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Materiali per Operatori del Benessere Immateriale
Earthwalk

CAPITOLO 3 (prima parte) / Indice / v. Capp. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 /
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PARABOLA 3

Un uomo impazzì e cominciò a correre per la strada, gridando che la gente lo stava perseguitando, nel tentativo di ucciderlo. Gli astanti rimasero estremamente impressionati dalla sua energia e velocità. « Com'è che sei capace a correre così forte? », chiesero. « Sto correndo per la mia vita, sciocchi! » ansimò. Il suo terrore sparse il panico fra gli astanti, per cui tutti cominciarono a correre. Un po' per ammirazione, un po' per paura, sempre più gente si unì al gruppo dei corridori che si andava ingrossando, fino a diventare una folla enorme che, alla fine, si gettò da una scogliera nel mare.

IL BRUTTO CIGNO ovvero
METTENDO LA MORDECCHIA AL MOVENTE DEL PROFETA

Sterminate il saggio, accantonate il sapiente
E il popolo ne beneficherà del centuplo;
Sterminate la benevolenza, accantonate la rettitudine
E il popolo sarà nuovamente filiale;
Sterminate l'ingegnosità, accantonate il profitto
E non ci saranno più ladri, nè banditi.

Lao Tzu

Soltanto coloro che non lavorano nei campi hanno il tempo per meravigliarsi del grano. E sono proprio loro a non averne il diritto, perché non l'hanno assaggiato, nè lavorano per produrre farina per il popolo.

Idries Scià


Esiste una legge cibernetica che afferma che quanto più probabile è un messaggio, tanto meno informazioni fornisce. Ad esempio, l'informazione contenuta in un messaggio decresce con la sua ripetizione. In qualsiasi gruppo, ciò determina un curioso dilemma: quanto più i membri stanno insieme, tanto meno hanno da dirsi — almeno per quanto concerne la struttura relazionale propria del gruppo. Dacché il circuitismo del gruppo è noto a tutti, il valore dell'informazione di quanto viene comunicato va sempre più declinando. Quanto più efficacemente un gruppo comunica di sé e dei suoi costituenti, tanto più rapidamente stagnerà, in assenza di inputs dall'esterno.
Anche con gli inputs esterni, però, la comunicazione tenderà a decrescere, dacché la struttura stessa agisce come filtro di schermaggio di quell'informazione dissonante da essa interpretata come rumore. Tratteremo, qui, soltanto gli stimoli che si ripercuotono sul circuitismo di gruppo; quelli, cioè, che si ripercuotono sui rapporti all'interno del gruppo stesso. I partecipanti più centrali del gruppo - quelli più investiti nelle strutture (pertanto, più «influenti») - debbono proteggerlo da tali stimoli disturbanti. Essi fungono da organi sensoriali del gruppo - consentendo l'ingresso a ciò che contribuisce a conservarlo, ma escludendo (in quanto i nostri sensi escludono più di quanto immettano) qualunque cosa metta a repentaglio il suo circuitismo. Se essi vengono meno a questo bisogna, il gruppo perderà la sua integrità. Se ci riescono, esso può stagnare o diventare opprimente. In altre parole, un sistema, di tanto in tanto, ha bisogno di acquisire una percezione dell'universo, ivi compreso di sè stesso, attraverso occhi diversi dai propri, dacché i suoi organi sensoriali sono designati ad escludere dalla consapevolezza la maggior parte delle informazioni. L'unico modo per acquisirla è di estrudere un po' del circuitismo, il quale svilupperà un apparato percettivo differente dal circuito parente e, conseguentemente, inalerà una visione diversa. Ma, a questo punto, il circuito parente non è più in grado di «capire» il segmento estruso,eccetto che in riferimento alle analogie residue fra circuitismo presente del segmento e quello originario. In altre parole, quanta più informazione il segmento acquisisce, tanto meno capace sarà il circuito parente di assimilarla. Il processo, pertanto, deve essere ripetuto. Si estrude un profeta nel deserto, il quale ottiene una visione e ritorna. Questi, poi, o viene respinto, oppure la sua visione viene assorbita, sviluppando così un nuovo circuitismo nel sistema parente. Rozzamente, il sistema parente si incurva, a mo' di vermiciattolo, sull'informazione fornita dai membri estrusi, verso un obiettivo sempre sfuggente e irraggiungibile di circuitismo totale, perfetto e conscio. Ciò che il profeta vede nella sua visione ha significato secondario:l'importante è come lo vede. Egli non è soltanto un esploratore che esplora un territorio sconosciuto, egli è il territorio - non è lo sperimentatore, ma l'esperimento. Ciò che innova è la propria struttura interna. La maggior parte di queste innovazioni, come la maggioranza delle mutazioni, risulta inutile e grottesca: il profeta torna dalla landa selvaggia con sette dita per ogni piede ed un anello al naso, proclamando che la vita è una cateratta. Egli viene schernito e messo da parte, in quanto i profeti sono altamente sostituibili. Ma, qualche volta, il profeta sviluppa realmente un circuitismo interno tale da conferire prestigio al circuito parente, qualora venisse ad esso reintegrato. A questo punto sorge un problema: come può un sistema assorbire una modifica esterna che giunge in essere attraverso una procedura già precedentemente basata sull'incapacità del sistema a tollerarla? È un po' come quei genitori socialmente ambiziosi che mandano il figlio ad una scuola di élite, affinchè sviluppi uno stile di vita non corrotto dalle loro asprezze. Essi desiderano che il figlio diventi « migliore » di loro ma, quando questi ritorna, restano costernati e dicono, « Chi sei? Non sono in grado di pormi in relazione con