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CAPITOLO 3 (seconda parte) / v. Capp. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 / Indice

D'altro canto, un segmento specializzato può cambiare senza separazione dal tutto. Il suo « linguaggio » internazionale crea intoppo, disordine, man- canza di piena articolazione col sistema totale, nonché possibilità di evoluzione indipendente all'interno del proprio sé. La qualità sempre più caotica del sistema determina crescente flessibilità. In queste condizioni, il sistema deve lavorare più sodo per conservare la propria integrità, e ciò assumerà la forma di tentativo di estensione della gamma del suo sistema di linguaggio astratto, o di restrizione del movimento indipendente dei sottosistemi. La nostra concettualizzazione della dinamica del profeta deve, pertanto, essere elaborata in tre forme differenti. La prima e la più semplice è stata già descritta. Un sistema omogeneo si separa da un segmento di sé indifferenziato; in un ambiente estraneo, il segmento sviluppa una nuova struttura e, se essa ha valore per il sistema parente, quest'ultimo reincorpora il segmento modificato e, perciò stesso, modifica la propria struttura. La seconda forma implica un sistema differenziato. In questo caso viene estruso un segmento specializzato, per cui non è necessario un ambiente estraneo, dacché il segmento è già differente dalla totalità. Tuttavia, per sopravvivere, il segmento specializzato deve completarsi , deve sviluppare modi per far fronte a bisogni cui già facevano fronte altri segmenti specializzati. Se riuscirà a diventare un tutto, esso assomiglierà soltanto in parte al sistema parente, dacché l'articolazione dei vari segmenti differirà, di necessità, in accordo con le circostanze particolari della sua storia, della sua specializzazione originaria, della natura del suo linguaggio privato, delle condizioni della sua auto-generalizzazione. La terza forma è la divisione stessa del lavoro, anche quando estrusione e reincorporazione non si verificano. Ogni segmento di un sistema differenziato è, in effetti, un profeta, ma il deserto è all'interno: un prodotto, cioè, della sua diversità di linguaggio. Nella divisione del lavoro, ogni segmento si trova ritto con la testa nel vuoto e i piedi saldamente piantati nel sistema parente. Quest'ultimo, occasionalmente, permette di essere penetrato da quel tipo di meta-informazione che revisionerebbe il suo circuitismo, ma ciò è raro. Parlando del tutto in via generale, il cambiamento viene fatto procedere nel sistema parente attraverso i suoi sforzi per mantenere l'integrità a fronte del caos generato dall'evoluzione dei suoi componenti specializzati. La divisione del lavoro, quindi, è un tipo di formazione di compromesso in cui tutti sono profeti che però vengono tenuti a casa. Nel sistema indifferenziato, la flessibilità adattiva viene sacrificata all'integrità. Cioè a dire, l'adattamento è reso problematico, mentre l'integrità è data per scontata. Con la divisione del lavoro si ottiene il contrario: l'adattamento è dato per scontato e l'integrità diventa problematica. Sarebbe bello dire che quello che sperimentiamo oggi è puramente uno stato in cui la divisione del lavoro è diventata altamente elaborata a spese dell'integrità, per cui comincia a correggersi. Ma il problema è più complicato. Nel nostro sistema, ognuno è profeta, ma i profeti non vengono tenuti a casa. Ciò vuol dire che non è soltanto la funzione del profeta ad essere stata generalizzata, ma anche la sua mentalità. La divisione del lavoro minimizza l'autonomia fisica dei profeti, mentre ne massimizza il numero. Nel nostro sistema, il numero, l'autonomia fisica e l'autonomia di significato sono tutti massimizzati. È come se, nella fase di diffusione e di democratizzazione della dinamica del profeta, non venisse incorporato soltanto il messaggio, ma il processo stesso. Ciò che si cerca non è il nuovo circuitismo sviluppato da ogni profeta, ma il suo status particolare.

La rivoluzione patriarcale

Questo stato di cose deve molto a quella che si potrebbe chiamare rivoluzione patriarcale: all'affioramento di un complesso sistema culturale che esercita il potere di controllo su di una società, dall'attività quotidiana della quale le donne sono ampiamente escluse. C'è chi dimostra in concreto come l'attuale sistema (decadente) di dominanza maschile sulle donne sia « naturale ». Dacché esso non è certamente universale fra gli individui, nè fra le società umane, nè fra le altre specie, una simile affermazione è molto ridicola. In natura si possono trovare esempi di quasi tutto, per cui chiunque tenti di sostenere la propria posizione facendo notare il modo in cui i babbuini trattano i rapporti fra i sessi, deve essere pronto ad ascoltare la trattazione sulla mantide religiosa e sulla vedova nera, o, come minimo, sul meno sessista gibbone. Il fatto si è che non esiste relazione naturale. Attraverso coppie individuali, società e specie, è possibile trovare una grande varietà di adattamenti, ognuno dei quali ha benefici e costi, e ognuno dei quali può comodamente inserirsi in un più ampio schema di funzioni. Se parlo di rivoluzione patriarcale, pertanto, ciò non intende implicare che la patriarchia, come l'ho definita, sia « innaturale » — ma soltanto che, nella storia della specie, è un fenomeno abbastanza recente. Desidero, altresì, evitare ogni insinuazione secondo cui la condizione che ha preceduto questa rivoluzione sia stata una qualche sorta di matriarchia. Tutte le forme sociali diventano fragili quando diventano estreme, e tutte le patriarchie esagerate sono state afflitte dal terrore penetrante del potere femminile. Attraverso questa ottica, la relativa eguaglianza sessuale di una tribù vicina o conquistata tende ad assumere ipertoni sinistri. La supposizione più dotta che possiamo fare è che la tipica condizione primordiale fosse di rozza eguaglianza. Anche se oggi alcune tribù estremamente «primitive» escludono le donne da gran parte della vita rituale, le reali discrepanze di