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CAPITOLO 3 (seconda parte) / v. Capp. 1
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- 7 / Indice D'altro canto, un segmento specializzato può cambiare senza separazione dal tutto. Il suo « linguaggio » internazionale crea intoppo, disordine, man- canza di piena articolazione col sistema totale, nonché possibilità di evoluzione indipendente all'interno del proprio sé. La qualità sempre più caotica del sistema determina crescente flessibilità. In queste condizioni, il sistema deve lavorare più sodo per conservare la propria integrità, e ciò assumerà la forma di tentativo di estensione della gamma del suo sistema di linguaggio astratto, o di restrizione del movimento indipendente dei sottosistemi. La nostra concettualizzazione della dinamica del profeta deve, pertanto, essere elaborata in tre forme differenti. La prima e la più semplice è stata già descritta. Un sistema omogeneo si separa da un segmento di sé indifferenziato; in un ambiente estraneo, il segmento sviluppa una nuova struttura e, se essa ha valore per il sistema parente, quest'ultimo reincorpora il segmento modificato e, perciò stesso, modifica la propria struttura. La seconda forma implica un sistema differenziato. In questo caso viene estruso un segmento specializzato, per cui non è necessario un ambiente estraneo, dacché il segmento è già differente dalla totalità. Tuttavia, per sopravvivere, il segmento specializzato deve completarsi , deve sviluppare modi per far fronte a bisogni cui già facevano fronte altri segmenti specializzati. Se riuscirà a diventare un tutto, esso assomiglierà soltanto in parte al sistema parente, dacché l'articolazione dei vari segmenti differirà, di necessità, in accordo con le circostanze particolari della sua storia, della sua specializzazione originaria, della natura del suo linguaggio privato, delle condizioni della sua auto-generalizzazione. La terza forma è la divisione stessa del lavoro, anche quando estrusione e reincorporazione non si verificano. Ogni segmento di un sistema differenziato è, in effetti, un profeta, ma il deserto è all'interno: un prodotto, cioè, della sua diversità di linguaggio. Nella divisione del lavoro, ogni segmento si trova ritto con la testa nel vuoto e i piedi saldamente piantati nel sistema parente. Quest'ultimo, occasionalmente, permette di essere penetrato da quel tipo di meta-informazione che revisionerebbe il suo circuitismo, ma ciò è raro. Parlando del tutto in via generale, il cambiamento viene fatto procedere nel sistema parente attraverso i suoi sforzi per mantenere l'integrità a fronte del caos generato dall'evoluzione dei suoi componenti specializzati. La divisione del lavoro, quindi, è un tipo di formazione di compromesso in cui tutti sono profeti che però vengono tenuti a casa. Nel sistema indifferenziato, la flessibilità adattiva viene sacrificata all'integrità. Cioè a dire, l'adattamento è reso problematico, mentre l'integrità è data per scontata. Con la divisione del lavoro si ottiene il contrario: l'adattamento è dato per scontato e l'integrità diventa problematica. Sarebbe bello dire che quello che sperimentiamo oggi è puramente uno stato in cui la divisione del lavoro è diventata altamente elaborata a spese dell'integrità, per cui comincia a correggersi. Ma il problema è più complicato. Nel nostro sistema, ognuno è profeta, ma i profeti non vengono tenuti a casa. Ciò vuol dire che non è soltanto la funzione del profeta ad essere stata generalizzata, ma anche la sua mentalità. La divisione del lavoro minimizza l'autonomia fisica dei profeti, mentre ne massimizza il numero. Nel nostro sistema, il numero, l'autonomia fisica e l'autonomia di significato sono tutti massimizzati. È come se, nella fase di diffusione e di democratizzazione della dinamica del profeta, non venisse incorporato soltanto il messaggio, ma il processo stesso. Ciò che si cerca non è il nuovo circuitismo sviluppato da ogni profeta, ma il suo status particolare. La rivoluzione patriarcale Questo stato di cose deve molto a quella che si potrebbe chiamare rivoluzione
patriarcale: all'affioramento di un complesso sistema culturale che
esercita il potere di controllo su di una società, dall'attività
quotidiana della quale le donne sono ampiamente escluse. C'è
chi dimostra in concreto come l'attuale sistema (decadente) di dominanza
maschile sulle donne sia « naturale ». Dacché esso
non è certamente universale fra gli individui, nè fra
le società umane, nè fra le altre specie, una simile affermazione
è molto ridicola. In natura si possono trovare esempi di quasi
tutto, per cui chiunque tenti di sostenere la propria posizione facendo
notare il modo in cui i babbuini trattano i rapporti fra i sessi, deve
essere pronto ad ascoltare la trattazione sulla mantide religiosa e
sulla vedova nera, o, come minimo, sul meno sessista gibbone. Il fatto
si è che non esiste relazione naturale. Attraverso coppie individuali,
società e specie, è possibile trovare una grande varietà
di adattamenti, ognuno dei quali ha benefici e costi, e ognuno dei quali
può comodamente inserirsi in un più ampio schema di funzioni.
