PROGETTANDO IL PALLONE GUIDA ovvero
LA CALATA NEL FUTURO
È sistema celeste prendere
da ciò che possiede in eccedenza al fine di rendere buono ciò
che è deficiatario. Il sistema dell'uomo è diverso.
Prendere dagli indigenti al fine di offrire a coloro che già
ne hanno più che a sufficienza.
Lao Tzu
L'impuro e l'organico sono concezioni intercambiabili.
C. S. Lewis
I popoli d'Occidente hanno una gran confusione su quanto concerne il
cambiamento sociale. Sono indotti a credere che esso si determini soltanto
attraverso una politica pubblica consapevole, quando, in effetti, i
cambiamenti che realmente contano si verificano per minuscoli incrementi,
ogni qual volta qualcuno compra o edifica qualche cosa. Essi, altresì,
immaginano che i cambiamenti sociali importanti si possano realizzare
semplicemente decidendo di farli. Come risultato, è possibile
udire simultaneamente solenni dichiarazioni secondo cui il cambiamento
è perpetuo ed accelerativo, oltre a scoraggiati compianti perché,
in realtà, non cambia nulla.
È mia opinione che i nostri sforzi per risolvere i problemi sociali
abbiano generalmente creato una miseria e un'ingiustizia sociale maggiore
dei mali contro cui questi sforzi erano stati diretti. Gli Americani
affrontano il cambiamento sociale con la sollecitudine di un patito
della slot-machine, vomitando nel processo politico leggi e ordini di
carattere amministrativo come quarti di dollaro. Questo non è
fare la tradizionale richiesta di maggiore pianificazione, che, in genere,
significa prendere le stesse decisioni su scala più gigantesca.
Quanto segue non è tanto diretto a coloro che, attualmente, cercano
di buttare all'aria il nostro mondo, ma a coloro che desiderano correggere
questa condizione buttando all'aria sé stessi. Non è mai
stato sufficientemente sottolineato come le miserie di cui la gente
ora soffre nel mondo occidentale siano state ampiamente determinate
da persone convinte di fare del mondo un posto migliore, più
sicuro e più felice. La presunzione, senza il più approfondito
esame di sé, che un qualsiasi nuovo programma audace, preso attualmente
in considerazione, risulti, in qualche modo,
differente, non è soltanto arrogante, ma stupida. Gli uomini
che hanno avuto la brillante idea di annientare le zanzare inzuppando
il mondo di veleno dovevano ben saperla lunga, però noi, dopotutto,
abbiamo il vantaggio supplementare di questa fatale esperienza. Ciò
non vuol dire avercela col cambiamento, ma fare un tentativo per provocare
un certo tipo di riflessione nei suoi riguardi. In questo capitolo,
desidererei trattare quelli che ritengo siano profondi fraintendimenti
riguardo al cambiamento, condivisi sia da liberali, sia da radicali,
sia da conservatori.
Cambiamento e tensione
La prima concezione erronea è che sia possibile ottenere il
cambiamento senza tensione. Ci viene detto quanto siano adattabili gli
esseri umani - quanto la cultura ci abbia liberato dai nostri corpi,
tanto da poter oscillare per qualsiasi cosa il cincischiamento scientifico,
la tirannide governativa o la moda intellettuale potrebbero ritenere
idonea infliggerci. È vero che gli umani sono adattabili, ma
la loro adattabilità ha un limite. È anche vero che l'adattamento,
però, è carico di tensione. In effetti, una delle conseguenze
della nostra adattabilità ipertassata è quanto risulti
ancora più carico di tensione l'adattamento ad una condizione
più felice quando venga rimossa una miseria cui eravamo adusati.
Toffler fa notare come il corpo risponda alla novità con massiccia
mobilitazione fisiologica - con una « risposta d'orientamento
», contrassegnata da una pesante scarica adrenalinica. Quando
il cambiamento diventa cronico, analoga diventa la risposta d'orientamento,
con conseguente danno per l'organismo. Questo è un altro esempio
di meccanismo d'emergenza che diventa cronico, con le solite conseguenze
distruttive. Uno dei segreti meglio conservati della scienza medica
(in effetti, non fa vendere pillole) è che la causa maggiore
di malattia è il cambiamento. La gente che vive in ambienti stabili,
adeguatamente nutrita, gode, generalmente, di buona salute, mentre chi,
come noi, è soggetto a costante cambiamento di contesti vitali
tende ad ammalarsi di più. Inoltre, secondo quanto Toffler ha
or ora proposto all'attenzione pubblica, esiste correlazione diretta
fra il numero di cambiamenti importanti (residenza, coniuge, mansione,
ecc.) sperimentato da una persona in un dato periodo e possibilità
di cadere ammalati. Più importante di tutto, un effetto del genere
si verifica anche quando tali cambiamenti sono voluti. In altre parole,
si è trovato che il cambiamento è nocivo alla salute.