potere esigono sempre un livello di sussistenza piuttosto elevato. Infine, il termine « rivoluzione » è un po' fuorviante, in quanto comporta un rapido trapasso di un certo tipo. Nel nostro caso, invece, il trapasso è stato estremamente graduale, verificandosi esso lungo un arco di parecchi secoli. La patriarchia, che appare in tutto il mondo sotto svariate forme, è stata un'invenzione culturale di una certa importanza, con ovvi benefici e ancor più ovvi inconvenienti. La concessione del potere ad un gruppo di specialisti significa elevazione di alcuni tratti necessari ed atrofizzazione di altri. Lo sviluppo di un elevato grado di specializzazione richiede un certo quantitativo di tempo libero. H.R. Hays fa notare come, nelle società molto semplici, le donne abbiano grande energia creativa e che, non appena una società giunge al punto in cui una data funzione, quale l'arte della ceramica, può essere consegnata a specialisti, essa viene trasferita agli uomini. Gli uomini hanno portato via alle donne un campo dietro l'altro, non appena appariva loro chiaro che status e prestigio potevano derivare da un'attività specializzata superiore. Ciò lo possiamo vedere anche nella nostra società, in cui gli uomini sono diventati capi cuoco e ostetrici. Pur senza i tempo, l'energia e la fame di gloria per farne una specialità a tempo pieno, è del tutto possibile che i cuochi migliori e i migliori ceramisti della storia siano proprio state quelle stesse donne, morte sconosciute e non riconosciute al di fuori della cerchia domestica e del vicinato. È altresì del tutto possibile che nessuna di esse avesse bisogno di un qualsiasi riconoscimento da parte delle persone con cui non aveva personale collegamento, pur sentendosi molto svantaggiata e oppressa nel suo ruolo di donna. Parlando in generale, sono stati gli uomini ad essersi sentiti spinti a farsi strada in ogni genere di abilità relativa ad un'occupazione specializzata da cui potessero trarre gloria.
La rivoluzione patriarcale non fu la « causa » della specializzazione, ma ne fu un sottoprodotto. Nella conservazione della specie, gli uomini svolgono un ruolo meno essenziale delle donne, per cui tale perifericità costituisce un grande vantaggio nell'evoluzione sociale. Come è stato suggerito altrove, è il disimpegnato che si trova nella condizione migliore per trarre vantaggio dalle situazioni in via di trasformazione o dalle innovazioni culturali. Essendo meno legato alle funzioni essenziali di mantenimento, gli uomini di alcune società primitive ebbero tempo e impegno per specializzarsi, inventare e crearsi ulteriore tempo libero. La dominanza emersa nella rivoluzione patriarcale si basò sulla non importanza. In effetti, proprio per la stessa ragione, le donne stanno ora cominciando ad acquisire potere. Come gli uomini diventano dominanti in quanto meno impegnati (e importanti) nelle comuni funzioni quotidiane della vita primitiva, così le donne, oggi, sono meno impegnate ed importanti nella cultura meccanizzata creata dagli uomini. Sono le donne a trovarsi nella posizione migliore per prendere le redini di una cultura più orientata al piacere, più assorbita nell'estetica e più orientata all'amore. Gli uomini possono essere, sì, ideologi della nostra cultura futura, ma, come gruppo, sono troppo assorbiti nelle etiche lavorative e machiste per gioire profondamente di una qualsiasi cosa. Inoltre, chi tenta di far carriera al di fuori dell'edonismo divorzia da ogni tipo di funzione di mantenimento e diventa un parassita. Sono le donne ad aver conservato meglio il senso d'equilibrio primitivo e ad essere più capaci di unire all'attività ordinaria delle necessarie funzioni di conservazione un orientamento verso l'amore e il piacere. È assai interessante la forma particolare di specializzazione adottata dagli uomini, in quanto riproduce il contratto universale fra persone di status sociale diverso. Gli uomini, nei rapporti con le donne, hanno assunto la posizione del guerriero-aristocratico nei confronti del villico: «Se mi nutri, ti proteggerò». Quanto prima, ovviamente, ogni contratto protezionistico diventa ricatto protezionistico: « Dammi ciò che desidero e ti proteggerò contro di me». In questa sede, però, ci interessano soprattutto i risultati della
rivoluzione patriarcale. Se gli uomini sono stati i profeti, quale è stato il messaggio? Essi svilupparono parecchi pezzetti di circuitismo nuovo, di cui i più notevoli sono stati l'ethos guerriero e la civiltà industriale. In entrambi i casi acquisirono le loro innovazioni attraverso l'espediente schizoide di ottundere i loro sentimenti e di sostituire alla sensibilità corporea il meccanismo d'emergenza della volontà. Il contributo culturale degli specialisti maschi fu il distacco della libido dai rapporti emotivi e dal piacere fisico, nonché l'investimento di questa libido in occupazioni e acquisizioni narcisistiche, nel lavoro, nel potere e nella gloria. Sfortunatamente, nessuna invenzione sociale è priva di costi, malgrado la nostra mitologia di progresso. Questo impegno maschile in occupazioni narcisistiche fu comprato a prezzo di una diminuita capacità di tolleranza della stimolazione al piacere. Il piacere diventò, per gli uomini, sempre più una questione di rilassamento di tensione: amare, toccare, accarezzare, tutto fu massicciamente subordinato ad un'enfasi esagerata dell'orgasmo. Ponendo un grosso investimento nelle occupazioni egoidi, gli uomini divennero sensualmente zoppi rispetto alle donne. Anziché tentare di rettificare questa inferiorità o di cercare di accettarla come prezzo malaugurato delle loro ambizioni culturali, essi cercarono di azzoppare allo stesso modo le donne. La loro inferiorità sessuale era elemento di disturbo, e non puramente a causa della riduzione della loro capacità al piacere, ma a causa della ferita narcisistica determinata da una qualunque inferiorità intuita. La storia delle consuetudini sessuali è risultata essere una lunga serie di tentativi ingegnosi per ridurre le donne ad una condizione tale per cui questa ferita