa è stata forse l'unica e più brutalizzante influenza sulla cultura occidentale — tuttavia, chi ammette ciò, spesso ha reagito creando un ambiente scolastico che disprezza anche quei pochi bisogni umani che la tradizionale aula scolastica, col suo ritualismo, la sua prevedibilità e la sua completa libertà dalle responsabilità, soddisfaceva. L'importanza dell'ordine diventa evidente durante i periodi di lotta civile. L'impatto iniziale di quella che viene disinvoltamente chiamata «situazione rivoluzionaria» è una sensazione di liberazione ed eccitamento — assomigliando all'esplosività con cui i bambini prorompono da un edificio scolastico autoritario. Spesso, i radicali interpretano questa aria festosa come un certo tipo di esplosività permanente e si scoraggiano quando, dopo qualche settimana, evapora, determinandosi una massiccia corrente popolare per la restaurazione dell'ordine sociale. Eppure, siamo circondati da prove secondo cui la gente, per l'ordine, è disposta a sacrificare quasi tutto, malgrado il suo immenso rallegrarsi dei periodi di libertà. Sebbene l'ordine sociale sia soprattutto vantaggioso per il ricco — in quanto protegge la sua posizione di favore — anche il povero, per quanto disgraziato, sembra desiderarlo. E nemmeno i rappresentanti della controcultura sono immuni da questo bisogno, quantunque spesso non armonizzino con esso. I disordini civili si adattano semplicemente meglio alle loro routines che a quelle del mondo senza deviazioni. Se queste routines vengono disturbate per un lungo periodo di tempo, essi, comunque, reagiscono nello stesso modo. Come fa notare Bateson, l'ordine di una persona costituisce forma di disordine per un'altra, dacché a nessuno piace adattarsi esattamente nello stesso modo al mondo. Il bisogno di ordine è quello che rende tanto potenti le azioni di protesta. La gente, infatti, è molto spesso propensa a fare alcune concessioni pur di restaurare la routine. Tuttavia, accettare la solita versione polarizzata di questi eventi, significa perdere la maggior parte di quanto sta accadendo. Entrambe le parti desiderano l'ordine, ed entrambe desiderano la liberazione dalle costrizioni che le opprimono, però ognuna di esse afferma un solo aspetto di questa ambivalenza, lasciando all'oppositrice di esprimere l'altro. Ognuna di esse, altresì, crede fermamente nella semplicità della propria posizione pubblica. Tuttavia, sotto sotto, si osservano straordinari paradossi. La vittoria dei protestatari dipende dalla loro maggiore tolleranza per il disordine rispetto ai loro oppositori, però, accade spesso che essi vengano sconfitti proprio perché, dal canto loro, è reperibile, ben nascosto, un ampio segmento della psiche dell'establishment. Entro i limiti in cui le autorità si avvantaggiano del sentimento liberatorio di crisi e caos, esse sono in grado di lasciarlo manifestare fino a quando i protestatari stessi non sentiranno il bisogno di tornare alle loro attività di routine, per cui la protesta, pertanto, potrà terminare. A volte, ciò si è verificato durante alcuni scontri universitari degli anni '60. In altre parole, il segreto piacere di disordine porta ad una più elevata capacità di opporre, come arma, il disordine stesso. Un altro paradosso si ha quando le autorità, guidate da un miscuglio di sentimenti di terrore e fascino circa il disordine, utilizzano, al fine di «restaurare l'ordine», lo stesso disordine, sotto forma di plebaglia violenta composta di uomini armati e in uniforme, cosa questa che, in genere, non riesce a fare (ne c'è da sorprendersi, data la confusionalità della motivazione). Spesso i protestatari restano colpiti da questa violazione del proprio senso dell'ordine. La richiesta della rimozione della polizia o degli uomini di custodia costituisce, essa stessa, richiesta di ripristino dell'ordine. La semplicità della posizione polarizzata dei valori maschera, così, un intricato groviglio di alleanze emotive recondite. L'affermazione «Io voglio A, non B, essi vogliono B, non A» significa, generalmente, «So che vogliono B più di me, per cui posso contare così