Se trapiantati, fiori e piante spesso muoiono e lo stesso, talvolta
succede ad animali e uomini. I viaggiatori si ammalano con indebita
frequenza, anche se liberi da pressioni ordinarie e se, presumibilmente,
si divertono. I vecchi, per i quali l'adattamento è più
pesante, se istituzionalizzati, muoiono con rapidità tale per
cui le corsie geriatriche di molti ospedali di stato sono state definite
camere a gas ad azione differita. A quanto pare, l'allegro assunto della
nostra cultura secondo cui il cambiamento cronico è condizione
di vita adatto agli esseri umani, ha bisogni di essere rivalutato. D'altro
canto, molte persone sopravvivono. Non è forse questa una dimostrazione
di quanto, in effetti, sia possibile adattarci con successo? Ovviamente,
questa è la posizione di Toffler. Dopo aver ammucchiato prove
per dimostrare lo stridente impatto del cambiamento sull'organismo umano,
egli si stringe semplicemente nelle spalle per dire che è necessario
un adattamento più rapido, se si vuole che il mastodonte tecnologico
continui a ricevere la sua sempre crescente razione giornaliera di sangue
umano. Come un allenatore di calcio maniaco di vittoria, egli ci incerotta,
ci rimpinza di Novocaina e ci rimanda in campo. Per adattarci al cambiamento,
è proprio con l'equivalente psichico della Novocaina col quale
dobbiamo avere a che fare. Insipidendoci alla vita, allontanandoci dai
nostri sensi, perdendo i fatti nell'annebbiamento della concettualizzazione,
evitiamo il trauma della separazione personale. « La gente è
ovunque » costituisce un apprezzabile palliativo per coloro che
hanno perduto la capacità di conoscere realmente qualcuno. Da
un jet transcontinentale si ha l'impressione che ben poco accada quaggiù.
La panoramica è la stessa per l'ubriaco suburbano, per la donna
di casa sollevata dai tranquillanti, per il tossicomane. Qualsiasi mezzo
si adoperi, il principio è lo stesso: iI cambiamento ti tocca
se ti trovi qui. Se puoi andare tanto oltre da concettualizzare il precambiamento
e il postcambiamento, sei libero dall'onere dell'adattamento.Se, però,
ci lasciamo annebbiare da esso, o consentiamo a noi stessi di basarci
su di esso, sia che diamo ad esso inizio o soltanto lo sperimentiamo
sia che lo desideriamo o temiamo, il massiccio cambiamento ambientale
- sociale o tecnologico, popolare o autoriatario, radicale o plutocratico
che sia - è carico di tensione e porta alla brutalizzazione dell
organismo umano.
Futilità dei programmi positivi
La seconda concezione errata è che il sistema sociale in cui
viviamo sia statico e vuoto - un contenitore, cioè, immoto da
riempirsi di piani, programmi ed energia. In effetti, l'energia viene,
sì, richiesta per cambiare direzione, ma non è lo stesso
come dire che, attualmente, esiste un vuoto energetico. Il sistema americano
è sempre quello di aggiungere qualche cosa, di dare l'avvio a
qualche cosa, di creare nuove attività. Malgrado ciò,
si riversano grandi quantitativi d'energia in attività e istituzioni
già esistenti e, in genere, risulta assai gravoso rifornire il
tutto con qualche cosa di nuovo. È raro che qualcuno prenda in
considerazione il rapporto d'energia fra ciò che già esiste
e ciò che deve essere aggiunto. Se il ricco ruba al povero, avviamo
un programma per compensare il povero. Se la gente marcisce in grandi
ospedali mentali, creiamo piccoli centri modello di trattamento. Il
vocabolo « modello » è assai sfruttato dal nostro
vocabolario sull'attività - città modello, scuole modello,
programmi modello. Il concetto è, sì, assennato, ma, in
un modo o nell'altro, sembra che i modelli non incontrino mai il gusto
delle masse - forse perché nessuno presta attenzione a ciò
che trattiene così tanta energia legata alle vecchie strutture.
Dacché siamo convinti che il cambiamento sociale aggiunga qualche
cosa, si presenta sempre il problema del costo: quanto costerà
un nuovo programma? Se, invece, si considera il cambiamento come energia
reindirizzante, anziché intrapresa, di un nuovo compito, il problema
del costo diventa meno rilevante. Per esempio, si sostiene che non possiamo
permetterci migliori scuole, migliori comunità, migliore cura
sanitaria, e così via. Però, ciò che possiamo permetterci
meno di tutto è di consentire a certa gente di diventare troppo
ricca. Questo, sì, che è il nostro programma più
costoso: per renderlo possibile, abbiamo speso miliardi su miliardi
di dollari, abbiamo permesso che l'aria e l'acqua venissero inquinate,
che l'ambiente imbrunisse, che le città si deteriorassero, che
le nostre cure sanitarie diventassero di terza categoria, che si determinasse
immensa povertà, miseria, malattia, sofferenza, caos, disordine
e sterminio di massa. Nondimeno, siamo riusciti a permetterci tutto
ciò. La maggior parte dei nostri problemi verrebbe assai meglio
risolta da un'azione negativa, piuttosto che da una positiva; cioè
a dire, essi cesserebbero di esistere se la facessimo finita di premiare
la gente perché li crei. La nostra politica nazionale è
sempre stata quella di sovvenzionare in svariate maniere il ricco e
l'ambizioso. Attualmente, per esempio concediamo incentivi a coloro
che sfruttano e brutalizzano l'ambiente -siano essi promotori di sviluppo,
taglialegna, appaltatori d'autostrade, compagnie petrolifere, fabbricanti.