non si facesse sentire. Dalla castità forzata all'inculcazione di bizzarre credenze circa i loro corpi, alla critica della loro incapacità ad abbreviare il loro piacere in rapporto a quello degli uomini, le donne furono indotte a costituire il territorio di caccia più squallido, allo scopo di mitigare questa ferita auto-inflitta alla vanità maschile. I cambiamenti nelle consuetudini sessuali riguardarono soprattutto ciò che veniva considerato auspicabile che le donne facessero: le variazioni della repressione sessuale sui maschi furono relativamente esigue. Parlando in generale, le norme sessuali sono fatte dagli uomini e imposte alle donne, anche se queste hanno spesso condiviso tali imposizioni, con l'entusiasmo auto-distruttivo caratteristico dei gruppi oppressi. Però, le donne spesso diventano madri, per cui qualsiasi veleno culturale esse siano costrette a tollerare viene trasmesso alla loro progeme maschile con precisione taglionica. Pertanto, l'impatto culturale delle repressioni sessuali è molteplice e ciclico. Ma, tralasciando questi costi, altri ve ne sono di direttamente connessi ai benefici stessi. Le innovazioni culturali derivate dalla specializzazione maschile nell'esagerazione dell'ego e nel razionalismo candeggiato rivelano i limiti di questa stessa specializzazione. Per esempio, soltanto una cultura dominata dagli uomini può aver inventato il martello pneumatico, con la sua brutale aggressione ai sensi, onde risparmiare tempo nel fare un buco per terra. Invenzione di cui si è avuto bisogno perché altri maschi avevano decretato che la terra dovesse essere ricoperta da macadam e calcestruzzo, deprivando della struttura i piedi, di vita e di colore il mondo e d'ossigeno l'aria. Gli uomini si compiacciono di dire che le donne hanno evirato il maschio moderno, ma questa è una pura proiezione. Se l'uomo" "moderno è evirato, se l'è voluto da sé, attraverso la propria autocastrazione emotiva e la risultante profusione di macchine grottesche e di organizzazioni mammuth che lo hanno costantemente rimpicciolito, pur aumentandone i sogni narcisistici. La specializzazione maschile nell'esercizio del volere è facilitata dalla libertà dall'esperienza del parto. Bateson avanza l'ipotesi che l'alcolizzato, quando è sobrio, soffre dell'illusione di essere il padrone del proprio destino, malattia psichica questa che viene curata nel momento stesso in cui beve il primo bicchiere. Le donne sono meno vulnerabili a questa innocenza ecologica, dacché una donna che abbia sperimentato il parto sa che cosa vuoi dire quando il proprio corpo è completamente assorbito da una forza interna su cui la volontà conscia non ha alcun controllo. È, pertanto, di grande importanza che, negli stadi avanzati della nostra degradazione culturale, gli uomini si siano sforzati di ottenere il controllo volontario sul processo della nascita, stando attenti che si verificasse in ambienti impersonali e privi di emotività dominati dai maschi, che le madri fossero rese insensibili durante il processo, in modo tale che l'ostetrico maschio potesse «assistere» il bambino - recitando in tal modo un diritto rituale di conscia volontà virile - e che il bambino venisse istantaneamente deprivato di quel tipo di contatto caldo e umano che lo aiuta a svilupparsi in un essere umano sensitivo, sensuale e rispondente. Inoltre, dalla metà del diciottesimo secolo fino alla seconda guerra mondiale, educatori e medici maschi hanno portato un attacco consistente al comportamento materno, dichiarandosi esperti razionalisti in un campo che era stato riserva femminile per milioni d'anni. La ripercussione di questo attacco fu che il toccare, l'affetto, il calore, lo stringere al seno, le cura materne, il contatto corporeo, la rassicurazione, la protezione, la blandizia e l'esercizio spontaneo delle funzioni corporali furono considerati tutti perniciosi e il più possibile da sopprimere. Un tipo di comportamento materno che, precedentemente, era stato, faute de mieux,
dell'indigente, dell'indifferente, del sadico e dello psicotico, venne ora ingiunto all'intera popolazione - anche al ricco, all'affettuoso, al sano e al ben disposto. Il culmine di questo attacco si è verificato verso la fine del secolo scorso, quando i dottori tentarono di eliminare l'uso della culla e di convincere le madri che il tenere in braccio o il ninnare un bambino affinchè dormisse era «immorale» e «suscitatore di vizi». Alla culla protettrice, racchiusa e dondolante, venne sostituito il lettino a sbarre, aperto, immoto, simile ad una prigione. Un decennio o due dopo, i behavioristi cominciarono a sostenere che ogni dimostrazione d'amore o di contatto fisico rendeva il bambino troppo dipendente. I bambini dovevano essere allevati più con l'orologio meccanico che con il loro orologio biologico, per cui vennero considerati generalmente piccole macchine da offendere adeguatamente ed altrimenti lasciare sole. Gli impulsi materni all'amore e alla cura dei figli dovevano essere virilmente soppressi. I bambini dell'Occidente civile vengono, adesso, trattati in maniera altamente impersonale, in rapporto a quelli di altre parti del mondo nati in ospedali, separati dalla madre fin dalla nascita, concesso loro un contatto corporeo minimo nei primi anni, svezzati precocemente, troppo isolati e così via. Queste barbarie, garantite dai successi della medicina occidentale, stanno rapidamente diffondendosi in altre culture. Il futuro di tutto ciò è tremendamente confuso. Il circuitismo schizoide dei profeti maschi viene diffuso quotidianamente in maniera sempre più ampia. Le donne delle società occidentali sono sempre più trascinate in esso e, per la maggioranza degli uomini, ciò rappresenta semplicemente la normalità. Ma, contemporaneamente, da quando le donne sono diventate profeti che (a volte) sviluppano un sistema antitetico, si è iniziato un nuovo processo. Attualmente, queste due correnti sono in totale collisione e formano un vortice culturale dal quale potrebbe concepibilmente affiorare un qualsiasi tipo di fenomeno sociale.