Se parlo di rivoluzione patriarcale, pertanto, ciò non intende
implicare che la patriarchia, come l'ho definita, sia « innaturale
» ma soltanto che, nella storia della specie, è
un fenomeno abbastanza recente. Desidero, altresì, evitare ogni
insinuazione secondo cui la condizione che ha preceduto questa rivoluzione
sia stata una qualche sorta di matriarchia. Tutte le forme sociali diventano
fragili quando diventano estreme, e tutte le patriarchie esagerate sono
state afflitte dal terrore penetrante del potere femminile. Attraverso
questa ottica, la relativa eguaglianza sessuale di una tribù
vicina o conquistata tende ad assumere ipertoni sinistri. La supposizione
più dotta che possiamo fare è che la tipica condizione
primordiale fosse di rozza eguaglianza. Anche se oggi alcune tribù
estremamente «primitive» escludono le donne da gran parte
della vita rituale, le reali discrepanze di potere esigono sempre un
livello di sussistenza piuttosto elevato. Infine, il termine «
rivoluzione » è un po' fuorviante, in quanto comporta un
rapido trapasso di un certo tipo. Nel nostro caso, invece, il trapasso
è stato estremamente graduale, verificandosi esso lungo un arco
di parecchi secoli. La patriarchia, che appare in tutto il mondo sotto
svariate forme, è stata un'invenzione culturale di una certa
importanza, con ovvi benefici e ancor più ovvi inconvenienti.
La concessione del potere ad un gruppo di specialisti significa elevazione
di alcuni tratti necessari ed atrofizzazione di altri. Lo sviluppo di
un elevato grado di specializzazione richiede un certo quantitativo
di tempo libero. H.R. Hays fa notare come, nelle società molto
semplici, le donne abbiano grande energia creativa e che, non appena
una società giunge al punto in cui una data funzione, quale l'arte
della ceramica, può essere consegnata a specialisti, essa viene
trasferita agli uomini. Gli uomini hanno portato via alle donne un campo
dietro l'altro, non appena appariva loro chiaro che status e prestigio
potevano derivare da un'attività specializzata superiore. Ciò
lo possiamo vedere anche nella nostra società, in cui gli uomini
sono diventati capi cuoco e ostetrici. Pur senza i tempo, l'energia
e la fame di gloria per farne una specialità a tempo pieno, è
del tutto possibile che i cuochi migliori e i migliori ceramisti della
storia siano proprio state quelle stesse donne, morte sconosciute e
non riconosciute al di fuori della cerchia domestica e del vicinato.
È altresì del tutto possibile che nessuna di esse avesse
bisogno di un qualsiasi riconoscimento da parte delle persone con cui
non aveva personale collegamento, pur sentendosi molto svantaggiata
e oppressa nel suo ruolo di donna. Parlando in generale, sono stati
gli uomini ad essersi sentiti spinti a farsi strada in ogni genere di
abilità relativa ad un'occupazione specializzata da cui potessero
trarre gloria. L'illusione dell'anatroccolo L'esagerato spirito di competitivita prodotto dalla rivoluzione patriarcale
e il crescente dominio, da parte dei maschi, sul processo della nascita
e dell'allevamento dei figli, hanno svolto un certo ruolo nell'evoluzione
di uno dei maggiori temi mitici della nostra società: quello
del brutto anatroccolo. In questo mito (Rodolfo, la Renna dal Naso Rosso
è soltanto uno di dozzine d'esempi), un individuo evitato dai
compagni per via di un qualche difetto, prova che quest'ultimo è,
in realtà, una virtù, per dimostrare come la sua alienazione
sia dovuta più a superiorità che a inferiorità.