Attenuiamo i loro rischi, li agevoliamoper le tasse, offriamo loro incentivi
per compiere ciò che, di per sé, è già altamente
lucrativo. Per esempio, abbiamo concesso alle compagnie petrolifere,
mediante autorizzazioni ad esaurire le scorte e mediante quote di importazione,
miliardi di dollari affinchè saccheggino l'ambiente, conservino
prassi inefficienti, si impegnino in pubblicità costosa e disonesta
(quello che una compagnia petrolifera spende per cambiare denominazione
potrebbe far fronte ad un budget annuale destinato al benessere di una
città piuttosto grande) e affinchè conservino l'arcaica
concezione di essere industria petrolifera piuttosto che essere industria
dell'energia. Il fatto che una corporazione si assuma alcuni rischi
al fine di ottenere un profitto enorme appare essere una ragione inadeguata
per farle l'elemosina. Una cosa è pagare per un servizio necessario,
tutt'altra cosa è garantire un eccessivo benessere economico
a coloro che si assumono un mediocre rischio per fornirlo. Le imprese
vacillanti possono essere poste su base non-profit se ciò che
forniscono è realmente essenziale. Ciò nonostante, mentre
la crescente inefficienza delle poste viene talvolta attribuita al fatto
di essere un ente governativo, questo argomento crolla sul fatto che,
nello stesso decennio, il servizio telefonico si è andato deteriorando
ancor più drammaticamente, malgrado i costanti incrementi di
tariffa e i lauti divedenti degli azionisti. Oltre a ciò, quantunque
le Poste degli Stati Uniti siano, di per sé, non-profit, esse
hanno fornito profitti ad altri attraverso la categoria della posta
di terza classe, l'eliminazione della quale, a favore di corporazioni
basate sul profitto, sarebbe servita molto a migliorare il servizio.
Ci preoccupiamo della sovrappopolazione e soprattutto di quella
degli Americani, dacché l'impatto deleterio di un solo Americano
sull'ambiente è di gran lunga superiore a quello di una persona
del Terzo Mondo. Malgrado ciò, il nostro sistema tributario ci
premia se abbiamo dei figli. Analogamente, ci lamentiamo perché
i promotori dello sviluppo spazzano rapidamente via, a colpi di bulldozer,
tutti i belli spazi aperti, creando brutti quartieri di case separate,
circondate da inutili strisce di erba seminata. Ciò nonostante,
concediamo sgravi fiscali al proprietario del comprensorio. Chiunque
è in grado di moltiplicare gli esempi: io ho menzionato soltanto
quelli economici; comunque, non è necessaria una stragrande abbondanza
di fatti a sostegno della tesi che la gente, senza incentivi, non commette
in modo trasparente atti folli. Qualsiasi abuso ci circondi è,
in un modo o nell'altro, da noi incoraggiato, per cui ha un senso scoprirne
il perché. Ci fa piacere che un cambiamento sociale parta da
un progetto che abbiamo in testa che siamo noi ad avviare un
processo di cambiamento. Questa è ignoranza e megalomania. Quando
decidiamo un corso d'azione, noi rispondiamo a qualche cambiamento già
avvenuto. Stiamo, cioè', affermando che esso ci danneggia e che
desideriamo evitare questo danno. Il modo di pensare meccanico e l'Etica
Protestante ci hanno resi ciechi al fatto di essere anelli di una catena
continua di feedback. Ci illudiamo, con i nostri nuovi programmi audaci,
di ricominciare sempre da capo e questo è il motivo principale
del loro fallimento.
Judo sociale, ovvero, quel che è giusto è giusto
La terza illusione riguardante il cambiamento sociale è che si
possono effettuare le riforme auspicabili quando gli oppositori vengono
posti in minoranza o rieducati circa quello che è il loro interesse
migliore. L'ampollosità delle sinistre riguardo a questo punto
è tanto stravagante che vale la pena ricordare come la maggioranza
dei mali che la sinistra cerca di arginare era stata già in precedenza
completamente attaccata dai conservatori. Le storie e le biografie sulle
quali veniamo allevati ci presentano Eroi del Progresso che sopraffanno
Ostacoli ostinati al Progresso. Però, col trascorrere degli anni,
i mormorii di scontento di quelli che conservano gli Ostacoli sono sempre
più difficili da differenziare dalle argomentazioni dei radicali
contemporanei. Il reazionario di ieri è l'utopista di domani.
