CAPITOLO 3 (prima parte) / Indice
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PARABOLA 3
Un uomo impazzì e cominciò a correre
per la strada, gridando che la gente lo stava perseguitando, nel tentativo
di ucciderlo. Gli astanti rimasero estremamente impressionati dalla
sua energia e velocità. « Com'è che sei capace a
correre così forte? », chiesero. « Sto correndo per
la mia vita, sciocchi! » ansimò. Il suo terrore sparse
il panico fra gli astanti, per cui tutti cominciarono a correre. Un
po' per ammirazione, un po' per paura, sempre più gente si unì
al gruppo dei corridori che si andava ingrossando, fino a diventare
una folla enorme che, alla fine, si gettò da una scogliera nel
mare.
IL BRUTTO CIGNO ovvero
METTENDO LA MORDECCHIA AL MOVENTE DEL PROFETA
Sterminate il saggio, accantonate
il sapiente
E il popolo ne beneficherà del centuplo;
Sterminate la benevolenza, accantonate la rettitudine
E il popolo sarà nuovamente filiale;
Sterminate l'ingegnosità, accantonate il profitto
E non ci saranno più ladri, nè banditi.
Lao Tzu
Soltanto coloro che non lavorano nei campi hanno il tempo per meravigliarsi
del grano. E sono proprio loro a non averne il diritto, perché
non l'hanno assaggiato, nè lavorano per produrre farina per il
popolo.
Idries Scià
Esiste una legge cibernetica che afferma che quanto più probabile
è un messaggio, tanto meno informazioni fornisce. Ad esempio,
l'informazione contenuta in un messaggio decresce con la sua ripetizione.
In qualsiasi gruppo, ciò determina un curioso dilemma: quanto
più i membri stanno insieme, tanto meno hanno da dirsi
almeno per quanto concerne la struttura relazionale propria del gruppo.
Dacché il circuitismo del gruppo è noto a tutti, il valore
dell'informazione di quanto viene comunicato va sempre più declinando.
Quanto più efficacemente un gruppo comunica di sé e dei
suoi costituenti, tanto più rapidamente stagnerà, in assenza
di inputs dall'esterno.
Anche con gli inputs esterni, però, la comunicazione tenderà
a decrescere, dacché la struttura stessa agisce come filtro di
schermaggio di quell'informazione dissonante da essa interpretata come
rumore. Tratteremo, qui, soltanto gli stimoli che si ripercuotono sul
circuitismo di gruppo; quelli, cioè, che si ripercuotono sui
rapporti all'interno del gruppo stesso. I partecipanti più centrali
del gruppo - quelli più investiti nelle strutture (pertanto,
più «influenti») - debbono proteggerlo da tali stimoli
disturbanti. Essi fungono da organi sensoriali del gruppo - consentendo
l'ingresso a ciò che contribuisce a conservarlo, ma escludendo
(in quanto i nostri sensi escludono più di quanto immettano)
qualunque cosa metta a repentaglio il suo circuitismo. Se essi vengono
meno a questo bisogna, il gruppo perderà la sua integrità.
Se ci riescono, esso può stagnare o diventare opprimente. In
altre parole, un sistema, di tanto in tanto, ha bisogno di acquisire
una percezione dell'universo, ivi compreso di sè stesso, attraverso
occhi diversi dai propri, dacché i suoi organi sensoriali sono
designati ad escludere dalla consapevolezza la maggior parte delle informazioni.
L'unico modo per acquisirla è di estrudere un po' del circuitismo,
il quale svilupperà un apparato percettivo differente dal circuito
parente e, conseguentemente, inalerà una visione diversa. Ma,
a questo punto, il circuito parente non è più in grado
di «capire» il segmento estruso,eccetto che in riferimento
alle analogie residue fra circuitismo presente del segmento e quello
originario. In altre parole, quanta più informazione il segmento
acquisisce, tanto meno capace sarà il circuito parente di assimilarla.
Il processo, pertanto, deve essere ripetuto. Si estrude un profeta nel
deserto, il quale ottiene una visione e ritorna. Questi, poi, o viene
respinto, oppure la sua visione viene assorbita, sviluppando così
un nuovo circuitismo nel sistema parente. Rozzamente, il sistema parente
si incurva, a mo' di vermiciattolo, sull'informazione fornita dai membri
estrusi, verso un obiettivo sempre sfuggente e irraggiungibile di circuitismo
totale, perfetto e conscio. Ciò che il profeta vede nella sua
visione ha significato secondario:l'importante è come lo vede.
Egli non è soltanto un esploratore che esplora un territorio
sconosciuto, egli è il territorio - non è lo sperimentatore,
ma l'esperimento. Ciò che innova è la propria struttura
interna. La maggior parte di queste innovazioni, come la maggioranza
delle mutazioni, risulta inutile e grottesca: il profeta torna dalla
landa selvaggia con sette dita per ogni piede ed un anello al naso,
proclamando che la vita è una cateratta. Egli viene schernito
e messo da parte, in quanto i profeti sono altamente sostituibili. Ma,
qualche volta, il profeta sviluppa realmente un circuitismo interno
tale da conferire prestigio al circuito parente, qualora venisse ad
esso reintegrato. A questo punto sorge un problema: come può
un sistema assorbire una modifica esterna che giunge in essere attraverso
una procedura già precedentemente basata sull'incapacità
del sistema a tollerarla? È un po' come quei genitori socialmente
ambiziosi che mandano il figlio ad una scuola di élite, affinchè
sviluppi uno stile di vita non corrotto dalle loro asprezze. Essi desiderano
che il figlio diventi « migliore » di loro ma, quando questi
ritorna, restano costernati e dicono, « Chi sei? Non sono in grado
di pormi in relazione con te. Come puoi tu umiliare i tuoi genitori
che ti hanno dato tutto? » Genitore e figlio saranno in grado
di mantenere uno stretto legame soltanto nei limiti in cui la tentata
metamorfosi del figlio non ha ottenuto successo. Nel caso dell'arrampicatore
sociale, il problema può, entro certi limiti, essere trattato
attraverso la compartimentalizzazione: il figlio può conservare
due identità, una per i genitori e una per il resto del mondo.