te. Come puoi tu umiliare i tuoi genitori che ti hanno dato tutto? » Genitore e figlio saranno in grado di mantenere uno stretto legame soltanto nei limiti in cui la tentata metamorfosi del figlio non ha ottenuto successo. Nel caso dell'arrampicatore sociale, il problema può, entro certi limiti, essere trattato attraverso la compartimentalizzazione: il figlio può conservare due identità, una per i genitori e una per il resto del mondo. Finché i due mondi non entrano in contatto, a ciascuno verranno risparmiati imbarazzo e conflitto. Però, in tal caso, i genitori non saranno in grado di compartecipare la vita del figlio, per cui il loro sistema non verrà influenzato. Oppure, immaginiamoci che l'organismo, per sopravvivere, abbia bisogno di alterare la composizione del flusso sanguigno. Dacché non è possibile che lo faccia nel contesto della propria programmazione, esso estrude una piccola quantità di sangue che, liberata dalle costrizioni dell'organismo nel suo complesso, si da da fare, con l'aiuto di influenze esterne, per acquisire il cambiamento auspicato. Nel momento in cui il sangue viene reintrodotto, però, l'intero organismo si mobilita per distruggere totalmente l'intruso. A livello culturale, questo dilemma è risolto da un meccanismo interessante. Mentre il circuito estruso viene attaccato e spesso distrutto, il suo messaggio - cioè la forma del suo circuitismo evolutasi di bel nuovo - viene assorbito e incorporato. In questo modo, il sistema parente è in grado di conservare inalterato il proprio apparato di conservazione del confine e di schermaggio sensoriale, pur alterando il suo circuitismo interno. Ecco perché il primo passo verso l'accettazione di un'idea totalmente estranea è di attaccarla, di evidenziare tutti i motivi del perché è sbagliata, illogica e inadeguata — ovvero, in conflitto col circuitismo esistente. Se l'attacco è del tutto intelligente, nel senso che si dimostra accuratamente come l'idea sia inderivabile da premesse accettate, l'idea stessa diventa, in effetti, parte della cultura, quantunque parte non assorbita. Tutto ciò che resta è di semplificare il circuitismo culturale modificando le sue premesse — cioè, sviluppando una sintesi più alta che abbracci la nuova idea (questa viene generalmente definita co-optazione). Il circuitismo dell'idea stessa è stato previamente introdotto, sebbene un segno meno venga assegnato ad ogni nodo di connessione col vecchio circuitismo. Ecco perché l'approccio alla propaganda del tipo « squadra della verità » è così auto-fallimentare. Attaccare efficacemente un'idea significa comprenderla e interiorizzaria. Un attacco irrilevante e stupido è efficace purché possa essere sostenuto; però esso è vulnerabile al contrattacco, per cui provoca l'attaccante ed un ancora più efficace follow-up. L'unico modo per resistere ad un'idea estranea è di ignorarla. Weston La Barre avanza l'ipotesi che gli psicotici siano potenziali eroi di una cultura cui non ha arriso il successo nel comunicare con i loro pari. Tuttavia, anche una comunicazione che ottenga successo non è garanzia contro l'incarcerazione o la distruzione. Il profeta è soltanto lo strumento di un più vasto sistema e ciò che accade al suo essere personale non riveste alcuna importanza. Successo e fallimento sono termini che hanno soltanto significato in rapporto al messaggio che egli reca. Egli può sopravvivere all'attacco infertogli e ricevere gli onori del suo tempo, se non del suo paese. Comunque, ciò che viene onorato (come ciò che viene attaccato) è il suo status di latore del messaggio, non la sua personalità. La personalità manifesta del profeta, anche in assenza di specialisti in pubbliche relazioni, è un costrutto artificiale — una creazione congiunta di coloro che ricevono il messaggio in collaborazione col profeta stesso nel compimento del suo ruolo. Ecco perché tutte le figure pubbliche e i personaggi famosi sembrano tanto uguali. Di più, quella mezza dozzina di tipi di carattere disponibili per l'adozione da parte dei famosi, è, per quanto stereotipata, assai efficace nel suo impatto sulla persona interiore, se rafforzata attraverso la costante interazione con altri. È estremamente difficile proteggere la persona interiore, privata dal completo assorbimento da parte della personalità pubblica stereotipata. Chi ci riesce è capace di farlo soltanto evitando rigorosamente l'interazione con gli sconosciuti - cioè, con coloro che li conoscono soltanto come profeti. Egli deve, invece, circondarsi di persone che «lo hanno conosciuto quando», cioè come persona più che come latore di messaggio. Però, anche questo è diffìcile, perché è probabile che si trovi a svolgere il ruolo di profeta schivo, modesto e nondimeno umile anche nell'intimità della sua casa. E mentre amici e parenti possono essere in grado di rafforzare la persona privata comportandosi come se quella pubblica non esistesse, ciò esigerà che il profeta, in primo luogo, rinunci a quei bisogni di rispetto e di stima che l'hanno portato ad accettare l'investitura nel ruolo. La maggioranza dei profeti è composta di sconosciuti che cercano in terra straniera, o che ritornano con una personalità visibilmente trasformata, per ottenere quel rispetto precedentemente negato loro dalla comunità. Questo loro bisogno di rispetto non li rende soltanto vulnerabili all'investitura, ma anche suscettibili alla convinzione che il nuovo circuitismo da lorosviluppato in stato di estrusione sia un atto conscio e volontario di creazione personale. Questa illusione individualistica è determinata, in parte, dalle