La funzione del mito del brutto anatroccolo è di nascondere una
brutta realtà. La realtà è che i brutti anatroccoli
diventano brutte anatre. È anche probabile che l'insolito cigno
profugo diventi del tutto brutto Jonathan Livingston Stranamore Nulla potrebbe più drammaticamente dimostrare la vitalità
nella società americana del mito dell'anatroccolo della straordinaria
popolarità del best-seller Il gabbiano Jonathan Livingston
un tipo di versione della storia di Rodolfo fatto a mo' di Pattuglia
dell'Aurora della Scienza Cristiana. Da questa storia sono rimasti ipnotizzati
perfino gli umanisti, i radicali e gli anomali della controcultura
una favola puerile che glorifica il narcisismo presuntuoso, la lotta
compulsiva e l'alienazione schizoide dal corpo. Il gabbiano Jonathan
Livingston è l'epitome del sogno americano. Esso rivela la stessa
mentalità di vittoria-ad-ogni-costo così acutamente descritta
da Gary Shaw in rapporto al calcio universitario e satirizzata tanto
brillantemente da Philip Roth in rapporto al Presidente degli Stati
Uniti. L'eroe della storia è una specie di Charles Atlas, l'aviatore,
o dell'imprenditore che si è fatto da sè e la cui vita
intera è dedicata all'ambizione, al dominio e al « miglioramento
di sé. » Mentre gli altri gabbiani si limitano a sbarcare
la propria vita, egli è assorbito nell'equivalente gabbianesco
del praticare davanti allo specchio esercizi atti ad edificare il corpo,
ovvero dello studiare gli intrighi del mercato finanziario. I suoi bisogni
di controllo sono incontrollabili, per cui egli è servo impotente
del proprio bisogno di dominio. Come risultato in analogia coi
vecchi capitani d'industria egli è tanto ammirato dalle
masse quanto considerato minaccia per la comunità. Il disastro ben intenzionato Le fonti della preminenza del mito dell'anatroccolo nella società moderna sono complesse. Esse potrebbero avere qualche cosa a che vedere con la frequenza con cui accademici ed altri grandi realizzatori presero le mosse come pupilli dell'insegnante - cioè, offesi e disprezzati dai loro pari. Negli Stati Uniti può essere il risultato di una popolazione di emigranti: nelle società animali e, generalmente, fra gli umani, sono coloro che perdono ad essere costretti ad emigrare - gli Stati Uniti, quindi, sono una nazione composta di perdenti che, in esilio, l'hanno resa ricca. Forse, però, il fattore più importante della popolarità del mito dell'anatroccolo è dato dal successo della medicina occidentale nel conservare in vita bambini che, altrimenti, sarebbero morti per carenza d'amore e di cure. Le loro fantasie e la loro distruttività sono diventati il mito della nostra epoca. Può apparire crudele impegnarsi in speculazioni di questo tipo, ma se tale ipotesi dovesse risultare corretta, avremmo a disposizione soluzioni più umane per non lasciare morire colui che non è amato. Per esempio, potremmo trovare strade per concedergli amore, invece di alimentare il narcisismo medico. E, intanto, stiamo dando origine, ogni giorno di più, a miseria, dolore e odio.A tuttora esistono ampie prove, da studi sia animali, sia umani, di come, durante l'infanzia, l'amore inadeguato e il contatto troppo scarso abbassino la resistenza dell'organismo all'infezione, rallentino i poteri di recupero e producano depressione cronica. Nel diciannovesimo secolo, metà dei bambini morivano nel primo anno d'età. D'altra parte, non più tardi del secondo decennio del ventesimo secolo, il tasso di mortalità nelleistituzioni dei bambini sotto l'anno era del 100 per cento. Ora, pur non avendo avuto la medicina occidentale alcun successo nell'eliminazione di questo effetto, essa si vanta di aver mantenuto un vita un gran numero di bambini che sarebbero morti senza intervento medico. Di questo molti genitori amorevoli sono stati grati. Ovviamente, non c'è modo di sapere quali fra questi bambini sarebbero stati rimessi in forza senza un'assistenza del genere, ne quali genitori potrebbero avere partecipato generosamente la loro gratitudine ai medici, gratitudine che, più appropriatamente, avrebbe potuto essere diretta a loro stessi per aver allevato un figlio forte sano e beneamato, essendosi amorevolmente rivolti a lui quando era sotto tensione. Ciò che sappiamo è che, statisticamente, la pretesa medica è giusta: molti che sarebbero morti non lo sono. A lungo, eugenisti appassionati hanno fatto notare che, se ciò era un bene per l'individuo (anche