Finché i due mondi non entrano in contatto, a ciascuno verranno
risparmiati imbarazzo e conflitto. Però, in tal caso, i genitori
non saranno in grado di compartecipare la vita del figlio, per cui il
loro sistema non verrà influenzato. Oppure, immaginiamoci che
l'organismo, per sopravvivere, abbia bisogno di alterare la composizione
del flusso sanguigno. Dacché non è possibile che lo faccia
nel contesto della propria programmazione, esso estrude una piccola
quantità di sangue che, liberata dalle costrizioni dell'organismo
nel suo complesso, si da da fare, con l'aiuto di influenze esterne,
per acquisire il cambiamento auspicato. Nel momento in cui il sangue
viene reintrodotto, però, l'intero organismo si mobilita per
distruggere totalmente l'intruso. A livello culturale, questo dilemma
è risolto da un meccanismo interessante. Mentre il circuito estruso
viene attaccato e spesso distrutto, il suo messaggio - cioè la
forma del suo circuitismo evolutasi di bel nuovo - viene assorbito e
incorporato. In questo modo, il sistema parente è in grado di
conservare inalterato il proprio apparato di conservazione del confine
e di schermaggio sensoriale, pur alterando il suo circuitismo interno.
Ecco perché il primo passo verso l'accettazione di un'idea totalmente
estranea è di attaccarla, di evidenziare tutti i motivi del perché
è sbagliata, illogica e inadeguata ovvero, in conflitto
col circuitismo esistente. Se l'attacco è del tutto intelligente,
nel senso che si dimostra accuratamente come l'idea sia inderivabile
da premesse accettate, l'idea stessa diventa, in effetti, parte della
cultura, quantunque parte non assorbita. Tutto ciò che resta
è di semplificare il circuitismo culturale modificando le sue
premesse cioè, sviluppando una sintesi più alta
che abbracci la nuova idea (questa viene generalmente definita co-optazione).
Il circuitismo dell'idea stessa è stato previamente introdotto,
sebbene un segno meno venga assegnato ad ogni nodo di connessione col
vecchio circuitismo. Ecco perché l'approccio alla propaganda
del tipo « squadra della verità » è così
auto-fallimentare. Attaccare efficacemente un'idea significa comprenderla
e interiorizzaria. Un attacco irrilevante e stupido è efficace
purché possa essere sostenuto; però esso è vulnerabile
al contrattacco, per cui provoca l'attaccante ed un ancora più
efficace follow-up. L'unico modo per resistere ad un'idea estranea è
di ignorarla. Weston La Barre avanza l'ipotesi che gli psicotici siano
potenziali eroi di una cultura cui non ha arriso il successo nel comunicare
con i loro pari. Tuttavia, anche una comunicazione che ottenga successo
non è garanzia contro l'incarcerazione o la distruzione. Il profeta
è soltanto lo strumento di un più vasto sistema e ciò
che accade al suo essere personale non riveste alcuna importanza. Successo
e fallimento sono termini che hanno soltanto significato in rapporto
al messaggio che egli reca. Egli può sopravvivere all'attacco
infertogli e ricevere gli onori del suo tempo, se non del suo paese.
Comunque, ciò che viene onorato (come ciò che viene attaccato)
è il suo status di latore del messaggio, non la sua personalità.
La personalità manifesta del profeta, anche in assenza di specialisti
in pubbliche relazioni, è un costrutto artificiale una
creazione congiunta di coloro che ricevono il messaggio in collaborazione
col profeta stesso nel compimento del suo ruolo. Ecco perché
tutte le figure pubbliche e i personaggi famosi sembrano tanto uguali.