circostanze che circondano l'estrusione del profeta e, in parte, da quelle che si associano al suo ritorno. Il profeta ritorna sempre come uno sconosciuto. Spesso, il suo ritorno è indiretto, nel senso che raggiunge un altro paese. Se il suo messaggio viene colà accettato, successivamente arriverà, per diffusione o conquista, anche al circuito da cui era stato estruso. « II profeta riceve onori, fuorché nel proprio paese... » II che significa che il circuito parente è spesso l'ultimo a sapere che i propri sforzi per trascendere sè stesso hanno avuto successo. Nel caso il profeta ritomi direttamente al sistema parente, egli deve essere notevolmente cambiato. Altrimenti i suoi precedenti associati lo riconoscerebbero e si porrebbero in relazione con lui nella vecchia maniera (« È sempre quel vecchio sciocco di Enrico »). Come latore di messaggio, il suo primo compito è di convincere tutti che gli è accaduto qualche cosa di significativo — che non è più quello di prima. Diventa quindi facile capire quanto il profeta se la passi brutta se conserva un qualsiasi senso di integrità e continuità personali, al di là del suo ruolo di latore di messaggio. La sua esistenza come persona è così fragile, così dipendente dalla risposta di coloro che lo circondano, da essere seriamente tentato di confortarsi nell'illusione di essersi fatto da solo. La maggior parte del narcisismo del profeta deriva però anche dalle condizioni che circondano la sua estrusione. Se il segmento estruso ha da essere in una posizione tale da sviluppare un nuovo circuitismo deve, in qualche modo, venire tagliato fuori dal sistema parente e gli si deve assegnare un certo livello di autonomia e di indipendenza. Ciò viene facilitato, in primo luogo, se il profeta è scarsamente connesso, come generalmente avviene. Ci si attende che il profeta, nel momento dell'estrusione, ritiri il suo investimento emotivo da tutti i suoi rapporti per investirlo, invece, nella mappa di quel circuitismo che porta dentro di sé. I Gestaltisti alludono a questo processo come al « riassorbimento delle proprie proiezioni». Una volta, Freud disse che l'ego individuale era meramente un precipitato di rapporti trascorsi: i Gestaltisti dimostrano il contrario: che i rapporti di un individuo costituiscono meramente un palcoscenico in cui vengono recitati i suoi conflitti interni. Il circuitismo parente, quando estrude un profeta, adotta il punto di vista Gestalt. Ci si attende che il profeta dissolva quante più complementarietà possibili e riscopra tutta questa varietà all'interno. Questa non è bizzarria, in quanto la potenzialità di tutti i tratti umani risiede nell'interno di ciascuno. Una volta superata la propria repulsione, ogni essere umano conosce tutti i ruoli esistenti in ogni dramma umano e può svolgerli. A questo riguardo, i gestaltisti sono assolutamente corretti. Il profeta, allora, è costretto a cessare e a desistere dal consentire ad altri di interpretare aspetti del suo sé. Deve sviluppare autonomia, totipotenzialità, auto-sufficienza - e, entro certi limiti, lo farà inevitabilmente, unicamente in virtù della sua estrusione. Ciò determina una forte probabilità di sviluppo di nuovi schemi — proprio come una colonia, che debba sopravvivere per conto proprio, senza aiuto della madrepatria, ha la possibilità di evolvere una cultura piuttosto differente. Un risultato poco propizio di tutto ciò è che il profeta arriva ad immaginare che la propria estrusione sia stata un'azione autonoma e che il nuovo circuitismo, sviluppato durante il suo isolamento (esilio, veglia, esperienza massima, o qualsiasi altra cosa) sia stata un'acquisizione personale, invece di un risultato quasi inevitabile della situazione in cui si trovava. Questo è un rischio naturale del processo. Dopo tutto, il profeta è un emarginato. I più sono dei falliti. In una simile condizione miserabile è necessario accaparrarsi tutti gli agi a disposizione, e questo è inevitabilmente narcisistico e illusorio. Tutto ciò fu abbastanza innocuo finché ogni segmento estruso rimase in isolamento temporale e spaziale. Un grave problema, invece, è emerso, quando gli umani cominciarono a registrare la loro storia, consentendo, così, l'affioramento di una cultura di profeti. Essa non soltanto insegnò ai futuri segmenti estrusi come comportarsi (caratteristica utile, tutto sommato), ma rese altresì loro disponibile la fantasia confortante di non essere rifiuti sostituibili, ma eroi selezionati. Una volta ampiamente diffusa la visione del profeta, ciò che originariamente fu un analgesico, diventò un sistema di vita e la gente cominciò, in concreto, a ricercare quel ruolo già evitato. Quello che adesso ci circonda è un sistema sociale in cui viene assegnata proprietà massima alla manifattura delle mutazioni. Essenzialmente questo è ciò che, ovunque, costituisce la concezione di individualismo - elevazione, cioè, di un'istanza periferica a posizione di centralità. Nei due secoli scorsi, la cultura occidentale si è mossa rapidamente verso un sistema in cui ogni singolo individuo venisse socializzato per essere un rifiuto eroico - un profeta-mutazione per un sistema nucleo che, a motivo di ciò avrebbe dovuto, conseguentemente, cessare di esistere. Come per il meccanismo del volere, trattato nell'ultimo capitolo, questo chiunque-è-schema di mutazione costituisce una funzione d'emergenza che scorrazza in lungo e in largo, preso da pazzia sanguinaria. Una cosa è che un sistema, di tanto in tanto, butti via qualche fondo di magazzino come barriera contro l'inaspettato — riconoscimento, questo, che il