L'illusione dell'anatroccolo

L'esagerato spirito di competitivita prodotto dalla rivoluzione patriarcale e il crescente dominio, da parte dei maschi, sul processo della nascita e dell'allevamento dei figli, hanno svolto un certo ruolo nell'evoluzione di uno dei maggiori temi mitici della nostra società: quello del brutto anatroccolo. In questo mito (Rodolfo, la Renna dal Naso Rosso è soltanto uno di dozzine d'esempi), un individuo evitato dai compagni per via di un qualche difetto, prova che quest'ultimo è, in realtà, una virtù, per dimostrare come la sua alienazione sia dovuta più a superiorità che a inferiorità. La funzione del mito del brutto anatroccolo è di nascondere una brutta realtà. La realtà è che i brutti anatroccoli diventano brutte anatre. È anche probabile che l'insolito cigno profugo diventi del tutto brutto
interiormente, nel momento in cui ritrova il proprio ambiente. Per le persone interessate, la mutazione è una tragedia, indipendentemente da come il problema si ripercuote sulla specie. Il brutto anatroccolo è una favola di mutazione che cerca di nascondere questa tragedia. Il mito, altresì, serve a giustificare i passati crimini commessi in nome dell'individualismo. Nessuno accumula una fetta di ricchezza o di potere del tutto sporporzionata come premio per virtù intrinseche. Inizialmente, tutte le grandi fortune sono state estorte al prossimo, sia direttamente, sia indirettamente. Un'importante funzione della polizia - sussidiaria al suo ruolo primario di conservazione dell'ordine e della prevedibilità - è di far sì che il prossimo non le rubi di nuovo. Il motivo per cui i radicali costituiscono, per la legge e per l'ordine, una minaccia maggiore di quella dei criminali, è che essi vogliono rubare nuovamente le ricchezze, ma in modo collettivo piuttosto che in modo individuale (modo quest'ultimo in cui erano state rubate all'inizio). Il furto criminale non minaccia le strutture del nostro sistema - è un faux pas tecnico, è un metodo sbagliato e rischioso utilizzato da chi manca della conoscenza e dell'abilità per rubare senza rischio. Una volta che un uomo abbia rubato la propria fortuna, deve fare in modo di conservarla. Talvolta è sufficiente il nudo potere, però, alla fine, il suo atto, in una società stabile, deve pur essere in qualche modo ratificato. Per fare ciò, in passato, era necessario un certo periodo di tempo, almeno una generazione. La regola era che chiunque ereditasse una fortuna rubata, costui ne avesse diritto; di conseguenza, dopo che essa fosse stata pacificamente trasmessa, di padre in figlio, per qualche generazione, la famiglia che era riuscita ad accumulare i suoi malacquistati guadagni veniva considerata progenie superiore. Parte del denaro veniva speso in orpelli prestigiosi di istruzione e di cultura, atti a nutrire una simile impressione, però, parlando in generale, il mero fatto di essere stati capaci di conservare il denaro era già prova più che sufficiente. Il considerare l'ineguaglianza sociale come un qualche cosa di diverso dal meritato, minaccerebbe il vero fondamento dell'ordine sociale, e la gente è ragionevolmente disposta a sopportare tutto, purché il suo mondo di tutti i giorni non crolli nel caos, nell'imprevedibilita e nella violenza confusa. Comunque, questo tipo di ratifica ha un ritmo troppo lento per la società moderna. Oggi utilizziamo più spesso il mito dell'acquisizione individuale; l'idea, cioè, che un individuo possa superare gli altri in modo tale che egli, o ella, meriti maggiori premi. Attribuiamo tanto poco valore all'idea che un qualsiasi successo possa derivare da uno sforzo collettivo (le rappresentazioni dell'Academy Award abbondano di questo tipo di cose) che nessuno vuole realmente credere a queste affermazioni, anche se vere. . .Il mito dell'anatroccolo svolge un ruolo importante nel sostenere la giustificazione individualistica dell'ineguaglianza sociale. In esso, un individuo supera la scarsa opinione e le basse aspettative del suo gruppo per dimostrarsi, alla fine, superiore. Di più, tutto ciò lo compie senza aiuto - anzi, superando una sdegnosa resistenza. Negli antichi miti dell'eroe, questi riceveva doni magici, benedizioni o informazioni da coloro che lo circondavano. Nelle leggende di Perseo e Giasone, ad esempio, l'eroe è semplicemente un rappresentante di forze potenti; come il detective privato o l'agente segreto di parecchie avventure o di parecchi films, essendo la capacità di esporsi al pericolo e ditrovarsi al momento giusto nel posto giusto l'unica sua virtù particolare. Tuttavia, nel genere proscritto-schernito, l'eroe è presentato totalmente isolato ed autonomo. La causa per cui viene schernito si rivela essere una virtù redentrice - una mutazione apprezzata, come il naso di Rodolfo. Comunque, questo tema non è circoscritto alle sole favole. Esso è dominante anche nelle biografie semplificate dei «grandi» uomini destinate ai bambini. Che questi siano inventori, artisti o baroni ladri, c'è la tendenza a mostrarli come gente che « si è fatta da sé ». Generalmente sono poveri, a malappena istruiti, se non niente del tutto, respinti dai loro pari e circondati da ostacoli di ogni genere. Qualunque istruzione ricevano è descritta come inutile - ogni