se nei paesi raffinati dal punto di vista medicol'alto tasso di suicidio mette in dubbio perfino questa affermazione), per la specie era un male. Ma le loro argomentazioni vengono accantonate come dure e screziate di spirito di élite quali, in effetti, spesso sono, essendozeppe di un interesse darwinistico piuttosto arcaico circa la necessità di «eliminare il debole e il disadattato» prima che si riproduca. Ma questo non è il problema reale. La nostra specie non scomparirà presto per debolezza e diluizione genetica, però, può sparire rapidamente per le sue propensioni omicide, per la sua folle corsa alla distruzione dell'ambiente, per la sua prosperante malvagità meccanica. Non è la ventata genetica a propagarsi fra di noi come un'epidemia, ma quella culturale. II mantenere in vita colui che non è amato ha fatto dilagare una malattia infettiva emotiva - origine, forse, di quella che Wilhelm Reich ha chiamato Pestilenza Emotiva. L'amore è contagioso, e tale è la sua mancanza. Coloro che sono veramente amati si riconoscono per la loro amorevolezza, generosità, bellezza, forza, salute, rispondenza e giocondità. Chi non è amato può essere riconosciuto per la sua miseria, malevolenza, bruttura, rigidità e rancore. Il non amato non può amare, per cui propaga la malattia ai figli. Poiché i bambini non amati sono altamente suscettibili all'infezione e allamalattia, le grandi epidemie della storia hanno avuto lo scopo di purgare periodicamente la specie dei suoi membri potenzialmente più distruttivi. Il che non significa che siano morti soltanto i non amati - la Natura è statistica e non si cura degli individui. Però, è da presumersi che il non amato sia morto in quantità sproporzionata. Le pestilenze quali la Morte Nera hanno selezionato le persone più amate perché procreassero ed allevassero figli - in altre parole, questa scelta è stata tanto culturale quanto genetica. Un qualsiasi effetto purificatore fu, probabilmente, controbilanciato dagli orrendi smembramenti impliciti dell'ordine sociale stabilito - dimostrando in tal modo che le brutalità della Natura sono inefficienti quanto quelle degli umani. Al meglio, si manteneva un certo tipo di equilibrio. Tuttavia, la medicina occidentale ha fatto di tutto per mantenere in vita un gran numero di non amati per dare libera stura alla distruzione e per spargere miseria in tutto il mondo. Per cui la negligenza insensibile della Natura è stata sostituita dalla perversione perfezionistica dell'Uomo. L'amore non può essere contraffatto. Eppure, nella nostra cultura, si presume che tutti i genitori amino i figli. Se, in una famiglia, ci sono più figli, molti genitori fanno finta di amarli tutti allo stesso modo, anche se i figli stessi e i profani fanno poca fatica ad accorgersi delle loro preferenze. Alcuni genitori sono superficiali nel loro amore, altri si sentono in colpa, sono iperprotettivi o asfissianti. Il tipo di amore che nutre realmente non è così comune come ci piace immaginare. In questa nostra America orientata al compito, i genitori spesso presumono che, comportandosi secondo certi precetti degli esperti in allevamento di figli, otterranno un prodotto desiderabile, però nessuna tecnica è mai stata una soddisfacente simulazione dell'amore per un bambino che abbia bisogno di esso per sopravvivere. La concezione occidentale è altamente battagliera. Essa tende aconsiderare ogni conflitto più come guerra d'estinzione che come fonte d'equilibrio. Per esempio, è soltanto il nostro folle individualismo che ci fa considerare competitive le specie perché si depredano l'una con l'altra. La selezione naturale non agisce mai per assegnare ad una specie la vittoria su di un'altra, ma per conservare l'equilibrio. Una specie si evolve fino al punto (sempre mutevole) in cui un adulto sano può sottrarsi a tutti i predatori, ma gli altri no. Dovesse mai una specie avere tanto « successo » da far sì che tutti i suoi membri fossero in grado di sottrarsi a tutti i predatori: ciò metterebbe a repentaglio le sue scorte di cibo, per cui si verrebbe a trovare in un guaio grande quanto se non riuscisse a giungere a questo punto. Il predatore è lo zar demografico per la specie che egli depreda. Il leone protegge la scorta di cibo dell'antilope. Gli uccelli proteggono la scorta di cibo dei bruchi che, a loro volta, impediscono alle piante di esaurire il suolo. Predatore e preda si trovano in reciproca relazione simbiotica. Ognuno