circuitismo che si è evoluto, pur vitale ed elegante, è limitato e vulnerabile a condizioni che si trasformano. È del tutto differente, invece, che un sistema tratti l'inaspettato come un luogo comune inevitabile e getti via, frammento dopo frammento, il suo intero circuitismo. Questa è una malattia auto-perpetuantesi, dacché il sistema che continuamente si frammenta e si espande può scarsamente pretendere un nucleo sfruttabile. Quanti più rifiuti estrude, di tanti più profeti può, a buon diritto, pretendere di avere bisogno, fino a quando raggiunge la totale dissoluzione. L'eroificazione del ruolo del rifiuto ha raggiunto, nella nostra società, un punto molto simile a questo. Non è più unicamente il deviante ad essere socializzato al disprezzo della propria connessione con gli altri. Anche i pilastri ordinari della comunità vengono addestrati a pensare a sé in tutti i sensi concepibili di tale frase. Se si trattasse soltanto di essere afflitti da migliaia di artisti, di cui ciascuno si ritenesse fondatore, pur essendo di terz'ordine e di varia specie, di una dinastia nuova e creativa, potremmo sopravvivere all'influsso. Invece, la disseminazione del principio di mutazione eroica ha contribuito anche a darci quel tipo di scienziati e di medici che ci troviamo. Gli Americani vengono addestrati fin dall'infanzia alla mutabilità. Si insegna loro ad ignorare la connessione con altri e ad immaginare che qualsiasi successo o fallimento sperimenteranno nella vita è funzione della loro capacità dissociata di esercitare il potere. Viene loro insegnato a distruggere la continuità, ad adattarsi meccanicamente e servilmente al cambiamento e a considerare i rapporti come se non avessero un significato diverso dall'acquisizione di obiettivi strumentali. Ciò ha
portato a determinati vantaggi: non è mai esistito un popolo o una specie meglio attrezzata a sopravvivere e ad adattarsi a qualsiasi cambiamento cataclismatico dell'ambiente. D'altro canto, c'è una certa futilità a vivere la propria vita intera attorno alla previsione di un disastro. Si è tentati di produrlo, non foss'altro per dare significato alla cosa. Inoltre, la disponibilità al cambiamento tende a creare un cambiamento e la nostra preparazione ci ha portati alla condizione in cui, come popolo, ci troviamo ad essere in grave tensione cronica da perpetua novità, come bene ha dimostrato Toffler. Però, la nostra capacità a gestire tale angoscia è insidiata dalla nostra stessa ideologia, che ci dice come il cambiamento sia una necessità e un bene. Un politico che si alzasse per dimostrare che il cambiamento di ogni tipo (in avanti o indietro) risulta, in genere, pernicioso, riceverebbe, quanto a reputazione nella nostra società, un posto in graduatoria di poco inferiore a quello di Adolf Hitler. Infine, dacché questi cambiamenti si verificano ad una velocità tale per cui un processo non è ancora terminato che già ne inizia un altro, l'esperienza di equilibratura e di integrazione risulta essere virtualmente ignota. La proliferazione della disarmonia si auto-genera. In conseguenza della loro socializzazione, gli Americani, come gruppo, sono intossicati dall'immagine romantica del solitario eroe rifiutato che forgia il proprio (è un'immagine prevalentemente maschile) destino e cambia il circuito parente mediante i suoi sforzi caratteristici. I bambini vengono precocemente indottrinati con quest'idea per mezzo di favole in cui il giovane respinto trionfa sul gruppo che lo rifiuta; i successivi anni dell'infanzia sono zeppi di biografie, reali o fantastiche, di adulti solitari e beffeggiati che conquistano la preminenza attraverso realizzazioni creative. Ognuna di queste storie indottrina il bambino con il concetto che questi «successi» sono da attribuirsi esclusivamente all'arte individuale e malgrado il gruppo in cui l'individuo è inserito. Il fatto che, in realtà, l'individuo non possa acquisire nulla senza un contesto sociale, viene perso di vista in mezzo alla gloria del trionfo egoistico. La fantasia del distacco egoistico porta molte persone a confondere la vita di relazione organica con gli altri con l'essere imprigionati in qualche genere di sistema autoritario. Se si parte dall'illusione dell'autonomia, tutte le forme di connessione appaiono uguali ed ugualmente oppressive. Per due secoli, la cultura occidentale si è impegnata nel trasferimento graduale, istituzione dopo istituzione e con molte ricadute, da modi d'organizzazione autoritari ad altri « democratici ». Questo trasferimento è risultato per così tanto tempo un'immagine pervadente delle menti occidentali, da essere per noi assai difficile concepire il cambiamento sociale in maniera non colorata da tale processo. Eppure, esso è soltanto un breve episodio della storia della cultura umana e come tale, deve essere collocato nel suo contesto. L'implicazione secondo cui l'autoritarismo è una forma di organizzazione sociale antica o primeva è assolutamente falsa. L'autoritarismo, come forma sociale, non è nemmeno riuscito a completare il suo processo di diffusione per tutto il mondo, anche se è già in via di essere soppiantato nelle parti più urbanizzate della società occidentale. I popoli occidentali, soprattutto gli americani, sono stati per così tanto tempo presi dal dramma della democratizzazione da essere portati a considerare l'intero passato come una lunga era omogenea di autoritarismo. Toffler, ad esempio, parla della vita nelle comunità semplici come di un qualche cosa di «strettamente irreggimentato» e restrittivo. Questo «incarceramento del passato», che