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Earthwalk
CAPITOLO 5 (seconda parte) / v. Capp. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7

Il nostro passato è parte di noi. Chi dice che non lo si può affermare? «Non puoi tornare indietro» significa semplicemente «devi stare su questi binari». Ma gli errori umani non sono lineari — ciò che è stato è così profondamente noi quanto ciò che sarà o potrà essere. Tecnologia e moda intellettuale hanno esercitato tanta pressione sulla gente perché accetti frammenti temporali sempre più piccoli di sé, fino al punto in cui non ce n'è più a sufficienza da formare un essere umano intero. Il risultato è stato un'altra eversione sociale, un abbracciare reminiscenze e religioni appassionatamente nostalgiche che consentono al prossimo di reincorporare l'intero universo nella propria personalità temporaneamente contratta. La nostra storia è parte vivente del nostro essere, una riserva da cui trarre nutrimento e creatività. A malincuore, Toffler stesso ammette che la continuità «non è necessariamente "reazionaria"», ma considera il bisogno di tale continuità una malaugurate limitazione umana, come il bisogno di dormire, della quale il meccanismo dell'industrialismo deve occasionalmente tener conto, presumibilmente fino a quando gli umani non potranno essere sostituiti da qualche altra specie più malleabile. Per lui è inconcepibile (e, a questo riguardo, è un rappresentante della maggioranza dei portavoce dello status quo) che il futuro possa contenere un qualsiasi elemento già rifiutato dalla rivoluzione industriale, anche se la storia è piena di simili riesumazioni. Il futuro di Toffler è una pura estrapolazione lineare del secolo che finì nel 1960. Una qualsiasi deviazione da tale corso è «reversione» e «rifiuto del futuro». Toffler non può accorgersi che quelle idee e quegli orientamenti che egli stesso accantona come «reversionismo» stanno semplicemente ponendo le basi di un futuro molto più diverso di quanto immagini. È un po' come colui che, nell'era del carbone e del vapore, avesse attaccato come reversionisti i proponenti dell'energia elettrica perché cercavano di generare energia elettrica dalle cascate. L'idea più dannosa da concepirsi per un individuo, un gruppo, una società o una specie è che il passato non contenga alcun ordinamento degno, che la direzione che viene attualmente presa sia, ora e sempre, la migliore di tutte. Perfino l'evoluzione biologica contiene importanti inversioni. I nostri antenati avevano scoperto come, in un dato momento, fosse utile darsi agli alberi, mentre, in altri, fosse più utile nuovamente scenderne. Toffler sostiene che dobbiamo arrampicarci sempre più in alto sugli alberi della tecnocrazia, perché quella è la direzione da noi presa, per cui, di conseguenza là si trova «il futuro». Ciò nonostante, altri hanno già cominciato a discenderne. Se costoro risulteranno essere il futuro, avranno subìto una profonda modifica dal loro soggiorno arboreo — in questo senso non c'è alcuna regressione. Non esiste, tuttavia, ragione di presumere che l'anno 2.100 assomiglierà al 1975 più di quanto rassomigli al 1800. Ho il sospetto che, rispetto ad oggi, ci sarà un bel po' meno macchinismo; alla luce della crescente enfasi sui processi relazionali in quasi ogni sfera di sforzo umano, il macchinismo comincia ad apparire un po' meno sofisticato.