pienamente sulle loro pressioni per ottenerlo da permettermi di essere inconsapevole della mia minore urgenza del bisogno di esso. Contemporaneamente, dacché non ho alcuna possibilità di scorgere il loro bisogno di A, debbo enfatizzarlo in ogni momento». Questo processo viene chiamato distribuzione d'ambivalenza ed è più evidente nelle coppie coniugate che trovano pressoché impossibili rendersi conto della complessità dei loro bisogni e sentimenti a fronte dell'inevitabile spinta verso la specializzazione emotiva. La maggior parte di noi è portata ad immaginare che le nostre reazioni spontanee sia fisiche, sia emotive, siano intime ed uniche - non collegate ad altri. Così la nostra fede individualistica ci garantisce che tutte queste reazioni non siano, di fatto, spontanee, ma contaminate da egoismo. Dacché la gente è nata interdipendente (William Condon della Boston University ha dimostrato con film al rallentatore come i movimenti fisici del prossimo durante la conversazione siano, di norma, in perfetta sincronia, sebbene ciò non sia percettibile a occhio nudo) ognuno di noi è abituato al fatto (e dipende da esso) che alcuni suoi sentimenti e bisogni siano espressi da altri. Pertanto, il cercare all'interno ogni bisogno o sentimento ha la probabilità di produrre assunti erronei. Alcuni dei nostri bisogni di base risultano espressi più pienamente da altri. Nessuno di noi esprime in maniera incontaminata i propri bisogni e sentimenti — essi sono alterati da narcisismo, ideologia, volontà, colpa, difensività, razionalizzazione, nonché dall'assoluta complessità dei sentieri d'espressione da noi forgiati attraverso tutte queste resistenze. Un uomo può essere in grado di trovare soddisfazione sessuale soltanto strangolando vecchie signore o masturbandosi sotto una radichiella: possiamo identificarci col suo desiderio sessuale, ma non col tortuoso sentiero nel quale il suo ego l'ha confinato; e se cerca di giustificare il suo comportamento in termini di spontaneità, il meno che possa aspettarsi è una nostra risata in faccia. Tutti siamo poveri giudici della nostra spontaneità. Ciò che appare «naturale» può essere soltanto abituale, oppure, semplicemente, un nuovo sentiero soltanto un po' meno contorto del vecchio. Nulla di tutto ciò ha a che vedere con la tolleranza. La tolleranza
implica una mancanza di connessione fra opposte vedute, nonché uno sforzo volenteroso per ammorbidire questa opposizione. Pertanto, essa ètanto auto-alienante quanto la schiavitù e può soltanto portare a istituzioni indifferenti al sentimento umano. Il cambiamento significativo deve comportare una fusione di opposti, non un compromesso tra posizioni antitetiche ma una risposta che incontri i bisogni umani che stanno alla base di entrambe le posizioni, dacché questi bisogni sono universali pur ad intensità ampiamente varianti. Ciò non è affatto semplice: chiunque si offra di interpretare i bisogni «reali» che stanno alla base di una data posizione è semplicemente un arrogante. Soltanto coloro che mantengono di persona la posizione possono vantaggiosamente impegnarsi in una simile ricerca. Le miserie sociali sorgono da grossolani disquilibri nella distribuzione dell'energia lungo tutto l'organismo sociale. Abbiamo bisogno di sviluppare l'equivalente sociale dell'agopuntura — la sensazione, cioè, di come stimolare ed equilibrare le forze naturali della società. La maggior parte dei tentativi di cambiamento sociale dedicano scarsa attenzione ai problemi dell'energia, presumendo che, se è possibile convogliare sufficiente denaro e rabbia in appoggio al problema, il cambiamento si verificherà. Malgrado ciò, cambiamento significa reincanalamento dell'energia, e non fa per niente bene considerare lo status quo come un pezzo di legno da scolpire o da bruciare. Lo status quo è un processo intricato e dinamico i suoi punti di stasi sono loci in cui forze opposte si sono reciprocamente immobilizzate. Invece di tentare di mobilitare in continuazione nuova energia, sarebbe più utile sbloccare o trarre vantaggio da ciò che già è presente. I media sono