cosa deriva dalle capacità che sviluppano da soli, nel loro studio o nel laboratorio, dove si sono ritirati per l'insensibilità di quegli zoticoni che li circondano. Nelle storie di questo genere c'è sempre da chiedersi come mai l'eroe è così ansioso di suscitare l'amore di persone tanto meschine, ma non è proprio il caso di cercare la ragione quando entra in ballo il narcisismo ferito. Nello stesso Brutto anatroccolo, il protagonista trova egli stesso il gruppo superiore al quale in realtà appartiene, ma il risultato più caratteristico è che il gruppo che lo aveva respinto ora ne canta le lodi. Lo speciale messaggio di queste storie è che un difetto può diventare virtù attraverso l'esercizio della volontà, che l'amore può essere strappato a forza dagli altri attraverso realizzazioni individualistiche di successo. Il poco valore di un amore qualsiasi fondato su di una fama impersonale («per favore, spruzzane un po' su di me») viene scaltramente nascosto in queste piccole frasi tanto quanto le difficoltà inerenti ad intensi rapporti diadici ed esclusivi sono mascherate nella frase « e vissero per sempre felici e contenti ». La visione della vita secondo cui il più deforme, alla fine, sarà venerato da coloro che inizialmente l'avevano disprezzato, è imbibita di Americani della classe media con i loro cibi inscatolati per bambini. Essa contribuisce non poco alla monotonia della cultura americana, che produce in massa beni e servizi per coloro che immaginano di essere « il redentore sopravvissuto. » Ma questo boccone di autoinganno è sufficientemente dannoso. L'impatto reale dell'illusione dell'anatroccolo risiede nel modo in cui separa la coscienza individuale dai suoi contesti umano, corporale e ambientale, per cui essa diventa autarchica e meccanica. L'intrinseca connettività dell'individuo con gli altri viene denegata; l'unica dimensione di rapporto riconosciuta e apprezzata è la superiorità-inferiorità. Il vincitore della competizione, in qualunque competizione si impegni, viene ritratto come colui che ha soddisfatto tutti i bisogni, anche quelli sacrificati all'acquisizione della superiorità. La rispondenza meccanica del Mondo occidentale ha un grosso debito verso il mito dell'anatroccolo.

Jonathan Livingston Stranamore

Nulla potrebbe più drammaticamente dimostrare la vitalità nella società americana del mito dell'anatroccolo della straordinaria popolarità del best-seller Il gabbiano Jonathan Livingston — un tipo di versione della storia di Rodolfo fatto a mo' di Pattuglia dell'Aurora della Scienza Cristiana. Da questa storia sono rimasti ipnotizzati perfino gli umanisti, i radicali e gli anomali della controcultura — una favola puerile che glorifica il narcisismo presuntuoso, la lotta compulsiva e l'alienazione schizoide dal corpo. Il gabbiano Jonathan Livingston è l'epitome del sogno americano. Esso rivela la stessa mentalità di vittoria-ad-ogni-costo così acutamente descritta da Gary Shaw in rapporto al calcio universitario e satirizzata tanto brillantemente da Philip Roth in rapporto al Presidente degli Stati Uniti. L'eroe della storia è una specie di Charles Atlas, l'aviatore, o dell'imprenditore che si è fatto da sè e la cui vita intera è dedicata all'ambizione, al dominio e al « miglioramento di sé. » Mentre gli altri gabbiani si limitano a sbarcare la propria vita, egli è assorbito nell'equivalente gabbianesco del praticare davanti allo specchio esercizi atti ad edificare il corpo, ovvero dello studiare gli intrighi del mercato finanziario. I suoi bisogni di controllo sono incontrollabili, per cui egli è servo impotente del proprio bisogno di dominio. Come risultato — in analogia coi vecchi capitani d'industria — egli è tanto ammirato dalle masse quanto considerato minaccia per la comunità.
In breve, egli dimostra di essere quanto segue. Nel suo fanatico perseguire la velocità e la gloria, per poco non uccide alcuni colleghi gabbiani, per cui, di conseguenza, viene bandito dagli anziani della tribù, che non hanno apprezzato eccessivamente la sua superiorità. Il libro, in effetti, è pieno di spirito di élite — Jonathan non si sente in colpa per aver rotto una promessa da lui fatta, dacché « tali promesse sono soltanto per i gabbiani che accettano l'ordinario », mentre Jonathan è « uccello unico fra milioni ». Quando raggiunge uno stato più elevato, si ha una lunga discussione circa la desiderabilità di un ritorno al branco per istruire gli ottenebrati selvaggi da lui lasciati indietro, prima che egli, alla fine, prenda la decisione che soltanto uno o due di essi potrebbero essere degni di ricevere il messaggio dell'uomo bianco. La spietata indifferenza per la vita di coloro che sono ritenuti inferiori. (« II Gabbiano della Fortuna, questa volta, gli sorrise, e nessuno venne ucciso ») fa venire in mente i piloti americani nel Vietnam; dacché Jonathan è un essere superiore, il benessere delle masse che procedono stentatamente (leggi « indigeni » o « negri ») è cosa da ignorarsi. La differenza è puramente di grado e il grado stesso (ad esempio, un'incursione di B-52) deriva esattamente da quella neurosi di dominio che Jonathan riassume. Se desiderate sapere come ci siamo comportati nel Vietnam, leggete Il gabbiano Jonathan Livingston.