sembra così tanto costernarlo, non è, però, caratteristico della comunità semplice, ma delle forme autoritarie che la sopraffecero, l'assorbirono e la sostituirono. La gran massa della storia umana è legata alla crescente impotenza individuale della società, piuttosto che a quella decrescente. Ciò non vuol dire che la spinta più recente della democratizzazione (per quanto confusa e ambivalente) costituisca in ogni modo un ritorno alla forma antica. Sia la democrazia di massa, sia la comunità semplice hanno maggiore rassomiglianza con l'autoritarismo di quanta ne abbiano l'una con l'altra. La forma sociale organica della comunità semplice apre la porta all'autoritarismo con l'accrescimento in dimensione e complessità. La comunità semplice, in sé, non è centralizzata e la comunicazione è intensa e uniformemente distribuita. (Dopotutto, i leaders sono necessari soltano quando un gruppo è troppo ampio o troppo nuovo per funzionare organicamente). Al profano, la gran parte del comportamento collettivo della comunità appare spontanea, non programmata, quasi organismica - come se la comunicazione fosse extrasensoriale. In effetti, è semplicemente automatica — le cose vengono « intese », per cui i bisogni collettivi sono sperimentati con la stessa intensità con cui sperimentiamo quelli personali. Tuttavia, la delicata armonizzazione di questa comunità non può affatto sopravvivere alla fusione con una tribù estranea. Le guerre di piccole tribù comportano, in genere, grandi zuffe, pochissime uccisioni e scarsi cambiamenti territoriali. Ma, quando con gli smembramenti e i movimenti su larga scala delle persone, i gruppi si dedicano alla conquista
e all'assorbimento di altri gruppi, si comincia a trovare (a) centralizzazione di potere e di comunicazione e (b) gerarchia. Il che vuoi dire, giungono in essere un capo o un rè, nobili e cittadini. William Stephens tratta questo trapasso in un'analisi culturale incrociata di schemi familiari, trovando la forma più autoritaria ad un livello intermedio di raffinatezza culturale, con gli schemi «democratici» ad entrambi gli estremi. Chiama regno la forma autoritaria, definita come avente un organo centralizzato di controllo politico con potere coercitivo armato, un singolo dominatore ereditario, almeno due classi sociali e sfruttamento economico. Per contrasto, la tribù (equivalente alla comunità semplice) non ha potere centralizzato, niente capi e nobili, nessuna città, nessuna civiltà. Stephen avanza l'ipotesi che la formula autoritaria sia stata inventata per porre in grado i gruppi conquistatori di mantenere il controllo di un popolo soggiogato e del suo territorio. Egli ha trovato che la deferenza del figlio verso il padre e della moglie verso il marito è bassa nella tribù, alta nei regni e nuovamente bassa quando il regno si trasforma in stato democratico, per cui è portato ad arguire che queste forme di famiglia autoritaria sono semplicemente un sottoprodotto dello statoautoritario. L'autoritarismo, comunque, è una forma sociale goffa e rigida. Nei periodi di grande cambiamento tende o ad ossificarsi e sgretolarsi, o a dissolversi in forme democratiche di maggiore flessibilità. In nessun modo, questo è un ritorno alla semplicità o ad una maggiore organicità. Al contrario, la democratizzazione, di solito, spinge più lontano il processo di disconnessione iniziato dall'autoritarismo - cioè, la conversione di unità organiche in masse di atomi sconnessi. In effetti, questi tre stadi costituiscono un'illustrazione della dinamica del profeta — l'idea che si verifichi un cambiamento nei sistemi viventi con l'estrusione di particelle che vengono reingerite una volta sviluppato un nuovo circuitismo. Il movimento dalla comunità semplice alla democrazia di massa non è né una linea retta, né una pura oscillazione. È un movimento pulsante in cui il cambiamento viene causato da una concentrazione iniziale e da un diffusione successiva. Microorganismi relativamente innocui, isolati in un laboratorio bellico di biologia, possono essere trasformati in deformazioni virulente che, una volta reinserite negli orgnismi umani, si diffonderanno rapidamente per distruggerli. In questo caso, il microorganismo - in origine comodo parassita - è il profeta, il laboratorio è il deserto, il messaggio la morte. Nel caso del trapasso da semplice comunità a democrazia di massa, il profeta è il capo o il rè, il deserto è l'autoritarismo e i messaggi sono la linearità, l'individuazione e l'inibizione. La comunità semplice non è tenuta insieme da princìpi. Ciò non vuol dire che non esistano categorie: le categorie di consanguineità, probabilmente, hanno grande importanza, anche tenendo conto del pregiudizio implicito degli etnografi occidentali addestrati a presumere che tutte le persone abbiano relazioni reciproche espresse in termini di categorie d'appartenenza. Però, le categorie di consanguineità sono limitate e statiche e non portano molto lontano in direzione di una generalizzazione più astratta. Pur tendendo, entro certi limiti, ad un'organicità schietta, esse elevano anche una barriera contro l'emergere di altri tipi di ordine meccanico. In ogni caso, l'individuo conserva una posizione fissa nella comunità che, lungo il corso della vita, si modifica soltanto gradualmente e in modo del tutto prevedibile. Egli viene definito dai suoi rapporti; se tentassimo di esaminarlo isolatamente, tabulando gli attributi individuali su schede IBM, ben poche cose impareremmo di lui, atte a predirci il suo comportamento. Egli è parte di un qualche cosa in grado assai maggiore di un