Chi abbraccia l'idea del progresso lineare non può tollerare
questo tipo di manifestazione ciclica. Posto di fronte ad affermazioni
di uomini e donne che hanno tentato di bloccare cinquant'anni fa' le
devastazioni della tecnologia, esso le accantona perché hanno
un significato diverso o perché adatte a ragioni sbagliate. Però,
questo è snobismo intellettuale: in effetti, le ragioni erano
esattamente le stesse, in un periodo in cui tali ragioni non erano ancora
di moda. Per decenni, i reazionari hanno frapposto barriere al carbonchio
tecnologico. Si sono uniformemente opposti al potere governativo centralizzato
e all'ipertrofia della branca esecutiva della nostra amministrazione
pubblica. Hanno attaccato la burocratizzazione, sogghignato all'ingenua
fiducia nel progresso, lamentato che l'accelerazione del tasso di cambiamento
distruggeva gli umani valori. È soltanto da un decennio, o giù
di lì, che l'interesse per i problemi ecologici è stato
accantonato da liberali e radicali come stravagante preoccupazione reazionaria.
I primi oppositori a Pasteur e alla teoria dei germi nella malattia
considerati per mezzo secolo, o più, come uomini privi
di immaginazione - suonano stranamente moderni, adesso che questa teoria
è durata più a lungo della sua utilità. Oppure,
prendiamo in considerazione un problema passé più di recente:
la fluoridazione causa liberale per eccellenza. Un'affermazione
scientifica viene realizzata sotto forma chimica ed applicata su base
di massa, per il suo bene, ad una popolazione. Coloro che si opposero
a tale processo furono derisi come arcaici e paranoici igiene
dentaria e igiene mentale si ergevano fianco a fianco contro le forze
dell'oscura ignoranza. Oggi, intorpiditi dalle tante e ben più
gravi intrusioni della mentalità burocratica, sembra difficile
ricordare in che cosa consistesse, all'incirca, questo trambusto, ma,
in retrospettiva, sembra che le forze della tenebra abbiano avuto una
certa qual coscienza ecologica e politica più profonda di quella
dei loro divini oppositori. Ma non trascuriamo considerazioni contemporanee.
Oggi, i conservatori sono contrari al controllo delle armi e al disarmo
unilaterale. Per avere assunto queste posizioni, vengono considerati
ottenebrati e violenti, però è necessario ammettere, almeno,
che tali posizioni sono coerenti. Prese insieme, esse implicano che,
data l'esistenza di armi, quanto più queste sono egualmente distribuite,
tanto meglio è. Pur preferendo personalmente che tutto questo
armamentario venisse abolito, secondo me questa posizione è incontestabile.
Una così ampia disponibilità di armi per una popolazione
turbolenta come la nostra rende la vita estremamente insicura. Malgrado
ciò, non si dovrebbe disarmare neanche una plebaglia violenta
e folle finché soggetta ad un ancor più folle governo
iperarmato sul quale essa ha scarso, se non alcun controllo. Non fossi
abituato alla caratteristica incapacità con la quale i liberali
collegano singoli problemi a contesti più ampi, resterei stupefatto
della loro disponibilità a disfarsi di uno dei pilastri del Bill
of Rights. Si noti come l'esigenza di controllo delle armi si sia diffusa
soltanto quando le armi riservate al fratricidio cominciarono ad essere
rivolte contro figure pubbliche. Ogni stato desidera, si, conservare
quanto più possibile il monopolio dell'assassinio e della violenza,
però, parlando del tutto in generale, quanto più ha successo
nel farlo, tanto peggio vanno le cose per la sua popolazione. I liberali
sono del tutto corretti nel sentire che non si dovrebbe concedere potere
di vita e di morte a chiunque; tuttavia, se lo si deve concedere, sia
concesso all'intera comunità. Ma un governo autoritario non è
una comunità, ed è un malaugurato paradosso che proprio
quell'individualismo da tali governi universalmente determinato spesso
appaia essere la sola protezione contro di essi. Tale protezione è
illusoria, dacché individualismo significa, in pratica, che ognuno
si erga, solo, contro quella forza centralizzata coordinante che l'individualismo
stesso rende necessaria. Pure, fino a quando non si trovi qualche cosa
di meglio, è tutto quello che abbiamo. Riservare tutte le armi
a coloro che sono in uniforme significa abbandonare la penultima pretesa
di democrazia. Un uomo in uniforme si rende strumento del potere personale
di un altro uomo a quali fini non può sapere. Egli e tutti
coloro che indossano quest'uniforme sono estensioni concentrate di quel
potere, e, conseguentemente, assai più pericolosi del singolo
lunatico dotato di fucile. Ne può esser accantonata alla leggera
la preoccupazione conservatrice circa le posizioni competitive di potere
all'estero. La storia delle società umane' è di quelle
in cui comunità umane felici e sane sono state continuamente
invase, o spazzate via, da altre competitive, arcigne ed emotivamente
deprivate, per cui, se mai dovessimo evolvere da quest'ultime alle prime,
avremmo la possibilità di subire lo stesso destino, a meno che
il resto del mondo armato non evolvesse allo stesso ritmo. Non desidero,
comunque, sorvolare sul fatto che questa preoccupazione costituisce
un poderoso deterrente per chiunque evolva in tale direzione e, di conseguenza,
massimizzi la probabilità di distruzione della specie. Parecchi
trarranno l'impressione che queste osservazioni siano frivole. Un qualsiasi
intellettuale, con tanto di diploma, potrebbe collezionare una quantità
d'esempi per dimostrare come i conservatori che assumono questa posizione
siano motivati da considerazioni meno nobili di quelle da me proposte.