Molto interessante è anche il fondamento di una simile superiorità. Jonathan non perde tempo in considerazioni oziose per la quasi morte degli amici, in quanto ha raggiunto un nuovo record di velocità: « duecentoquattordici miglia all'ora! Una rivelazione, il momento più grande della storia del Branco » (lo stampatello è suo). Successivamente, inoltre, egli compie « acrobazie mai prima fatte da alcun gabbiano sulla terra, » e perciò ha la sensazione di aver trovato una « ragione di vita ». È difficile scovare un'illustrazione migliore della profonda vuotaggine interiore degli Americani che, tanto spesso, appaiono incapaci di trovare gioia nel vivere, ma che hanno bisogno di riempire le loro giornate con una frenetica lotta per il dominio - sia esso interno o esterno. Anche
quando egli raggiunge una specie di paradiso, cosa che fa abbastanza presto, si scopre che questo è un'altra palestra dove i Superuccelli dedicano « ore su ore ogni giorno nell'esercizio del volo, provando le nautiche aeree più avanzate. » Velocità, potenza, lotta sono tutto ciò che questo nuovo mondo può offrire, ma egli se ne compiace, in quanto ha un nuovo corpo. Mi viene in mente la pubblicità di una rivista che iniziava così « Non Farti Cogliere nel Corpo dell'Anno Scorso se Vuoi Essere la Ragazza dell'Anno! » Jonathan ha barattato il suo vecchio modello per uno nuovo e la sua risposta è tanto simile alla pubblicità commerciale di un'automobile, da renderci immediatamente conto del perché il libro è così popolare: « Con metà sforzo, egli pensò, io raggiungerò il doppio della velocità, il doppio delle prestazioni dei miei giorni migliori sulla Terra! » Alla fine, egli spinge tanto avanti questa alienazione dal corpo da diventare « non ossa e penne, ma una perfetta idea di libertà e di volo, affatto limitata da nessun'altra cosa». Altri temi che ci si può aspettare di trovare sono i seguenti: la bramosia di immortalità (Jonathan è un Matusalemme dei gabbiani, per cui lui e i suoi discepoli, alla fine trascendono totalmente la morte), l'esigenza di linearità per totale assenza di feedback (« II paradiso è essere perfetti, » « la perfezione non ha limiti», «In paradiso... non devono esistere limiti, » e « tutto ciò che si oppone alla libertà deve essere accantonato, sia esso rituale o superstizione o limitazione di qualsiasi specie ») nonché una visione del corpo come mero servo della volontà (quando Jonathan incontra un gabbiano dall'ala rotta, entra in scena come l'allenatore di un film di calcio di Pat O'Brien — dicendogli che, se vuole, può volare, cosa che il primo ovviamente fa, essendo questa una fantasia narcisistica). Tutto ciò esprime anche un'eguale avversione per la realtà dell'interdipendenza e della corporalità; avversione che tradisce un profondo senso di debolezza e di impotenza. L'organismo che non può misurarsi coi limiti è incapace di nutrire sé stesso. È come se l'onere di dover trattare con la realtà di un'altra persona potesse determinare il totale collasso dell'ego. L'esigenza dello spazio infinito scaturisce dal terrore per la prospettiva di doversi confrontare con un altro, o di dover far fronte ai suoi bisogni. È il bambino al seno che non può tollerare limitazioni - e questo è quanto più vicino siano mai arrivati gli umani all'essere senza limiti. Il resto della storia ricalca strettamente lo schema dell'anatroccolo. Il proscritto trova un gruppo di esseri superiori ai quali appartiene realmente («qui c'erano gabbiani che la pensavano come lui»), dimostrando in tal modo che la sua proscrizione era il risultato dell'inferiorità degli anziani, non della sua. Come ormai è probabilmente ovvio, esiste una pesante corrente sotterranea di razzismo nel mito dell'anatroccolo, e Il gabbiano Jonathan Livingston non fa eccezione. Il bisogno compulsivo di stabilire la propria superiorità che, poi, è il filo conduttore di tutta la storia, esige la definizione di un certo gruppo di esseri costituzionalmente inferiori.
Infine, come se non bastasse, Jonathan deve fare ritorno al suo branco d'origine inferiore onde esibire alla folla stupita le sue superiori conquiste - la sua enorme velocità, la sua trascendenza della morte. Lui e i suoi discepoli vivono per sempre felici e contenti, poiché così termina il contributo più recente alla cultura dei profeti, all'analfabetismo ecologico e alla Pestilenza emotiva.