Di più, quella mezza dozzina di tipi di carattere disponibili
per l'adozione da parte dei famosi, è, per quanto stereotipata,
assai efficace nel suo impatto sulla persona interiore, se rafforzata
attraverso la costante interazione con altri. È estremamente
difficile proteggere la persona interiore, privata dal completo assorbimento
da parte della personalità pubblica stereotipata. Chi ci riesce
è capace di farlo soltanto evitando rigorosamente l'interazione
con gli sconosciuti - cioè, con coloro che li conoscono soltanto
come profeti. Egli deve, invece, circondarsi di persone che «lo
hanno conosciuto quando», cioè come persona più
che come latore di messaggio. Però, anche questo è diffìcile,
perché è probabile che si trovi a svolgere il ruolo di
profeta schivo, modesto e nondimeno umile anche nell'intimità
della sua casa. E mentre amici e parenti possono essere in grado di
rafforzare la persona privata comportandosi come se quella pubblica
non esistesse, ciò esigerà che il profeta, in primo luogo,
rinunci a quei bisogni di rispetto e di stima che l'hanno portato ad
accettare l'investitura nel ruolo. La maggioranza dei profeti è
composta di sconosciuti che cercano in terra straniera, o che ritornano
con una personalità visibilmente trasformata, per ottenere quel
rispetto precedentemente negato loro dalla comunità. Questo loro
bisogno di rispetto non li rende soltanto vulnerabili all'investitura,
ma anche suscettibili alla convinzione che il nuovo circuitismo da lorosviluppato
in stato di estrusione sia un atto conscio e volontario di creazione
personale. Questa illusione individualistica è determinata, in
parte, dalle circostanze che circondano l'estrusione del profeta e,
in parte, da quelle che si associano al suo ritorno. Il profeta ritorna
sempre come uno sconosciuto. Spesso, il suo ritorno è indiretto,
nel senso che raggiunge un altro paese. Se il suo messaggio viene colà
accettato, successivamente arriverà, per diffusione o conquista,
anche al circuito da cui era stato estruso. « II profeta riceve
onori, fuorché nel proprio paese... » II che significa
che il circuito parente è spesso l'ultimo a sapere che i propri
sforzi per trascendere sè stesso hanno avuto successo. Nel caso
il profeta ritomi direttamente al sistema parente, egli deve essere
notevolmente cambiato. Altrimenti i suoi precedenti associati lo riconoscerebbero
e si porrebbero in relazione con lui nella vecchia maniera («
È sempre quel vecchio sciocco di Enrico »). Come latore
di messaggio, il suo primo compito è di convincere tutti che
gli è accaduto qualche cosa di significativo che non è
più quello di prima. Diventa quindi facile capire quanto il profeta
se la passi brutta se conserva un qualsiasi senso di integrità
e continuità personali, al di là del suo ruolo di latore
di messaggio. La sua esistenza come persona è così fragile,
così dipendente dalla risposta di coloro che lo circondano, da
essere seriamente tentato di confortarsi nell'illusione di essersi fatto
da solo. La maggior parte del narcisismo del profeta deriva però
anche dalle condizioni che circondano la sua estrusione. Se il segmento
estruso ha da essere in una posizione tale da sviluppare un nuovo circuitismo
deve, in qualche modo, venire tagliato fuori dal sistema parente e gli
si deve assegnare un certo livello di autonomia e di indipendenza. Ciò
viene facilitato, in primo luogo, se il profeta è scarsamente
connesso, come generalmente avviene. Ci si attende che il profeta, nel
momento dell'estrusione, ritiri il suo investimento emotivo da tutti
i suoi rapporti per investirlo, invece, nella mappa di quel circuitismo
che porta dentro di sé. I Gestaltisti alludono a questo processo
come al « riassorbimento delle proprie proiezioni». Una
volta, Freud disse che l'ego individuale era meramente un precipitato
di rapporti trascorsi: i Gestaltisti dimostrano il contrario: che i
rapporti di un individuo costituiscono meramente un palcoscenico in
cui vengono recitati i suoi conflitti interni. Il circuitismo parente,
quando estrude un profeta, adotta il punto di vista Gestalt. Ci si attende
che il profeta dissolva quante più complementarietà possibili
e riscopra tutta questa varietà all'interno. Questa non è
bizzarria, in quanto la potenzialità di tutti i tratti umani
risiede nell'interno di ciascuno. Una volta superata la propria repulsione,
ogni essere umano conosce tutti i ruoli esistenti in ogni dramma umano
e può svolgerli. A questo riguardo, i gestaltisti sono assolutamente
corretti. Il profeta, allora, è costretto a cessare e a desistere
dal consentire ad altri di interpretare aspetti del suo sé. Deve
sviluppare autonomia, totipotenzialità, auto-sufficienza - e,
entro certi limiti, lo farà inevitabilmente, unicamente in virtù
della sua estrusione. Ciò determina una forte probabilità
di sviluppo di nuovi schemi proprio come una colonia, che debba
sopravvivere per conto proprio, senza aiuto della madrepatria, ha la
possibilità di evolvere una cultura piuttosto differente. Un
risultato poco propizio di tutto ciò è che il profeta
arriva ad immaginare che la propria estrusione sia stata un'azione autonoma
e che il nuovo circuitismo, sviluppato durante il suo isolamento (esilio,
veglia, esperienza massima, o qualsiasi altra cosa) sia stata un'acquisizione
personale, invece di un risultato quasi inevitabile della situazione
in cui si trovava. Questo è un rischio naturale del processo.
Dopo tutto, il profeta è un emarginato. I più sono dei
falliti. In una simile condizione miserabile è necessario accaparrarsi
tutti gli agi a disposizione, e questo è inevitabilmente narcisistico
e illusorio. Tutto ciò fu abbastanza innocuo finché ogni
segmento estruso rimase in isolamento temporale e spaziale. Un grave
problema, invece, è emerso, quando gli umani cominciarono a registrare
la loro storia, consentendo, così, l'affioramento di una cultura
di profeti. Essa non soltanto insegnò ai futuri segmenti estrusi
come comportarsi (caratteristica utile, tutto sommato), ma rese altresì
loro disponibile la fantasia confortante di non essere rifiuti sostituibili,
ma eroi selezionati. Una volta ampiamente diffusa la visione del profeta,
ciò che originariamente fu un analgesico, diventò un sistema
di vita e la gente cominciò, in concreto, a ricercare quel ruolo
già evitato. Quello che adesso ci circonda è un sistema
sociale in cui viene assegnata proprietà massima alla manifattura
delle mutazioni. Essenzialmente questo è ciò che, ovunque,
costituisce la concezione di individualismo - elevazione, cioè,
di un'istanza periferica a posizione di centralità. Nei due secoli
scorsi, la cultura occidentale si è mossa rapidamente verso un
sistema in cui ogni singolo individuo venisse socializzato per essere
un rifiuto eroico - un profeta-mutazione per un sistema nucleo che,
a motivo di ciò avrebbe dovuto, conseguentemente, cessare di
esistere. Come per il meccanismo del volere, trattato nell'ultimo capitolo,
questo chiunque-è-schema di mutazione costituisce una funzione
d'emergenza che scorrazza in lungo e in largo, preso da pazzia sanguinaria.