occidentale, per il quale un tentativo del genere ci direbbe un mucchio di cose. Con la centralizzazione del potere, tutto ciò comincia a cambiare. Inizialmente, il potere è fisso ed ereditario ma, quanto più potere il rè o il capo detiene, tanto più dinamica tende a diventare la variabile potere. Inizialmente concepiti come rappresentazioni delle potenti forze ambientali, i rè vengono circondati da costrizioni e restrizioni. Ma, coll'andar del tempo, in virtù del potere in loro concentrato, le loro preferenze individuali, i loro capricci e i loro bisogni indeboliscono ed erodono le limitazioni fisse ed ereditarie. Come dice Enrico V, « Corretti costumi cortesia per grandi rè. » II modernismo comincia col dispostismo. I rè, quindi, sono i primi individualisti. Col crescere del loro potere, vengono incoraggiati a sviluppare atteggiamenti narcisistici non interdipendenti. Sono i profeti dell'individualismo. Il popolo, disancorato dai suoi ormeggi sociali e mandato alla deriva dalla collisione di culture estranee e dall'accresciuta dimensione e complessità, stipula un contratto tacito con il dominatore: egli creerà l'ordine, loro gli accorderanno deferenza; egli gratificherà i loro bisogni, loro gratificheranno il suo narcisismo. Nella comunità semplice, entrambi questi bisogni sono gratificati pressoché automaticamente: ognuno occupa un proprio posto, è inserito in rapporti nutritivi, percepisce ordine e significato ed è relativamente poco conscio di sé. Esiste interdipendenza, per cui alla dipendenza viene altamente posta la sordina. Il narcisismo è quasi irrilevante, dacché nessuno considera sé stesso entità isolata, ma soltanto parte di un tutto. L'autoritarismo, invece, restituisce allo sradicato un fac-simile di globalità e di appartenenza. A questo punto, i bisogni di dipendenza sono gratificati, mentre quelli narcisistici permangono irrilevanti. Tuttavia, questo è meno valido per il rè, proprio perché reso consapevole del suo isolamento e della sua unicità, deve essere adulato e vezzeggiato come compenso per il suo isolamento. Questo è un processo graduale. La corte del dominatore è un laboratorio o un deserto in cui l'individualismo può metterci dei secoli per evolversi. Ma, non appena ci riesce, viene subito impostato lo stadio per lo sviluppo successivo: la diffusione, cioè, dell'individualismo alle masse.
Questo è il processo che chiamiamo democratizzazione. Spesso è accompagnato da un attacco al profeta (il rè), secondo un meccanismo precedentemente descritto. Il rè viene detronizzato e il suo narcisismo viene divorato ed assorbito da tutto il popolo. La felice indifferenza di Nicola ed Alessandra diventa l'insensibilità interiore dell'intera classe media. Questo è il processo che il mito freudiano dell'orda primitiva ha cercato di ritrarre. Quanto alla linearità, il processo è lo stesso. Il rè, isolato nel laboratorio del potere centralizzato, impara a perseguire una concezione in una maniera « logica » senza confini - ad ignorare il feedback. Durante la fase di democratizzazione o di diffusione, anche questo aspetto viene interiorizzato dalle masse. La cultura tecnologica altro non è che
l'interiorizzazione, da parte della massa, della tirannia. I rapporti all'interno di una simile società racchiudono la stessa forma competitiva e caotica che, in precedenza, caratterizzava le relazioni fra regni in guerra. Infine, l'autoritarismo è il primo passo nello sviluppo dell'inibizione interiorizzata dell'impulso e del sentimento - cioè della capacità di posporre la gratificazione a favore di obiettivi narcisistici. Stephens osserva come siano stati i regni a segregare più decisamente i ruoli di sesso e avanza l'ipotesi che, in genere, questi siano sempre maggiormente inibiti e repressi che nelle tribù. Egli cita la trattazione di Rettray Taylor sulla sindrome « patrista »: restrizioni sessuali, scredito delle donne, autoritarismo politico, paura della spontaneità e del piacere, e così via. Altri studi
confermano quest'associazione fra autoritarismo, patriarchia e repressione sessuale, nel confronto fra comunità semplici e regni, anche se non risulta affatto chiaro che le repressioni sessuali diminuiscano in risposta alla democratizzazione. In ogni caso, l'inibizione che si verifica nei regni è esterna e coercitiva. Il rè può essere costretto dalla sua responsabilità e posizione a diventare uno specialista in inibizione e in posposizione della gratificazione (un « cattivo » dominatore è colui che viene troppo clamorosamente meno a questo bisogna — di solito, è sostituito, almeno de facto, da qualcuno che sia all'altezza di porla in atto - un primo ministro o un usurpatore). Tuttavia, non ci si attende che il singolo cittadino reprima i propri impulsi in assenza di pressione esterna. Per due secoli, o giù di lì, siamo restati nella seconda fase di questo processo, in cui la massa attacca il profeta e ne divora il messaggio. La massa, cioè, si libera della forza e inibisce sé stessa. L'intera popolazione comincia a manifestare un'etica di controllo, di acquisizione e di inibizione. Max Weber ci descrive come, durante la Riforma, quel tipo di ascetismo originariamente limitato agli specialisti monastici (altro gruppo di profeti) si fosse successivamente diffuso nella popolazione. La diffusione della motivazione all'acquisizione sembra aver assunto la stessa forma. Questo processo può anche essere scorto nella diffusione della serietà e dell'ampollosità. Re e regine erano soliti fare, a tempo perso, giochi infantili. Durante il diciannovesimo secolo ciò è scomparso del tutto.