Ciò nondimeno, quando un qualsivoglia ampio numero di persone
abbraccia una posizione ideologica e la difende con passione esso costituisce
campione di un bisogno umano condiviso non soltantanto da esso stesso,
ma anche dai suoi oppositori, i quali, di conseguenza, si risparmiano
di dedicarvi, dentro di sé, attenzione. Chiunque cerchi il cambiamento
sociale ignorando questi bisogni è, con tutta probabilità,
destinato al fallimento, e chiunque cerchi un mondo più umano
non ci riuscirà mai, se si dedicherà alla loro soppressione.
Spesso, per esempio, i radicali tendono ad essere controfobici circa
il cambiamento, denegando i propri bisogni di sicurezza, dipendenza
e stabilità. Adottano la posizione dell'awenturiero senza macchia
di fronte all'ignoto del non restare, cioè, intimoriti
dai pericoli che stanno loro innanzi e dello sprezzare coloro che tentennano
ed esitano. È mia impressione che, se i loro bisogni di stabilità
vengono troppo fortemente repressi, questi riappaiano nella loro ideologia
sotto forma di rigidità. In altre parole, se dovessi accingermi
a provocare e a modificare tutto ciò che resiste, cercherei la
sicurezza nella perfezione e nell'inalterabilità della mia teoria.
Forse questo, più di qualsiasi altra cosa, è ciò
che spiega la frantumazione che affligge i movimenti della sinistra.
Questi punti di vista sono influenzati da molti anni dedicati alla conduzione
di encounter groups, nei quali ho potuto osservare come coloro che esercitano
una pressione maggiore per un'esperienza « intensa » di
gruppo sono, assai spesso, i più resistenti quando si verifica,
mentre coloro che appaiono fin dall'inizio timidi e difensivi realizzano,
talvolta, i cambiamenti più profondi. In un gruppo, il conservatore
emotivo consente agli altri di esporre piani d'azione più coraggiosi
di quanto si rendano conto. Nella mia esperienza di gruppo, qualsiasi
posizione assunta, per quanto possa apparire al momento repellente,
irrilevante o ostruzionistica, è radicata in sentimenti meno
consciamente condivisi dagli altri membri del gruppo. Tali sentimenti
vengono ignorati a caro prezzo. Il movimento concreto si verifica quando
si abbandona la falsa divisione emotiva del lavoro a favore del riconoscimento
de (1) la legittimità di tutti i sentimenti, (2) i conflitti
all'interno di ogni persona, e (3) le concrete differenze fra persone
nel modo in cui questi conflitti vengono interiormente sistemati. È
possibile, allora, abbandonare il rollare con la corrente, nonché
il compromesso, a favore della sintesi inquantoché, mentre
i sentimenti e i bisogni umani di base sono pochi e semplici, gli adattamenti
sociali per la loro espressione sono molteplici e complessi. Uno dei
bisogni umani a cui i radicali concedono poco spazio è il bisogno,
nella vita quotidiana, di ordine, di routine e di prevedibilità.
Questo bisogno è tanto importante che molte persone hanno la
possibilità di sopravvivere in una sgobbata quotidiana priva
di interessi, prosciugante ed oppressiva pur conservando una piccola
quantità di felicità, mentre altri, che hanno la possibilità
di vivere in una vacanza perpetua, costantemente esposti a nuove esperienze
entusiasmanti, sono dei poveracci. L'aula scolastica tradizionale è
stata creata da persone che non prestavano attenzione alcuna ai bisogni
umani ad eccezione della guerra, questa è stata forse
l'unica e più brutalizzante influenza sulla cultura occidentale
tuttavia, chi ammette ciò, spesso ha reagito creando un
ambiente scolastico che disprezza anche quei pochi bisogni umani che
la tradizionale aula scolastica, col suo ritualismo, la sua prevedibilità
e la sua completa libertà dalle responsabilità, soddisfaceva.
L'importanza dell'ordine diventa evidente durante i periodi di lotta
civile. L'impatto iniziale di quella che viene disinvoltamente chiamata
«situazione rivoluzionaria» è una sensazione di liberazione
ed eccitamento assomigliando all'esplosività con cui i
bambini prorompono da un edificio scolastico autoritario. Spesso, i
radicali interpretano questa aria festosa come un certo tipo di esplosività
permanente e si scoraggiano quando, dopo qualche settimana, evapora,
determinandosi una massiccia corrente popolare per la restaurazione
dell'ordine sociale. Eppure, siamo circondati da prove secondo cui la
gente, per l'ordine, è disposta a sacrificare quasi tutto, malgrado
il suo immenso rallegrarsi dei periodi di libertà. Sebbene l'ordine
sociale sia soprattutto vantaggioso per il ricco in quanto protegge
la sua posizione di favore anche il povero, per quanto disgraziato,
sembra desiderarlo. E nemmeno i rappresentanti della controcultura sono
immuni da questo bisogno, quantunque spesso non armonizzino con esso.