Una cosa è che un sistema, di tanto in tanto, butti via qualche
fondo di magazzino come barriera contro l'inaspettato riconoscimento,
questo, che il circuitismo che si è evoluto, pur vitale ed elegante,
è limitato e vulnerabile a condizioni che si trasformano. È
del tutto differente, invece, che un sistema tratti l'inaspettato come
un luogo comune inevitabile e getti via, frammento dopo frammento, il
suo intero circuitismo. Questa è una malattia auto-perpetuantesi,
dacché il sistema che continuamente si frammenta e si espande
può scarsamente pretendere un nucleo sfruttabile. Quanti più
rifiuti estrude, di tanti più profeti può, a buon diritto,
pretendere di avere bisogno, fino a quando raggiunge la totale dissoluzione.
L'eroificazione del ruolo del rifiuto ha raggiunto, nella nostra società,
un punto molto simile a questo. Non è più unicamente il
deviante ad essere socializzato al disprezzo della propria connessione
con gli altri. Anche i pilastri ordinari della comunità vengono
addestrati a pensare a sé in tutti i sensi concepibili di tale
frase. Se si trattasse soltanto di essere afflitti da migliaia di artisti,
di cui ciascuno si ritenesse fondatore, pur essendo di terz'ordine e
di varia specie, di una dinastia nuova e creativa, potremmo sopravvivere
all'influsso. Invece, la disseminazione del principio di mutazione eroica
ha contribuito anche a darci quel tipo di scienziati e di medici che
ci troviamo. Gli Americani vengono addestrati fin dall'infanzia alla
mutabilità. Si insegna loro ad ignorare la connessione con altri
e ad immaginare che qualsiasi successo o fallimento sperimenteranno
nella vita è funzione della loro capacità dissociata di
esercitare il potere. Viene loro insegnato a distruggere la continuità,
ad adattarsi meccanicamente e servilmente al cambiamento e a considerare
i rapporti come se non avessero un significato diverso dall'acquisizione
di obiettivi strumentali. Ciò ha
portato a determinati vantaggi: non è mai esistito un popolo
o una specie meglio attrezzata a sopravvivere e ad adattarsi a qualsiasi
cambiamento cataclismatico dell'ambiente. D'altro canto, c'è
una certa futilità a vivere la propria vita intera attorno alla
previsione di un disastro. Si è tentati di produrlo, non foss'altro
per dare significato alla cosa. Inoltre, la disponibilità al
cambiamento tende a creare un cambiamento e la nostra preparazione ci
ha portati alla condizione in cui, come popolo, ci troviamo ad essere
in grave tensione cronica da perpetua novità, come bene ha dimostrato
Toffler. Però, la nostra capacità a gestire tale angoscia
è insidiata dalla nostra stessa ideologia, che ci dice come il
cambiamento sia una necessità e un bene. Un politico che si alzasse
per dimostrare che il cambiamento di ogni tipo (in avanti o indietro)
risulta, in genere, pernicioso, riceverebbe, quanto a reputazione nella
nostra società, un posto in graduatoria di poco inferiore a quello
di Adolf Hitler. Infine, dacché questi cambiamenti si verificano
ad una velocità tale per cui un processo non è ancora
terminato che già ne inizia un altro, l'esperienza di equilibratura
e di integrazione risulta essere virtualmente ignota. La proliferazione
della disarmonia si auto-genera. In conseguenza della loro socializzazione,
gli Americani, come gruppo, sono intossicati dall'immagine romantica
del solitario eroe rifiutato che forgia il proprio (è un'immagine
prevalentemente maschile) destino e cambia il circuito parente mediante
i suoi sforzi caratteristici. I bambini vengono precocemente indottrinati
con quest'idea per mezzo di favole in cui il giovane respinto trionfa
sul gruppo che lo rifiuta; i successivi anni dell'infanzia sono zeppi
di biografie, reali o fantastiche, di adulti solitari e beffeggiati
che conquistano la preminenza attraverso realizzazioni creative. Ognuna
di queste storie indottrina il bambino con il concetto che questi «successi»
sono da attribuirsi esclusivamente all'arte individuale e malgrado il
gruppo in cui l'individuo è inserito. Il fatto che, in realtà,
l'individuo non possa acquisire nulla senza un contesto sociale, viene
perso di vista in mezzo alla gloria del trionfo egoistico. La fantasia
del distacco egoistico porta molte persone a confondere la vita di relazione
organica con gli altri con l'essere imprigionati in qualche genere di
sistema autoritario. Se si parte dall'illusione dell'autonomia, tutte
le forme di connessione appaiono uguali ed ugualmente oppressive. Per
due secoli, la cultura occidentale si è impegnata nel trasferimento
graduale, istituzione dopo istituzione e con molte ricadute, da modi
d'organizzazione autoritari ad altri « democratici ». Questo
trasferimento è risultato per così tanto tempo un'immagine
pervadente delle menti occidentali, da essere per noi assai difficile
concepire il cambiamento sociale in maniera non colorata da tale processo.