Adesso, come risultato delle Little Leagues, dei balocchi educativi e di altre forme di invasione adulta nel mondo dei bambini, questi ultimi possono a malappena giocare. Mi ha spesso colpito la relativa incapacità degli studenti di college (in confronto ai loro predecessori) di rispondere all'invito di impegnarsi in giochi simulanti o ritualizzati di ogni tipo. Prima di abbandonare l'argomento dell'autoritarismo, è necessario chiarire due punti di questa dinamica. Prima di tutto, desidero sottolineare il fatto che tutti e tre questi orientamenti — individualismo, linearità e inibizione — sono solo parzialmente presenti nell'autoritarismo. La caratteristica più importante di quest'ultimo è il suo compartimentalismo. Nella corte ci si comporta in un certo modo, in un altro modo nei villaggi. Questa è un'altra maniera per dire che, in un sistema autoritario stabile, la comunità semplice resta ampiamente integra, intorno ai margini della società. Le generalizzazioni riguardanti le forme sociali dei regni tendono a centrarsi sulla corte e sulla classe nobile. Spesso, la cultura dei cittadini resta essenzialmente immutata. Dal punto di vista delle masse, la corte è realmente un segmento estruso di quelli che, di tanto in tanto, possono venire disastrosamente in urto con gli individui, pur non ripercuotendosi immediatemente sulla loro cultura. È vero, una tassazione intollerabile, il passaggio di eserciti, o la coscrizione estesa possono, alla fine, erodere o completamente obliterare l'organicità del villaggio, portando alla distruzione dell'ordine stabilito, al vagabondaggio, al banditismo e all'urbanizzazione, ma generalmente parlando, la scomparsa della comunità semplice si verifica con la democratizzazione - con la diffusione del messaggio del profeta-re. Il secondo punto riguarda la nostra tendenza a confondere la connessione organica della comunità semplice con la coercitività dell'autoritarismo. Abbiamo così poca esperirenza di gruppi stabili e prolungati da aver la tendenza ad immaginarci una qualsiasi intensificazione di rapporto come se comportasse l'essere vincolati e manipolati. Ma c'è differenza fra l'essere una foglia su di un albero ed una posta sulla scacchiera. In nessun modo l'essere parte non autonoma di un tutto richiede assoggettamento al volere conscio di un estraneo. L'autoritarismo sorge quando il tutto non funziona più, spontaneamente e intuitivamente, come unità. Despoti ed editti affiorano come sostituti, faute de mieux. In un gruppo organico, non è necessaria alcuna volontà per cementare il gruppo. Ma questo livello di armonizzazione collettiva richiede lunghi periodi di una relazione che non venga in urto con forze esterne — è un equilibrio delicato che non potrebbe esistere nella nostra società. Per questo abbiamo difficoltà a concepire una qualsiasi collettività intensa non dominata da qualche forma di volontà conscia — sia essa un despota, sia un'oligarchia. Ma la pecca maggiore di questa percezione è il suo considerare unilateralmente la relazione. Gli Americani considerano la « libertà » un'assenza di influenza e controllo; però essa è anche perdita di influenza e controllo sugli altri. La condizione che Toffler diffama come « irreggimentata » è semplicemente quella in cui la gente è altamente e reciprocamente rispondente. Si è, sì, soggetti alle richieste altrui (incubo americano), ma si può anche contare sul fatto che gli altri soddisferanno le nostre. L'individualismo è un involucro che ci distrae dai rigori della reciprocità - dal fatto che in una società in cui io sono incapace a commuovere te, anche tu sei impotente a commuovere me. L'impotenza endemica della società moderna è determinata dal semplice espediente del disconnetterci. Un motivo per cui gli Americani sono così propensi a lasciarsi sedurre da questo involucro è che tendono a riporre valore in sé stessi soltanto come attori, non come persone che rispondono o che sentono. (Ho il sospetto che tutto ciò sia meno vero per le donne, e in questo fatto ripongo qualche speranza per il futuro.) Se dò soltanto importanza a ciò che io e gli altri facciamo, e non a ciò che sentiamo, allora i rapporti intimi possono apparire pericolosi, dacché daranno l'impressione di essere impedimento alla mia azione, mentre il loro potenziale di soddisfazione dei miei bisogni e desideri sarà meno saliente nella mia coscienza.