un esempio di canale d'energia esistente. Essi sono motivati ad esporre, interessare, appassionare. Non possono esimersi dal farlo. I radicali che apprezzano questo flusso d'energia se ne sono sbarazzati con notevole successo. Un altro di questi canali è la pubblicità. Le corporazioni hanno massicciamente investito per accaparrarsi il benvolere del pubblico: se mai esiste una virtù nella coscienza pubblica, vogliono essere le prime ad esigerla. Ciò ha grandemente infastidito i radicali tradizionali che parlano di co-optazione. Per esempio, ogni grande corporazione, pretende adesso di essere socialmente conscia ed ecologicamente consapevole. La maggior parte delle loro affermazioni sono totalmente menzognere, ma si comincia sempre così. Quando sul palcoscenico danza una menzogna pubblica, la verità attende dietro le quinte. Siccome queste affermazioni recano un duplice messaggio: «Io sono ecologicamente orientale» vuole anche dire «È importante e virtuoso essere ecologicamente orientali », alla fine, le corporazioni resteranno inchiodate a tali messaggi, essendo costrette dalla pressione competitiva a diventare sempre e sempre più convincenti. Contemporaneamente, il pubblico si abitua all'importanza delle virtù rivendicate, per cui si crea l'aspettativa che le corporazioni debbano assumersi la responsabilità dei problemi sociali. Irritarsi per la falsità di queste prime rivendicazioni significa trascurare l'importanza della catena di eventi che esse mettono in moto. Se l'energia è legata a posizioni opposte, una vasta fonte d'energia si libererà quando queste spinte che si oppongono si uniranno. Una volta Freud suggerì che, se si desidera scoprire la natura di un impulso recondito è soltanto necessario porre la domanda in forma negativa («che cosa non significa realmente il sogno?» «Qual è la cosa meno probabile»). L'impulso, egli diceva, lotta verso l'esterno, verso l'espressione, mentre l'inibizione, con eguale forza, lo respinge all'interno; se si aggiunge la parola «non», l'energia della forza inibitrice viene subito unita alla forza espressiva. Entrambe premono nella stessa direzione e la risposta esce fuori. Analogamente, spesso il cambiamento sociale si verifica attraverso una specie di judo politico, in cui l'energia racchiusa negli opposti punti di vista viene liberata attraverso l'accettazione della validità emotiva di ciascuno di essi.

Progettazione

La quarta illusione comune riguardo il cambiamento sociale è che questo si verifichi attraverso una specie di processo cognitivo - si isola e si diagnostica un problema, si scrive una prescrizione, si progetta e si effettua un trattamento. Quando un gruppo di persone discute insieme di una crisi sociale, spesso in comune ha soltanto la preoccupazione che prova per essa. Malgrado ciò, questo sentimento condiviso è la prima cosa ad essere scartata, al fine di «analizzare obiettivamente il problema». Dacché questi signori omettono la porzione di dato più importante, oltre che l'unica area comune di cui dispongono, essi tendono ad avvicinarsi a soluzioni che non sono soltanto fuori strada, ma anche tanto distruttive degli umani valori quanto la preoccupazione sociale che li aveva, in primo luogo, riuniti. Lo stesso termine «problema» riflette un'epistemologia ingannevole. Esso implica che l'ambiente sociale sia statico, che coloro che si sforzano di gestirlo siano al di fuori e al di sopra di esso - guardandolo dall'alto come uno studioso di matematica guarda un foglio di carta. Esso, altresì, implica che la «soluzione» rappresenti un avvio cognitivo — cioè, un'azione avviata piuttosto che una reazione emotiva a ciò che già è accaduto. Questa, però, è illusione e auto-menzogna — non avviamo affatto programmi sociali, ma reagiamo alla nostra esperienza che, ciò facendo, si modifica. Inoltre, non siamo e non possiamo essere fuori dei nostri «problemi» sociali. Siamo all'intemo di essi — essi sono l'elemento in cui nuotiamo. Però, questo auto-inganno ha le sue conseguenze perché, nei limiti in cui ci sforziamo di ignorare i sentimenti, le nostre «soluzioni» si