Eppure, esso è soltanto un breve episodio della storia della
cultura umana e come tale, deve essere collocato nel suo contesto. L'implicazione
secondo cui l'autoritarismo è una forma di organizzazione sociale
antica o primeva è assolutamente falsa. L'autoritarismo, come
forma sociale, non è nemmeno riuscito a completare il suo processo
di diffusione per tutto il mondo, anche se è già in via
di essere soppiantato nelle parti più urbanizzate della società
occidentale. I popoli occidentali, soprattutto gli americani, sono stati
per così tanto tempo presi dal dramma della democratizzazione
da essere portati a considerare l'intero passato come una lunga era
omogenea di autoritarismo. Toffler, ad esempio, parla della vita nelle
comunità semplici come di un qualche cosa di «strettamente
irreggimentato» e restrittivo. Questo «incarceramento del
passato», che sembra così tanto costernarlo, non è,
però, caratteristico della comunità semplice, ma delle
forme autoritarie che la sopraffecero, l'assorbirono e la sostituirono.
La gran massa della storia umana è legata alla crescente impotenza
individuale della società, piuttosto che a quella decrescente.
Ciò non vuol dire che la spinta più recente della democratizzazione
(per quanto confusa e ambivalente) costituisca in ogni modo un ritorno
alla forma antica. Sia la democrazia di massa, sia la comunità
semplice hanno maggiore rassomiglianza con l'autoritarismo di quanta
ne abbiano l'una con l'altra. La forma sociale organica della comunità
semplice apre la porta all'autoritarismo con l'accrescimento in dimensione
e complessità. La comunità semplice, in sé, non
è centralizzata e la comunicazione è intensa e uniformemente
distribuita. (Dopotutto, i leaders sono necessari soltano quando un
gruppo è troppo ampio o troppo nuovo per funzionare organicamente).
Al profano, la gran parte del comportamento collettivo della comunità
appare spontanea, non programmata, quasi organismica - come se la comunicazione
fosse extrasensoriale. In effetti, è semplicemente automatica
le cose vengono « intese », per cui i bisogni collettivi
sono sperimentati con la stessa intensità con cui sperimentiamo
quelli personali. Tuttavia, la delicata armonizzazione di questa comunità
non può affatto sopravvivere alla fusione con una tribù
estranea. Le guerre di piccole tribù comportano, in genere, grandi
zuffe, pochissime uccisioni e scarsi cambiamenti territoriali. Ma, quando
con gli smembramenti e i movimenti su larga scala delle persone, i gruppi
si dedicano alla conquista
e all'assorbimento di altri gruppi, si comincia a trovare (a) centralizzazione
di potere e di comunicazione e (b) gerarchia. Il che vuoi dire, giungono
in essere un capo o un rè, nobili e cittadini. William Stephens
tratta questo trapasso in un'analisi culturale incrociata di schemi
familiari, trovando la forma più autoritaria ad un livello intermedio
di raffinatezza culturale, con gli schemi «democratici»
ad entrambi gli estremi. Chiama regno la forma autoritaria, definita
come avente un organo centralizzato di controllo politico con potere
coercitivo armato, un singolo dominatore ereditario, almeno due classi
sociali e sfruttamento economico. Per contrasto, la tribù (equivalente
alla comunità semplice) non ha potere centralizzato, niente capi
e nobili, nessuna città, nessuna civiltà. Stephen avanza
l'ipotesi che la formula autoritaria sia stata inventata per porre in
grado i gruppi conquistatori di mantenere il controllo di un popolo
soggiogato e del suo territorio. Egli ha trovato che la deferenza del
figlio verso il padre e della moglie verso il marito è bassa
nella tribù, alta nei regni e nuovamente bassa quando il regno
si trasforma in stato democratico, per cui è portato ad arguire
che queste forme di famiglia autoritaria sono semplicemente un sottoprodotto
dello statoautoritario. L'autoritarismo, comunque, è una forma
sociale goffa e rigida. Nei periodi di grande cambiamento tende o ad
ossificarsi e sgretolarsi, o a dissolversi in forme democratiche di
maggiore flessibilità. In nessun modo, questo è un ritorno
alla semplicità o ad una maggiore organicità. Al contrario,
la democratizzazione, di solito, spinge più lontano il processo
di disconnessione iniziato dall'autoritarismo - cioè, la conversione
di unità organiche in masse di atomi sconnessi. In effetti, questi
tre stadi costituiscono un'illustrazione della dinamica del profeta
l'idea che si verifichi un cambiamento nei sistemi viventi con
l'estrusione di particelle che vengono reingerite una volta sviluppato
un nuovo circuitismo. Il movimento dalla comunità semplice alla
democrazia di massa non è né una linea retta, né
una pura oscillazione. È un movimento pulsante in cui il cambiamento
viene causato da una concentrazione iniziale e da un diffusione successiva.
Microorganismi relativamente innocui, isolati in un laboratorio bellico
di biologia, possono essere trasformati in deformazioni virulente che,
una volta reinserite negli orgnismi umani, si diffonderanno rapidamente
per distruggerli. In questo caso, il microorganismo - in origine comodo
parassita - è il profeta, il laboratorio è il deserto,
il messaggio la morte. Nel caso del trapasso da semplice comunità
a democrazia di massa, il profeta è il capo o il rè, il
deserto è l'autoritarismo e i messaggi sono la linearità,
l'individuazione e l'inibizione. La comunità semplice non è
tenuta insieme da princìpi. Ciò non vuol dire che non
esistano categorie: le categorie di consanguineità, probabilmente,
hanno grande importanza, anche tenendo conto del pregiudizio implicito
degli etnografi occidentali addestrati a presumere che tutte le persone
abbiano relazioni reciproche espresse in termini di categorie d'appartenenza.