Specializzazione e profeti domestici

Nella società, la divisione del lavoro si basa sull'originale assunto secondo cui l'efficienza della parte è più importante dell'efficienza del tutto. La storia della cultura umana ha posto un vigoroso impegno su questo punto di vista, malgrado il considerevole costo in piacere umano. Toffler, ad esempio, sollecita i vantaggi di rapporti « modulari » o segmentati, ai quali ogni individuo affida soltanto un frammento del proprio coinvolgimento personale. Egli fa notare, del tutto correttamente, che «libertà» e frammentazione vanno di pari passo e se la prende con le critiche sociali moderne perché non lo ammettono. Dacché la libertà, come la maternità e la torta di mele, sono un bene indiscusso della società americana, egli ritiene di essersi sbarazzato del problema. Ma coinvolgimento parziale significa parziale soddisfazione: una persona che si trovi frammentariamente nel qui-e-ora, può vivere soltanto in maniera inumana. Le attività compartecipate su base indifferenziata (cioè, tutti fanno la stessa cosa insieme) sono sì, più gradevoli, ma portano via più tempo dei compiti parcellarizzati su base differenziale. Il tempo risparmiato è significativo soltanto se l'attività è spiacevole, ma, nei limiti in cui viene svolta collettivamente, di solito non lo è. Inoltre, l'efficienza raggiunta da ogni persona che acquisisca abilità al di lui, o al di lei, compito differenziato, viene spesso dissipata attraverso la devastazione della noia e, in genere, perduta in ogni caso attraverso i problemi di coordinamento dei compiti differenziati. Nella nostra moderna raffinatezza si suppone
che sappiamo tutto ciò; che sappiamo, cioè, come la comunicazione e la coordinazione siano di gran lunga più importanti della mera esattezza meccanica di qualche parte funzionante. Si suppone anche che sappiamo come la compartimentalizzazione distrugga l'integrità della persona, la quale non può essere affatto oppressa in una certa funzione limitata. Eppure, queste verità apparentemente ovvie hanno avuto una ripercussione modestissima sulla progressiva « modularizzazione » dell'organizzazione sociale d'Occidente. Perché è andata così? Come mai la competenza in compiti parziali è arrivata ad essere apprezzata più della coordinazione ed integrazione del tutto? Il concetto secondo cui tutto ciò che va al di là della breve scadenza e della stretta misura possa essere acquisito in questo modo è una potente assurdità. Dobbiamo, quindi, semplicemente presumere che l'umanità è ebete? E che dire della natura stessa? Dobbiamo forse presumere che le forze cieche che hanno prodotto piante e organismi animali sono anch'esse fuorviate? Un assunto del genere - cioè, che la natura possa sistematicamente e sostanzialmente sbagliare - getterebbe nel caos tutto il sapere e, pur non essendo tutto ciò da escludere, sarebbe sciocco abbracciare un tale assunto senza esaurire alternative meno orrende. Una difficoltà ovvia è che stiamo utilizzando l'integrazione come criterio basilare implicando, così, che un organismo integrato è assolutamente più vitale di uno che non lo è. Ma, all'inizio di questo capitolo, abbiamo visto come l'integrazione abbia i propri problemi. La divisione del lavoro è utile non perché porta all'integrazione (come alcuni teorizzatori sociali hanno insinuato), ma esattamente perché non lo fa. Le difficoltà di comunicazione che determina forniscono un'occasione di cambiamento e movimento. Una metafora comune circa la specializzazione della funzione è quella della macchina elegantemente articolata in cui tutto funziona "come un orologio" , ma ciò è fuorviante. Il valore della divisione del lavoro è di introdurreun po'di caos nel sistema. Una parte che possieda una funzione specializzata acquisisce un'autonomia di significato. Ciò viene solitamente oscurato dal fatto che l'autonomia fisica viene, perciò, perduta. L'autonomia fisica dipende dall'uniformità: se un organismo composto di parti identiche si frantuma, le parti possono sopravvivere perché auto-sufficienti — ognuna contenendo un po' di tutto ciò che era presente nel tutto. Se, invece, l'organismo è composto di parti differenziate, queste, una volta staccate dal tutto, periranno — questo è ciò che si intende per interdipendenza. In che senso, allora, una parte differenziata possiede autonomia? Io l'ho chiamata autonomia di significato e, con ciò, intendo qualche cosa di piuttosto semplice e ovvio. Se separate, due parti identiche sono indipendenti l'una dall'altra, però sperimentano il mondo (cioè, esso le viola) nello stesso modo. Due parti indifferenziate, pur dipendendo l'una dall'altra per la sopravvivenza, hanno un'esperienza del tutto differente del loro ambiente. La mano non percepisce il mondo allo stesso modo dell'occhio. I recettori e le categorie dell'una non sono disponibili all'altro. In genere il problema viene dissipato osservando come mano e occhio possono esistere soltanto in congiunzione con la totalità dell'organismo e che la loro informazione differenziata viene coordinata ad un livello più alto. Ciò che si trascura è che una simile coordinazione a più alto livello è possibile soltanto procedendo ad un più alto livello d'astrazione. Cioè a dire, il cervello dispone soltanto di quell'informazione che è traducibile da un sistema all'altro. Il che significa che l'occhio (o la mano) « sa » molte cose che il cervello non può sapere perché il suo linguaggio è troppo astratto. Il cervello, cioè, possiede un tipo di lingua franca internazionale che sdegna di impegnarsi colle volgarità dei dialetti locali. Ora, come abbiamo visto, un segmento identico può cambiare soltanto se isolato dal tutto e collocato in un ambiente alterato.

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