Il disastro ben intenzionato

Le fonti della preminenza del mito dell'anatroccolo nella società moderna sono complesse. Esse potrebbero avere qualche cosa a che vedere con la frequenza con cui accademici ed altri grandi realizzatori presero le mosse come pupilli dell'insegnante - cioè, offesi e disprezzati dai loro pari. Negli Stati Uniti può essere il risultato di una popolazione di emigranti: nelle società animali e, generalmente, fra gli umani, sono coloro che perdono ad essere costretti ad emigrare - gli Stati Uniti, quindi, sono una nazione composta di perdenti che, in esilio, l'hanno resa ricca. Forse, però, il fattore più importante della popolarità del mito dell'anatroccolo è dato dal successo della medicina occidentale nel conservare in vita bambini che, altrimenti, sarebbero morti per carenza d'amore e di cure. Le loro fantasie e la loro distruttività sono diventati il mito della nostra epoca. Può apparire crudele impegnarsi in speculazioni di questo tipo, ma se tale ipotesi dovesse risultare corretta, avremmo a disposizione soluzioni più umane per non lasciare morire colui che non è amato. Per esempio, potremmo trovare strade per concedergli amore, invece di alimentare il narcisismo medico. E, intanto, stiamo dando origine, ogni giorno di più, a miseria, dolore e odio.A tuttora esistono ampie prove, da studi sia animali, sia umani, di come, durante l'infanzia, l'amore inadeguato e il contatto troppo scarso abbassino la resistenza dell'organismo all'infezione, rallentino i poteri di recupero e producano depressione cronica. Nel diciannovesimo secolo, metà dei bambini morivano nel primo anno d'età. D'altra parte, non più tardi del secondo decennio del ventesimo secolo, il tasso di mortalità nelleistituzioni dei bambini sotto l'anno era del 100 per cento. Ora, pur non avendo avuto la medicina occidentale alcun successo nell'eliminazione di questo effetto, essa si vanta di aver mantenuto un vita un gran numero di bambini che sarebbero morti senza intervento medico. Di questo molti genitori amorevoli sono stati grati. Ovviamente, non c'è modo di sapere quali fra questi bambini sarebbero stati rimessi in forza senza un'assistenza del genere, ne quali genitori potrebbero avere partecipato generosamente la loro gratitudine ai medici, gratitudine che, più appropriatamente, avrebbe potuto essere diretta a loro stessi per aver allevato un figlio forte sano e beneamato, essendosi amorevolmente rivolti a lui quando era sotto tensione. Ciò che sappiamo è che, statisticamente, la pretesa medica è giusta: molti che sarebbero morti non lo sono. A lungo, eugenisti appassionati hanno fatto notare che, se ciò era un bene per l'individuo (anche se nei paesi raffinati dal punto di vista medicol'alto tasso di suicidio mette in dubbio perfino questa affermazione), per la specie era un male. Ma le loro argomentazioni vengono accantonate come dure e screziate di spirito di élite quali, in effetti, spesso sono, essendozeppe di un interesse darwinistico piuttosto arcaico circa la necessità di «eliminare il debole e il disadattato» prima che si riproduca. Ma questo non è il problema reale. La nostra specie non scomparirà presto per debolezza e diluizione genetica, però, può sparire rapidamente per le sue propensioni omicide, per la sua folle corsa alla distruzione dell'ambiente, per la sua prosperante malvagità meccanica. Non è la ventata genetica a propagarsi fra di noi come un'epidemia, ma quella culturale. II mantenere in vita colui che non è amato ha fatto dilagare una malattia infettiva emotiva - origine, forse, di quella che Wilhelm Reich ha chiamato Pestilenza Emotiva. L'amore è contagioso, e tale è la sua mancanza. Coloro che sono veramente amati si riconoscono per la loro amorevolezza, generosità, bellezza, forza, salute, rispondenza e giocondità. Chi non è amato può essere riconosciuto per la sua miseria, malevolenza, bruttura, rigidità e rancore. Il non amato non può amare, per cui propaga la malattia ai figli. Poiché i bambini non amati sono altamente suscettibili all'infezione e allamalattia, le grandi epidemie della storia hanno avuto lo scopo di purgare periodicamente la specie dei suoi membri potenzialmente più distruttivi. Il che non significa che siano morti soltanto i non amati - la Natura è statistica e non si cura degli individui. Però, è da presumersi che il non amato sia morto in quantità sproporzionata. Le pestilenze quali la Morte Nera hanno selezionato le persone più amate perché procreassero ed allevassero figli - in altre parole, questa scelta è stata tanto culturale quanto genetica. Un qualsiasi effetto purificatore fu, probabilmente, controbilanciato dagli orrendi smembramenti impliciti dell'ordine sociale stabilito - dimostrando in tal modo che le brutalità della Natura sono inefficienti quanto quelle degli umani. Al meglio, si manteneva un certo tipo di equilibrio. Tuttavia, la medicina occidentale ha fatto di tutto per mantenere in vita un gran numero di non amati per dare libera stura alla distruzione e per spargere miseria in tutto il mondo. Per cui la negligenza insensibile della Natura è stata sostituita dalla perversione perfezionistica dell'Uomo. L'amore non può essere contraffatto. Eppure, nella nostra cultura, si presume che tutti i genitori amino i figli. Se, in una famiglia, ci sono più figli, molti genitori fanno finta di amarli tutti allo stesso modo, anche se i figli stessi e i profani fanno poca fatica ad accorgersi delle loro preferenze. Alcuni genitori sono superficiali nel loro amore, altri si sentono in colpa, sono iperprotettivi o asfissianti. Il tipo di amore che nutre realmente non è così comune come ci piace immaginare. In questa nostra America orientata al compito, i genitori spesso presumono che, comportandosi secondo certi precetti degli esperti