Però, le categorie di consanguineità sono limitate e statiche
e non portano molto lontano in direzione di una generalizzazione più
astratta. Pur tendendo, entro certi limiti, ad un'organicità
schietta, esse elevano anche una barriera contro l'emergere di altri
tipi di ordine meccanico. In ogni caso, l'individuo conserva una posizione
fissa nella comunità che, lungo il corso della vita, si modifica
soltanto gradualmente e in modo del tutto prevedibile. Egli viene definito
dai suoi rapporti; se tentassimo di esaminarlo isolatamente, tabulando
gli attributi individuali su schede IBM, ben poche cose impareremmo
di lui, atte a predirci il suo comportamento. Egli è parte di
un qualche cosa in grado assai maggiore di un occidentale, per il quale
un tentativo del genere ci direbbe un mucchio di cose. Con la centralizzazione
del potere, tutto ciò comincia a cambiare. Inizialmente, il potere
è fisso ed ereditario ma, quanto più potere il rè
o il capo detiene, tanto più dinamica tende a diventare la variabile
potere. Inizialmente concepiti come rappresentazioni delle potenti forze
ambientali, i rè vengono circondati da costrizioni e restrizioni.
Ma, coll'andar del tempo, in virtù del potere in loro concentrato,
le loro preferenze individuali, i loro capricci e i loro bisogni indeboliscono
ed erodono le limitazioni fisse ed ereditarie. Come dice Enrico V, «
Corretti costumi cortesia per grandi rè. » II modernismo
comincia col dispostismo. I rè, quindi, sono i primi individualisti.
Col crescere del loro potere, vengono incoraggiati a sviluppare atteggiamenti
narcisistici non interdipendenti. Sono i profeti dell'individualismo.
Il popolo, disancorato dai suoi ormeggi sociali e mandato alla deriva
dalla collisione di culture estranee e dall'accresciuta dimensione e
complessità, stipula un contratto tacito con il dominatore: egli
creerà l'ordine, loro gli accorderanno deferenza; egli gratificherà
i loro bisogni, loro gratificheranno il suo narcisismo. Nella comunità
semplice, entrambi questi bisogni sono gratificati pressoché
automaticamente: ognuno occupa un proprio posto, è inserito in
rapporti nutritivi, percepisce ordine e significato ed è relativamente
poco conscio di sé. Esiste interdipendenza, per cui alla dipendenza
viene altamente posta la sordina. Il narcisismo è quasi irrilevante,
dacché nessuno considera sé stesso entità isolata,
ma soltanto parte di un tutto. L'autoritarismo, invece, restituisce
allo sradicato un fac-simile di globalità e di appartenenza.
A questo punto, i bisogni di dipendenza sono gratificati, mentre quelli
narcisistici permangono irrilevanti. Tuttavia, questo è meno
valido per il rè, proprio perché reso consapevole del
suo isolamento e della sua unicità, deve essere adulato e vezzeggiato
come compenso per il suo isolamento. Questo è un processo graduale.
La corte del dominatore è un laboratorio o un deserto in cui
l'individualismo può metterci dei secoli per evolversi. Ma, non
appena ci riesce, viene subito impostato lo stadio per lo sviluppo successivo:
la diffusione, cioè, dell'individualismo alle masse.
Questo è il processo che chiamiamo democratizzazione. Spesso
è accompagnato da un attacco al profeta (il rè), secondo
un meccanismo precedentemente descritto. Il rè viene detronizzato
e il suo narcisismo viene divorato ed assorbito da tutto il popolo.
La felice indifferenza di Nicola ed Alessandra diventa l'insensibilità
interiore dell'intera classe media. Questo è il processo che
il mito freudiano dell'orda primitiva ha cercato di ritrarre. Quanto
alla linearità, il processo è lo stesso. Il rè,
isolato nel laboratorio del potere centralizzato, impara a perseguire
una concezione in una maniera « logica » senza confini -
ad ignorare il feedback. Durante la fase di democratizzazione o di diffusione,
anche questo aspetto viene interiorizzato dalle masse. La cultura tecnologica
altro non è che
l'interiorizzazione, da parte della massa, della tirannia. I rapporti
all'interno di una simile società racchiudono la stessa forma
competitiva e caotica che, in precedenza, caratterizzava le relazioni
fra regni in guerra. Infine, l'autoritarismo è il primo passo
nello sviluppo dell'inibizione interiorizzata dell'impulso e del sentimento
- cioè della capacità di posporre la gratificazione a
favore di obiettivi narcisistici. Stephens osserva come siano stati
i regni a segregare più decisamente i ruoli di sesso e avanza
l'ipotesi che, in genere, questi siano sempre maggiormente inibiti e
repressi che nelle tribù. Egli cita la trattazione di Rettray
Taylor sulla sindrome « patrista »: restrizioni sessuali,
scredito delle donne, autoritarismo politico, paura della spontaneità
e del piacere, e così via. Altri studi
confermano quest'associazione fra autoritarismo, patriarchia e repressione
sessuale, nel confronto fra comunità semplici e regni, anche
se non risulta affatto chiaro che le repressioni sessuali diminuiscano
in risposta alla democratizzazione. In ogni caso, l'inibizione che si
verifica nei regni è esterna e coercitiva. Il rè può
essere costretto dalla sua responsabilità e posizione a diventare
uno specialista in inibizione e in posposizione della gratificazione
(un « cattivo » dominatore è colui che viene troppo
clamorosamente meno a questo bisogna di solito, è sostituito,
almeno de facto, da qualcuno che sia all'altezza di porla in atto -
un primo ministro o un usurpatore). Tuttavia, non ci si attende che
il singolo cittadino reprima i propri impulsi in assenza di pressione
esterna. Per due secoli, o giù di lì, siamo restati nella
seconda fase di questo processo, in cui la massa attacca il profeta
e ne divora il messaggio. La massa, cioè, si libera della forza
e inibisce sé stessa. L'intera popolazione comincia a manifestare
un'etica di controllo, di acquisizione e di inibizione. Max Weber ci
descrive come, durante la Riforma, quel tipo di ascetismo originariamente
limitato agli specialisti monastici (altro gruppo di profeti) si fosse
successivamente diffuso nella popolazione. La diffusione della motivazione
all'acquisizione sembra aver assunto la stessa forma. Questo processo
può anche essere scorto nella diffusione della serietà
e dell'ampollosità. Re e regine erano soliti fare, a tempo perso,
giochi infantili. Durante il diciannovesimo secolo ciò è
scomparso del tutto.