scoloriscono di umanità. L'ambiente burocratizzato di cui tanto spesso ci lamentiamo è stato ampiamente creato dal nostro trattare le crisi sociali come se non partecipassimo ad esse. Quando Toffler pone sbarramenti contro l' «irrazionalismo» dei più nuovi indirizzi della nostra cultura, è proprio per proteggere questo tipo di auto-inganno schizoide. Ogni deviazione da quella mentalità a binario che proclama come il futuro debba essere, sotto ogni riguardo, più alienato dal passato di quanto lo sia il presente viene stigmatizzata come «repulsione contro l'intelligenza». Toffler, evidentemente, identifica l'intelligenza con la fisica newtoniana, col razionalismo del diciottesimo secolo e col dipartimentalismo incasellato degli accademici. Egli, ad esempio, desidera che l'istruzione abbia una «direzione coerente e un punto di partenza logico», come se l'apprendimento cominciasse in qualche posto o ci pervenisse in linea diretta. Egli attacca tutte le deviazioni dallo scientismo convenzionale come «vistose», «malate» e «prescientifiche», ponendosi domande del genere, «Di che tipo di vita culturale dovrebbe fruire una città del futuro», come se fosse logico che gli interessi e i desideri umani fossero programmati dal cervello di una qualche commissione pianificatrice o da una «fabbrica d'utopia». È come se Toffler implicasse che tutti noi dobbiamo cibarci del Pane Meraviglioso e che facciamo acquisti nei supermarket, al fine di liberarci da ogni tinta di «nostalgia», «irrazionalità» o «acting out». Ma noi non dovremmo lasciarci fuorviare da ingannevoli mode aritmetiche e compartimentalizzate di considerare l'intelligenza. Non c'è nulla di più irrazionale del concetto che l'ignoranza dei nostri sentimenti e dei nostri bisogni creerà, attraverso qualche contorta magia, un ambiente gratificante. Scienziati e quasi scienziati parlano spesso, con orgoglio puritano, di «fatti freddi, secchi, duri» , affermando trionfalmente la loro esangue visione del mondo. Dacché essi non badano a fatti morbidi, umidi e caldi, non c'è da meravigliarsi che non siano riusciti a produrre una sola teoria che tratti efficientemente gli insiemi viventi.

Non guardatevi indietro, il futuro può raggiungervi

Il quinto fraintendimento è che il cambiamento sociale sia lineare. L'affermazione che la storia non si ripete mai ha, sì, una certa validità, però la stessa cosa vale per l'asserzione che non c'è niente di nuovo sotto il sole. Il rapporto fondamentale fra parti, fra parti e interi, fra organismi e fra organismi e ambiente, fluttua nell'ambito relativamente modesto che circonda una norma più o meno costante. D'altro canto, qualsiasi adattamento energetico specifico è unico, e la storia del nostro pianeta ha assistito ad una continua proliferazione di tali adattamenti. Il bulldozer non è una pala, mentre un detergente di «nuova formula» può essere, in effetti, per quanto irrilevante o inutile, una nuova combinazione. Non esiste motivo per cercare di sostenere che il tempo ruota meramente in eterno, ma non c'è neanche alcun motivo per arguire che l'universo si muova rigidamente in una certa direzione lungo un binario prestabilito. Ci siamo cacciati in una serie di guai volendo trattare il passato come un mucchio di spazzatura da gettarsi in un cumulo di rifiuti, neanche fosse le pagine strappate di un calendario con i giorni cancellati. Un'ecologia vitale esige che il passato venga ancora riciclato. Dietro a ciò, ci sono molte cose di cui possiamo avvalerci. Ogni epoca è, sì, in parte, un correttivo delle distorsioni della precedente, ma contiene anche le proprie. La teoria del binario è dannosa, implicando che, se perseguiamo abbastanza freneticamente il futuro, siamo in grado di evitare quegli irreconciliabili opposti intorno ai quali i sistemi sociali si formano. Si suppone che, in un qualche luogo del futuro, saremo in grado di massimizzare simultaneamente la sicurezza e la sorpresa, la comunità e l'intimità, la varietà e la costanza, ed ognuno darà eguale e minore di chiunque altro.

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