I disordini civili si adattano semplicemente meglio alle loro routines
che a quelle del mondo senza deviazioni. Se queste routines vengono
disturbate per un lungo periodo di tempo, essi, comunque, reagiscono
nello stesso modo. Come fa notare Bateson, l'ordine di una persona costituisce
forma di disordine per un'altra, dacché a nessuno piace adattarsi
esattamente nello stesso modo al mondo. Il bisogno di ordine è
quello che rende tanto potenti le azioni di protesta. La gente, infatti,
è molto spesso propensa a fare alcune concessioni pur di restaurare
la routine. Tuttavia, accettare la solita versione polarizzata di questi
eventi, significa perdere la maggior parte di quanto sta accadendo.
Entrambe le parti desiderano l'ordine, ed entrambe desiderano la liberazione
dalle costrizioni che le opprimono, però ognuna di esse afferma
un solo aspetto di questa ambivalenza, lasciando all'oppositrice di
esprimere l'altro. Ognuna di esse, altresì, crede fermamente
nella semplicità della propria posizione pubblica. Tuttavia,
sotto sotto, si osservano straordinari paradossi. La vittoria dei protestatari
dipende dalla loro maggiore tolleranza per il disordine rispetto ai
loro oppositori, però, accade spesso che essi vengano sconfitti
proprio perché, dal canto loro, è reperibile, ben nascosto,
un ampio segmento della psiche dell'establishment. Entro i limiti in
cui le autorità si avvantaggiano del sentimento liberatorio di
crisi e caos, esse sono in grado di lasciarlo manifestare fino a quando
i protestatari stessi non sentiranno il bisogno di tornare alle loro
attività di routine, per cui la protesta, pertanto, potrà
terminare. A volte, ciò si è verificato durante alcuni
scontri universitari degli anni '60. In altre parole, il segreto piacere
di disordine porta ad una più elevata capacità di opporre,
come arma, il disordine stesso. Un altro paradosso si ha quando le autorità,
guidate da un miscuglio di sentimenti di terrore e fascino circa il
disordine, utilizzano, al fine di «restaurare l'ordine»,
lo stesso disordine, sotto forma di plebaglia violenta composta di uomini
armati e in uniforme, cosa questa che, in genere, non riesce a fare
(ne c'è da sorprendersi, data la confusionalità della
motivazione). Spesso i protestatari restano colpiti da questa violazione
del proprio senso dell'ordine. La richiesta della rimozione della polizia
o degli uomini di custodia costituisce, essa stessa, richiesta di ripristino
dell'ordine. La semplicità della posizione polarizzata dei valori
maschera, così, un intricato groviglio di alleanze emotive recondite.
L'affermazione «Io voglio A, non B, essi vogliono B, non A»
significa, generalmente, «So che vogliono B più di me,
per cui posso contare così pienamente sulle loro pressioni per
ottenerlo da permettermi di essere inconsapevole della mia minore urgenza
del bisogno di esso. Contemporaneamente, dacché non ho alcuna
possibilità di scorgere il loro bisogno di A, debbo enfatizzarlo
in ogni momento». Questo processo viene chiamato distribuzione
d'ambivalenza ed è più evidente nelle coppie coniugate
che trovano pressoché impossibili rendersi conto della complessità
dei loro bisogni e sentimenti a fronte dell'inevitabile spinta verso
la specializzazione emotiva. La maggior parte di noi è portata
ad immaginare che le nostre reazioni spontanee sia fisiche, sia emotive,
siano intime ed uniche - non collegate ad altri. Così la nostra
fede individualistica ci garantisce che tutte queste reazioni non siano,
di fatto, spontanee, ma contaminate da egoismo. Dacché la gente
è nata interdipendente (William Condon della Boston University
ha dimostrato con film al rallentatore come i movimenti fisici del prossimo
durante la conversazione siano, di norma, in perfetta sincronia, sebbene
ciò non sia percettibile a occhio nudo) ognuno di noi è
abituato al fatto (e dipende da esso) che alcuni suoi sentimenti e bisogni
siano espressi da altri. Pertanto, il cercare all'interno ogni bisogno
o sentimento ha la probabilità di produrre assunti erronei. Alcuni
dei nostri bisogni di base risultano espressi più pienamente
da altri. Nessuno di noi esprime in maniera incontaminata i propri bisogni
e sentimenti essi sono alterati da narcisismo, ideologia, volontà,
colpa, difensività, razionalizzazione, nonché dall'assoluta
complessità dei sentieri d'espressione da noi forgiati attraverso
tutte queste resistenze. Un uomo può essere in grado di trovare
soddisfazione sessuale soltanto strangolando vecchie signore o masturbandosi
sotto una radichiella: possiamo identificarci col suo desiderio sessuale,
ma non col tortuoso sentiero nel quale il suo ego l'ha confinato; e
se cerca di giustificare il suo comportamento in termini di spontaneità,
il meno che possa aspettarsi è una nostra risata in faccia. Tutti
siamo poveri giudici della nostra spontaneità. Ciò che
appare «naturale» può essere soltanto abituale, oppure,
semplicemente, un nuovo sentiero soltanto un po' meno contorto del vecchio.