Adesso, come risultato delle Little Leagues, dei balocchi educativi
e di altre forme di invasione adulta nel mondo dei bambini, questi ultimi
possono a malappena giocare. Mi ha spesso colpito la relativa incapacità
degli studenti di college (in confronto ai loro predecessori) di rispondere
all'invito di impegnarsi in giochi simulanti o ritualizzati di ogni
tipo. Prima di abbandonare l'argomento dell'autoritarismo, è
necessario chiarire due punti di questa dinamica. Prima di tutto, desidero
sottolineare il fatto che tutti e tre questi orientamenti individualismo,
linearità e inibizione sono solo parzialmente presenti
nell'autoritarismo. La caratteristica più importante di quest'ultimo
è il suo compartimentalismo. Nella corte ci si comporta in un
certo modo, in un altro modo nei villaggi. Questa è un'altra
maniera per dire che, in un sistema autoritario stabile, la comunità
semplice resta ampiamente integra, intorno ai margini della società.
Le generalizzazioni riguardanti le forme sociali dei regni tendono a
centrarsi sulla corte e sulla classe nobile. Spesso, la cultura dei
cittadini resta essenzialmente immutata. Dal punto di vista delle masse,
la corte è realmente un segmento estruso di quelli che, di tanto
in tanto, possono venire disastrosamente in urto con gli individui,
pur non ripercuotendosi immediatemente sulla loro cultura. È
vero, una tassazione intollerabile, il passaggio di eserciti, o la coscrizione
estesa possono, alla fine, erodere o completamente obliterare l'organicità
del villaggio, portando alla distruzione dell'ordine stabilito, al vagabondaggio,
al banditismo e all'urbanizzazione, ma generalmente parlando, la scomparsa
della comunità semplice si verifica con la democratizzazione
- con la diffusione del messaggio del profeta-re. Il secondo punto riguarda
la nostra tendenza a confondere la connessione organica della comunità
semplice con la coercitività dell'autoritarismo. Abbiamo così
poca esperirenza di gruppi stabili e prolungati da aver la tendenza
ad immaginarci una qualsiasi intensificazione di rapporto come se comportasse
l'essere vincolati e manipolati. Ma c'è differenza fra l'essere
una foglia su di un albero ed una posta sulla scacchiera. In nessun
modo l'essere parte non autonoma di un tutto richiede assoggettamento
al volere conscio di un estraneo. L'autoritarismo sorge quando il tutto
non funziona più, spontaneamente e intuitivamente, come unità.
Despoti ed editti affiorano come sostituti, faute de mieux. In un gruppo
organico, non è necessaria alcuna volontà per cementare
il gruppo. Ma questo livello di armonizzazione collettiva richiede lunghi
periodi di una relazione che non venga in urto con forze esterne
è un equilibrio delicato che non potrebbe esistere nella nostra
società. Per questo abbiamo difficoltà a concepire una
qualsiasi collettività intensa non dominata da qualche forma
di volontà conscia sia essa un despota, sia un'oligarchia.
Ma la pecca maggiore di questa percezione è il suo considerare
unilateralmente la relazione. Gli Americani considerano la « libertà
» un'assenza di influenza e controllo; però essa è
anche perdita di influenza e controllo sugli altri. La condizione che
Toffler diffama come « irreggimentata » è semplicemente
quella in cui la gente è altamente e reciprocamente rispondente.
Si è, sì, soggetti alle richieste altrui (incubo americano),
ma si può anche contare sul fatto che gli altri soddisferanno
le nostre. L'individualismo è un involucro che ci distrae dai
rigori della reciprocità - dal fatto che in una società
in cui io sono incapace a commuovere te, anche tu sei impotente a commuovere
me. L'impotenza endemica della società moderna è determinata
dal semplice espediente del disconnetterci. Un motivo per cui gli Americani
sono così propensi a lasciarsi sedurre da questo involucro è
che tendono a riporre valore in sé stessi soltanto come attori,
non come persone che rispondono o che sentono. (Ho il sospetto che tutto
ciò sia meno vero per le donne, e in questo fatto ripongo qualche
speranza per il futuro.) Se dò soltanto importanza a ciò
che io e gli altri facciamo, e non a ciò che sentiamo, allora
i rapporti intimi possono apparire pericolosi, dacché daranno
l'impressione di essere impedimento alla mia azione, mentre il loro
potenziale di soddisfazione dei miei bisogni e desideri sarà
meno saliente nella mia coscienza.