di essi come specie è cosi importante per l'altro come se si trovassero in un certo rapporto di amichevole dipendenza. Tuttavia, l'individuo riveste assai poca importanza in tutto ciò, il che, dato il nostro indottrinamento culturale, è piuttosto sconvolgente. Gli umani non dispongono di predatori, per cui hanno dovuto affidarsi maggiormente alla malattia onde svolgere questa funzione per loro vitale. Di conseguenza, per la nostra specie, i germi che ci uccidono sono tanto apprezzabili quanto i miliardi di germi benigni che dimorano nel nostro corpo per svolgere svariate funzioni vitali. I predatori animali non depredano soltanto il debole e il sofferente, ma anche il giovane. È soprattutto al giovane non protetto cui si da la caccia, allo stesso modo in cui sono più spesso i bambini umani non protetti ad essere eliminati dai microbi predatori. Però, la mancanza di protezione può dipendere tanto da incapacità quanto da indifferenza. Il povero e il malnutrito sono sempre morti in maniera sproporzionata che fossero amati o no. Per cui l'effetto della medicina occidentale è stato soprattutto quello di fornire una protezione artificiale al non amatoprivilegiato, una combinazione, questa, particolarmente disgraziata. Ho avanzato l'ipotesi secondo cui la rivoluzione patriarcale unitamente all'illusione dell'anatroccolo e al cincischiamento medico che ha contribuito a farla sorgere, ha portato alla creazione di una cultura dalla mentalità del profeta - una cultura, cioè, dominata dalla mentalità incompetente. Queste osservazioni non debbono essere considerate giustificazione per un certo tipo di repressività. Tutti i gruppi hanno bisogno sia di mantenere le strutture, sia, occasionalmente, di alterarle, di limitare il numero (infinito) di alternative disponibili in ogni momento, pur mantenendo aperte possibilità normalmente non immaginate. Tali necessità sono implicitamente contraddittorie - non è mai esistita, ne mai esisterà una soluzione permanente. Nessun organismo vivente può sopravvivere senza prevedibilità, ne senza flessibilità. La continua ricontrattazione di questi dilemmi costituisce il fondamento della vita sociale. Ogni entità organica vitale deve comprendere una base ordinata e un elemento di instabilità caotica. Questi, per la loro esistenza, si trovano in dipendenza reciproca. Non possono esserci imbroglioni se non c'è fiducia Eppure la fiducia non ha significato senza imbroglioni.Tentare lo sterminio di tutti gli imbroglioni sarebbe un grosso sbaglio, come 1'umanità ha oscuramente riconosciuto lungo la maggior parte della storia D'altro canto, creare un'economia intera affermata sugli imbroglioni come abbiamo fatto noi, è altrettanto pericoloso. Si tenta meramente di mantenere la proporzione sufficientemente bassa da consentire la prevedibilità e tanto alta da impedire alla popolazione di cadere nell'idiozia Ma come possiamo attenuare la conflagrazione del profeta senza diventare ancora più repressivi di quanto siamo? Come possiamo mantenere la flessibilità e restaurare allo stesso tempo la connettività? E la connettività da noi perduta non richiede forse un tipo d'adesione cieca per sempre preclusa a coloro la cui vista è data dall'autocoscienza. Può l'organicità coesistere con la consapevolezza? Immaginiamo di essere più consapevoli dei nostri antenati primitivi ma lo siamo anche di meno. Siamo dolorosamente consapevoli de nostro isolamento, ma totalmente ciechi alla nostra connessione. Generalmente concepiamo questa cecità come un tipo di liberazione. La versione di Horatio Alger della storia occidentale e, dice come una nullità ignorante e dipendente si sia liberata dalla matrice medievale per diventare un essere moderno libero e potente, signore del proprio destino. Il racconto, adesso, è un po' ossidato e si pone sulla soglia dell'alta ideologia, ma forse, è ancora necessario per far notare seriamente come un altro modo di considerare gli ultimi sette secoli sia in termini di crescente miopia dell'umanità riguardo il suo rapporto col resto del mondo. In altre parole, dobbiamo diventare non meno, ma più consapevoli. La coscienza di sé non è consapevolezza, è puramente afferrare un aspetto della realtà a discapito di un altro. Il « grande » scienziato, imprenditore, artista o scrittore immagina di rispondere semplicemente a obiettivi individuali. Lo stesso, forse, fa la gallina che depone le uova sotto luce artificiale. |