Nulla di tutto ciò ha a che vedere con la tolleranza. La tolleranza
implica una mancanza di connessione fra opposte vedute, nonché
uno sforzo volenteroso per ammorbidire questa opposizione. Pertanto,
essa ètanto auto-alienante quanto la schiavitù e può
soltanto portare a istituzioni indifferenti al sentimento umano. Il
cambiamento significativo deve comportare una fusione di opposti, non
un compromesso tra posizioni antitetiche ma una risposta che incontri
i bisogni umani che stanno alla base di entrambe le posizioni, dacché
questi bisogni sono universali pur ad intensità ampiamente varianti.
Ciò non è affatto semplice: chiunque si offra di interpretare
i bisogni «reali» che stanno alla base di una data posizione
è semplicemente un arrogante. Soltanto coloro che mantengono
di persona la posizione possono vantaggiosamente impegnarsi in una simile
ricerca. Le miserie sociali sorgono da grossolani disquilibri nella
distribuzione dell'energia lungo tutto l'organismo sociale. Abbiamo
bisogno di sviluppare l'equivalente sociale dell'agopuntura la
sensazione, cioè, di come stimolare ed equilibrare le forze naturali
della società. La maggior parte dei tentativi di cambiamento
sociale dedicano scarsa attenzione ai problemi dell'energia, presumendo
che, se è possibile convogliare sufficiente denaro e rabbia in
appoggio al problema, il cambiamento si verificherà. Malgrado
ciò, cambiamento significa reincanalamento dell'energia, e non
fa per niente bene considerare lo status quo come un pezzo di legno
da scolpire o da bruciare. Lo status quo è un processo intricato
e dinamico i suoi punti di stasi sono loci in cui forze opposte si sono
reciprocamente immobilizzate. Invece di tentare di mobilitare in continuazione
nuova energia, sarebbe più utile sbloccare o trarre vantaggio
da ciò che già è presente. I media sono un esempio
di canale d'energia esistente. Essi sono motivati ad esporre, interessare,
appassionare. Non possono esimersi dal farlo. I radicali che apprezzano
questo flusso d'energia se ne sono sbarazzati con notevole successo.
Un altro di questi canali è la pubblicità. Le corporazioni
hanno massicciamente investito per accaparrarsi il benvolere del pubblico:
se mai esiste una virtù nella coscienza pubblica, vogliono essere
le prime ad esigerla. Ciò ha grandemente infastidito i radicali
tradizionali che parlano di co-optazione. Per esempio, ogni grande corporazione,
pretende adesso di essere socialmente conscia ed ecologicamente consapevole.
La maggior parte delle loro affermazioni sono totalmente menzognere,
ma si comincia sempre così. Quando sul palcoscenico danza una
menzogna pubblica, la verità attende dietro le quinte. Siccome
queste affermazioni recano un duplice messaggio: «Io sono ecologicamente
orientale» vuole anche dire «È importante e virtuoso
essere ecologicamente orientali », alla fine, le corporazioni
resteranno inchiodate a tali messaggi, essendo costrette dalla pressione
competitiva a diventare sempre e sempre più convincenti. Contemporaneamente,
il pubblico si abitua all'importanza delle virtù rivendicate,
per cui si crea l'aspettativa che le corporazioni debbano assumersi
la responsabilità dei problemi sociali. Irritarsi per la falsità
di queste prime rivendicazioni significa trascurare l'importanza della
catena di eventi che esse mettono in moto. Se l'energia è legata
a posizioni opposte, una vasta fonte d'energia si libererà quando
queste spinte che si oppongono si uniranno. Una volta Freud suggerì
che, se si desidera scoprire la natura di un impulso recondito è
soltanto necessario porre la domanda in forma negativa («che cosa
non significa realmente il sogno?» «Qual è la cosa
meno probabile»). L'impulso, egli diceva, lotta verso l'esterno,
verso l'espressione, mentre l'inibizione, con eguale forza, lo respinge
all'interno; se si aggiunge la parola «non», l'energia della
forza inibitrice viene subito unita alla forza espressiva. Entrambe
premono nella stessa direzione e la risposta esce fuori. Analogamente,
spesso il cambiamento sociale si verifica attraverso una specie di judo
politico, in cui l'energia racchiusa negli opposti punti di vista viene
liberata attraverso l'accettazione della validità emotiva di
ciascuno di essi.
Progettazione
La quarta illusione comune riguardo il cambiamento sociale è
che questo si verifichi attraverso una specie di processo cognitivo
- si isola e si diagnostica un problema, si scrive una prescrizione,
si progetta e si effettua un trattamento. Quando un gruppo di persone
discute insieme di una crisi sociale, spesso in comune ha soltanto la
preoccupazione che prova per essa. Malgrado ciò, questo sentimento
condiviso è la prima cosa ad essere scartata, al fine di «analizzare
obiettivamente il problema». Dacché questi signori omettono
la porzione di dato più importante, oltre che l'unica area comune
di cui dispongono, essi tendono ad avvicinarsi a soluzioni che non sono
soltanto fuori strada, ma anche tanto distruttive degli umani valori
quanto la preoccupazione sociale che li aveva, in primo luogo, riuniti.
Lo stesso termine «problema» riflette un'epistemologia ingannevole.