Specializzazione e profeti domestici
Nella società, la divisione del lavoro si basa sull'originale
assunto secondo cui l'efficienza della parte è più importante
dell'efficienza del tutto. La storia della cultura umana ha posto un
vigoroso impegno su questo punto di vista, malgrado il considerevole
costo in piacere umano. Toffler, ad esempio, sollecita i vantaggi di
rapporti « modulari » o segmentati, ai quali ogni individuo
affida soltanto un frammento del proprio coinvolgimento personale. Egli
fa notare, del tutto correttamente, che «libertà»
e frammentazione vanno di pari passo e se la prende con le critiche
sociali moderne perché non lo ammettono. Dacché la libertà,
come la maternità e la torta di mele, sono un bene indiscusso
della società americana, egli ritiene di essersi sbarazzato del
problema. Ma coinvolgimento parziale significa parziale soddisfazione:
una persona che si trovi frammentariamente nel qui-e-ora, può
vivere soltanto in maniera inumana. Le attività compartecipate
su base indifferenziata (cioè, tutti fanno la stessa cosa insieme)
sono sì, più gradevoli, ma portano via più tempo
dei compiti parcellarizzati su base differenziale. Il tempo risparmiato
è significativo soltanto se l'attività è spiacevole,
ma, nei limiti in cui viene svolta collettivamente, di solito non lo
è. Inoltre, l'efficienza raggiunta da ogni persona che acquisisca
abilità al di lui, o al di lei, compito differenziato, viene
spesso dissipata attraverso la devastazione della noia e, in genere,
perduta in ogni caso attraverso i problemi di coordinamento dei compiti
differenziati. Nella nostra moderna raffinatezza si suppone
che sappiamo tutto ciò; che sappiamo, cioè, come la comunicazione
e la coordinazione siano di gran lunga più importanti della mera
esattezza meccanica di qualche parte funzionante. Si suppone anche che
sappiamo come la compartimentalizzazione distrugga l'integrità
della persona, la quale non può essere affatto oppressa in una
certa funzione limitata. Eppure, queste verità apparentemente
ovvie hanno avuto una ripercussione modestissima sulla progressiva «
modularizzazione » dell'organizzazione sociale d'Occidente. Perché
è andata così? Come mai la competenza in compiti parziali
è arrivata ad essere apprezzata più della coordinazione
ed integrazione del tutto? Il concetto secondo cui tutto ciò
che va al di là della breve scadenza e della stretta misura possa
essere acquisito in questo modo è una potente assurdità.
Dobbiamo, quindi, semplicemente presumere che l'umanità è
ebete? E che dire della natura stessa? Dobbiamo forse presumere che
le forze cieche che hanno prodotto piante e organismi animali sono anch'esse
fuorviate? Un assunto del genere - cioè, che la natura possa
sistematicamente e sostanzialmente sbagliare - getterebbe nel caos tutto
il sapere e, pur non essendo tutto ciò da escludere, sarebbe
sciocco abbracciare un tale assunto senza esaurire alternative meno
orrende. Una difficoltà ovvia è che stiamo utilizzando
l'integrazione come criterio basilare implicando, così, che un
organismo integrato è assolutamente più vitale di uno
che non lo è. Ma, all'inizio di questo capitolo, abbiamo visto
come l'integrazione abbia i propri problemi. La divisione del lavoro
è utile non perché porta all'integrazione (come alcuni
teorizzatori sociali hanno insinuato), ma esattamente perché
non lo fa. Le difficoltà di comunicazione che determina forniscono
un'occasione di cambiamento e movimento. Una metafora comune circa la
specializzazione della funzione è quella della macchina elegantemente
articolata in cui tutto funziona "come un orologio" , ma ciò
è fuorviante. Il valore della divisione del lavoro è di
introdurreun po'di caos nel sistema. Una parte che possieda una funzione
specializzata acquisisce un'autonomia di significato. Ciò viene
solitamente oscurato dal fatto che l'autonomia fisica viene, perciò,
perduta. L'autonomia fisica dipende dall'uniformità: se un organismo
composto di parti identiche si frantuma, le parti possono sopravvivere
perché auto-sufficienti ognuna contenendo un po' di tutto
ciò che era presente nel tutto. Se, invece, l'organismo è
composto di parti differenziate, queste, una volta staccate dal tutto,
periranno questo è ciò che si intende per interdipendenza.
In che senso, allora, una parte differenziata possiede autonomia? Io
l'ho chiamata autonomia di significato e, con ciò, intendo qualche
cosa di piuttosto semplice e ovvio. Se separate, due parti identiche
sono indipendenti l'una dall'altra, però sperimentano il mondo
(cioè, esso le viola) nello stesso modo. Due parti indifferenziate,
pur dipendendo l'una dall'altra per la sopravvivenza, hanno un'esperienza
del tutto differente del loro ambiente. La mano non percepisce il mondo
allo stesso modo dell'occhio. I recettori e le categorie dell'una non
sono disponibili all'altro. In genere il problema viene dissipato osservando
come mano e occhio possono esistere soltanto in congiunzione con la
totalità dell'organismo e che la loro informazione differenziata
viene coordinata ad un livello più alto. Ciò che si trascura
è che una simile coordinazione a più alto livello è
possibile soltanto procedendo ad un più alto livello d'astrazione.
Cioè a dire, il cervello dispone soltanto di quell'informazione
che è traducibile da un sistema all'altro. Il che significa che
l'occhio (o la mano) « sa » molte cose che il cervello non
può sapere perché il suo linguaggio è troppo astratto.
Il cervello, cioè, possiede un tipo di lingua franca internazionale
che sdegna di impegnarsi colle volgarità dei dialetti locali.
Ora, come abbiamo visto, un segmento identico può cambiare soltanto
se isolato dal tutto e collocato in un ambiente alterato.
Continua >>>>>>
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