in allevamento di figli, otterranno un prodotto desiderabile, però nessuna tecnica è mai stata una soddisfacente simulazione dell'amore per un bambino che abbia bisogno di esso per sopravvivere. La concezione occidentale è altamente battagliera. Essa tende aconsiderare ogni conflitto più come guerra d'estinzione che come fonte d'equilibrio. Per esempio, è soltanto il nostro folle individualismo che ci fa considerare competitive le specie perché si depredano l'una con l'altra. La selezione naturale non agisce mai per assegnare ad una specie la vittoria su di un'altra, ma per conservare l'equilibrio. Una specie si evolve fino al punto (sempre mutevole) in cui un adulto sano può sottrarsi a tutti i predatori, ma gli altri no. Dovesse mai una specie avere tanto « successo » da far sì che tutti i suoi membri fossero in grado di sottrarsi a tutti i predatori: ciò metterebbe a repentaglio le sue scorte di cibo, per cui si verrebbe a trovare in un guaio grande quanto se non riuscisse a giungere a questo punto. Il predatore è lo zar demografico per la specie che egli depreda. Il leone protegge la scorta di cibo dell'antilope. Gli uccelli proteggono la scorta di cibo dei bruchi che, a loro volta, impediscono alle piante di esaurire il suolo. Predatore e preda si trovano in reciproca relazione simbiotica. Ognuno di essi come specie è cosi importante per l'altro come se si trovassero in un certo rapporto di amichevole dipendenza. Tuttavia, l'individuo riveste assai poca importanza in tutto ciò, il che, dato il nostro indottrinamento culturale, è piuttosto sconvolgente. Gli umani non dispongono di predatori, per cui hanno dovuto affidarsi maggiormente alla malattia onde svolgere questa funzione per loro vitale. Di conseguenza, per la nostra specie, i germi che ci uccidono sono tanto apprezzabili quanto i miliardi di germi benigni che dimorano nel nostro corpo per svolgere svariate funzioni vitali. I predatori animali non depredano soltanto il debole e il sofferente, ma anche il giovane. È soprattutto al giovane non protetto cui si da la caccia, allo stesso modo in cui sono più spesso i bambini umani non protetti ad essere eliminati dai microbi predatori. Però, la mancanza di protezione può dipendere tanto da incapacità quanto da indifferenza. Il povero e il malnutrito sono sempre morti in maniera sproporzionata che fossero amati o no. Per cui l'effetto della medicina occidentale è stato soprattutto quello di fornire una protezione artificiale al non amatoprivilegiato, una combinazione, questa, particolarmente disgraziata. Ho avanzato l'ipotesi secondo cui la rivoluzione patriarcale unitamente all'illusione dell'anatroccolo e al cincischiamento medico che ha contribuito a farla sorgere, ha portato alla creazione di una cultura dalla mentalità del profeta - una cultura, cioè, dominata dalla mentalità incompetente. Queste osservazioni non debbono essere considerate giustificazione per un certo tipo di repressività. Tutti i gruppi hanno bisogno sia di mantenere le strutture, sia, occasionalmente, di alterarle, di limitare il numero (infinito) di alternative disponibili in ogni momento, pur mantenendo aperte possibilità normalmente non immaginate. Tali necessità sono implicitamente contraddittorie - non è mai esistita, ne mai esisterà una soluzione permanente. Nessun organismo vivente può sopravvivere senza prevedibilità, ne senza flessibilità. La continua ricontrattazione di questi dilemmi costituisce il fondamento della vita sociale. Ogni entità organica vitale deve comprendere una base ordinata e un elemento di instabilità caotica. Questi, per la loro esistenza, si trovano in dipendenza reciproca. Non possono esserci imbroglioni se non c'è fiducia Eppure la fiducia non ha significato senza imbroglioni.Tentare lo sterminio di tutti gli imbroglioni sarebbe un grosso sbaglio, come 1'umanità ha oscuramente riconosciuto lungo la maggior parte della storia D'altro canto, creare un'economia intera affermata sugli imbroglioni come abbiamo fatto noi, è altrettanto pericoloso. Si tenta meramente di mantenere la proporzione sufficientemente bassa da consentire la prevedibilità e tanto alta da impedire alla popolazione di cadere nell'idiozia Ma come possiamo attenuare la conflagrazione del profeta senza diventare ancora più repressivi di quanto siamo? Come possiamo mantenere la flessibilità e restaurare allo stesso tempo la connettività? E la connettività da noi perduta non richiede forse un tipo d'adesione cieca per sempre preclusa a coloro la cui vista è data dall'autocoscienza. Può l'organicità coesistere con la consapevolezza? Immaginiamo di essere più consapevoli dei nostri antenati primitivi ma lo siamo anche di meno. Siamo dolorosamente consapevoli de nostro isolamento, ma totalmente ciechi alla nostra connessione. Generalmente concepiamo questa cecità come un tipo di liberazione. La versione di Horatio Alger della storia occidentale e, dice come una nullità ignorante e dipendente si sia liberata dalla matrice medievale per diventare un essere moderno libero e potente, signore del proprio destino. Il racconto, adesso, è un po' ossidato e si pone sulla soglia dell'alta ideologia, ma forse, è ancora necessario per far notare seriamente come un altro modo di considerare gli ultimi sette secoli sia in termini di crescente miopia dell'umanità riguardo il suo rapporto col resto del mondo. In altre parole, dobbiamo diventare non meno, ma più consapevoli. La coscienza di sé non è consapevolezza, è puramente afferrare un aspetto della realtà a discapito di un altro. Il « grande » scienziato, imprenditore, artista o scrittore immagina di rispondere semplicemente a obiettivi individuali. Lo stesso, forse, fa la gallina che depone le uova sotto luce artificiale.

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