Esso implica che l'ambiente sociale sia statico, che coloro che si sforzano
di gestirlo siano al di fuori e al di sopra di esso - guardandolo dall'alto
come uno studioso di matematica guarda un foglio di carta. Esso, altresì,
implica che la «soluzione» rappresenti un avvio cognitivo
cioè, un'azione avviata piuttosto che una reazione emotiva
a ciò che già è accaduto. Questa, però,
è illusione e auto-menzogna non avviamo affatto programmi
sociali, ma reagiamo alla nostra esperienza che, ciò facendo,
si modifica. Inoltre, non siamo e non possiamo essere fuori dei nostri
«problemi» sociali. Siamo all'intemo di essi essi
sono l'elemento in cui nuotiamo. Però, questo auto-inganno ha
le sue conseguenze perché, nei limiti in cui ci sforziamo di
ignorare i sentimenti, le nostre «soluzioni» si scoloriscono
di umanità. L'ambiente burocratizzato di cui tanto spesso ci
lamentiamo è stato ampiamente creato dal nostro trattare le crisi
sociali come se non partecipassimo ad esse. Quando Toffler pone sbarramenti
contro l' «irrazionalismo» dei più nuovi indirizzi
della nostra cultura, è proprio per proteggere questo tipo di
auto-inganno schizoide. Ogni deviazione da quella mentalità a
binario che proclama come il futuro debba essere, sotto ogni riguardo,
più alienato dal passato di quanto lo sia il presente viene stigmatizzata
come «repulsione contro l'intelligenza». Toffler, evidentemente,
identifica l'intelligenza con la fisica newtoniana, col razionalismo
del diciottesimo secolo e col dipartimentalismo incasellato degli accademici.
Egli, ad esempio, desidera che l'istruzione abbia una «direzione
coerente e un punto di partenza logico», come se l'apprendimento
cominciasse in qualche posto o ci pervenisse in linea diretta. Egli
attacca tutte le deviazioni dallo scientismo convenzionale come «vistose»,
«malate» e «prescientifiche», ponendosi domande
del genere, «Di che tipo di vita culturale dovrebbe fruire una
città del futuro», come se fosse logico che gli interessi
e i desideri umani fossero programmati dal cervello di una qualche commissione
pianificatrice o da una «fabbrica d'utopia». È come
se Toffler implicasse che tutti noi dobbiamo cibarci del Pane Meraviglioso
e che facciamo acquisti nei supermarket, al fine di liberarci da ogni
tinta di «nostalgia», «irrazionalità»
o «acting out». Ma noi non dovremmo lasciarci fuorviare
da ingannevoli mode aritmetiche e compartimentalizzate di considerare
l'intelligenza. Non c'è nulla di più irrazionale del concetto
che l'ignoranza dei nostri sentimenti e dei nostri bisogni creerà,
attraverso qualche contorta magia, un ambiente gratificante. Scienziati
e quasi scienziati parlano spesso, con orgoglio puritano, di «fatti
freddi, secchi, duri» , affermando trionfalmente la loro esangue
visione del mondo. Dacché essi non badano a fatti morbidi, umidi
e caldi, non c'è da meravigliarsi che non siano riusciti a produrre
una sola teoria che tratti efficientemente gli insiemi viventi.
Non guardatevi indietro, il futuro può raggiungervi
Il quinto fraintendimento è che il cambiamento sociale sia lineare.
L'affermazione che la storia non si ripete mai ha, sì, una certa
validità, però la stessa cosa vale per l'asserzione che
non c'è niente di nuovo sotto il sole. Il rapporto fondamentale
fra parti, fra parti e interi, fra organismi e fra organismi e ambiente,
fluttua nell'ambito relativamente modesto che circonda una norma più
o meno costante. D'altro canto, qualsiasi adattamento energetico specifico
è unico, e la storia del nostro pianeta ha assistito ad una continua
proliferazione di tali adattamenti. Il bulldozer non è una pala,
mentre un detergente di «nuova formula» può essere,
in effetti, per quanto irrilevante o inutile, una nuova combinazione.
Non esiste motivo per cercare di sostenere che il tempo ruota meramente
in eterno, ma non c'è neanche alcun motivo per arguire che l'universo
si muova rigidamente in una certa direzione lungo un binario prestabilito.
Ci siamo cacciati in una serie di guai volendo trattare il passato come
un mucchio di spazzatura da gettarsi in un cumulo di rifiuti, neanche
fosse le pagine strappate di un calendario con i giorni cancellati.
Un'ecologia vitale esige che il passato venga ancora riciclato. Dietro
a ciò, ci sono molte cose di cui possiamo avvalerci. Ogni epoca
è, sì, in parte, un correttivo delle distorsioni della
precedente, ma contiene anche le proprie. La teoria del binario è
dannosa, implicando che, se perseguiamo abbastanza freneticamente il
futuro, siamo in grado di evitare quegli irreconciliabili opposti intorno
ai quali i sistemi sociali si formano. Si suppone che, in un qualche
luogo del futuro, saremo in grado di massimizzare simultaneamente la
sicurezza e la sorpresa, la comunità e l'intimità, la
varietà e la costanza, ed ognuno darà eguale e minore
di chiunque altro.
Continua >>>>>
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