Potere ed energia

La sesta concezione errata riguardo il cambiamento sociale è che, per determinarlo, si debba ottenere il potere. Ciò presuppone, primo, che quello da me definito potere negativo sia una forza neutra e, secondo, il cambiamento sociale trovi origine in centri di potere. Entrambi questi assunti sono falsi. I peggiori mali del nostro sistema politico derivano dalla centralizzazione del potere, senza preoccuparsi di chi lo detiene. Immaginare che una faccia nuova possa cambiare il sistema è il modo più ingenuo di pensare alla «arrivano i nostri». Le più importanti organizzazioni della nostra società hanno visto passare dozzine di persone attraverso le loro posizioni al vertice senza che queste riuscissero ad intaccare grandemente l'oppressività del loro schematismo di fondo. La centralizzazione del potere è radicata nella motivazione paranoide; immaginare che, in un simile ambiente, possa fiorire qualche cosa di benefico e di amorevole è tanto illusorio quanto la macchina del moto perpetuo. Prendiamo in considerazione il potere concentrato nelle mani del Presidente degli Stati Uniti. In definitiva è il potere di decidere della vita o della morte di ogni persona vivente. Affidare un potere del genere ad una sola persona o ad un solo gruppo di uomini significa sollecitare la catastrofe. Perfino un modello di virtù (ma quale sorta di virtù potrebbe mai perseguire un potere malefico di tal sorta?) a stento potrebbe evitare di commettere, alla fine, un grossolano errore, non foss'altro perchè incapace far fronte all'enorme volume di informazioni richiesto per agire saggiamente. Concentrazione di potere significa che il centro della presa di decisione viene sempre più allontanato dal centro delle sue conseguenze - cioè, che le decisioni si basano su di una sempre minore informazione e che sono sempre più tagliate fuori dal feedback. Il Presidente può, sì, essere assai bene informato in senso assoluto, però in rapporto alla sua area di responsabilità, è l'uomo più male informato degli Stati Uniti. Fortunatamente, questa stessa concentrazione di potere contiene un autocorrettivo. In un sistema sociale complesso, il potere di chi ne è goloso viene limitato dalla ristrettezza e dalla semplicità, della visione del proprio mondo - rafforzate dall'insufficienza d'informazione a lui disponibile. Quanto più il potere è dittatoriale, tanto più è probabile che perda il contatto con la complessità dinamica del mondo che lo circonda e che distrugga sé stesso. L'autoritarismo, come sopra osservato, funziona bene in sistemi stabili ed omogenei. Inoltre, come i valori del mercato finanziario, il potere è simbolico. Nel momento in cui chiunque inizia a dubitare del potere di un leader, questo comincia a restringersi. Come abbiamo visto, il desiderio di potere negativo deriva dalla paura e dalla diffidenza, dal sentire che le gratificazioni del mondo non possono essere mai concesse, condivise o, anche, scambiate, ma che debbono essere represse. Alexander Lowen avanza l'ipotesi che chi è in grado di «maneggiare costruttivamente il potere» è soltanto colui che «è stato soddisfatto durante l'infanzia, per cui sa come godere della vita». Ma costui non desidera certamente il potere negativo. Chiunque, invece, sia disposto a compiere di buon grado il tipo di sacrifici richiesti per diventare Presidente degli Stati Uniti deve necessariamente essere afflitto dal bisogno di reprimere in qualsivoglia maniera particolarmente virulenta. Un uomo del genere è esattamente la persona alla quale un tale potere non dovrebbe mai essere concesso. Il potere di far saltare in aria il mondo non può essere affidato a chi è sufficientemente ammalato da farlo. In ultima analisi, il potere negativo si basa sulla minaccia di distruzione. Non si può ottenere il potere minacciando di creare. Chiunque è in grado di creare; non sono necessari sostegni, nè coercizioni. Né, in genere, ci si deve aspettare che l'innovazione o la creatività emergano da centri di potere per natura fondamentalmente conservatori, interessati cioè al controllo, all'adesione, all'avidità. Chi è motivato alla ricerca del potere tende a diffidare del flusso, della spontaneità e della creazione ed a credere soltanto in ciò che può essere controllato, assicurato, obbligato. È insensibile ai processi rigenerativi che si verificano in natura. Di sé stesso si fida soltanto della propria struttura difensiva e delle proprie capacità erudite; degli altri, si fida soltanto della tendenza della maggior parte degli umani a restare impressionati del baldacchino dello status e delle bardature del potere. Pertanto, sebbene non sia in grado di innovare, è per lui di fondamentale importanza restare al vertice, a fianco del cambiamento. Cavalca il destriero, ma non è in grado di farlo andare. Il governo è una forza totalmente negativa: può regolare, può mantenere, può distruggere. Ma è possibile che un uomo che ambisca attivamente al potere di Presidente si trattenga dall'utilizzarlo sotto tensione? Nel caso ci riesca, ha egli la probabilità di tollerare restrizioni ad esso sia internamente, sotto forma di decentralizzazione; sia esternamente, sotto forma di disarmo? Le politiche internazionali, quali esistono ora, opprimono milioni di individui sani, affinchè i malati possano giuocare una sorta di partita a scacchi. Arthur Janov suggerisce come sia l'autoalienazione a far sì che i politici discutano senza scrupoli dello sterminio di massa. La morte non è una tragedia per coloro che non possono sentire la vita. Dacché essi stessi sono interiormente morti, la morte concreta degli altri è più irreale che orrifica. Un maschio burocratico arguì, una volta, che le donne non dovrebbero avere posizioni di responsabilità a causa della loro instabilità emotiva associata alla menopausa, però io, personalmente, preferirei correre il rischio di una donna del genere, piuttosto che quello di un normale maschio affamato di potere. È sorprendente che temiamo la labilità della menopausa più di quella patologia agghiacciante che consente all'uomo di ordinare la distruzione di massa, nonché l'uccisione e la mulilazione di centinaia di migliala di persone, unicamente per evitare di essere definito debole, o per guadagnare punti al braccio di ferro internazionale dei nervi. La bramosia di potere è la più dannosa di tutte le pervesioni sessuali ed il razionalismo compartimentalizzato che, spesso, l'accompagna non è motivo di rassicurazione. I peggiori orrori della storia sono stati perpetrati da maschi «sensibili» e «pratici» che «compiono i passi necessari» per sconfiggere un qualche simbolico oppositore ad un obiettivo simbolico. Si consideri quanta fredda intelligenza è stato dedicata ad una poltica estera che, alla base, si fonda su un tipo di strategia da bombardiere folle («Non avvicinarti a me o saltiamo tutti!») René Dubos osserva come il Capitano Ahab fosse un baleniere altamente pratico: "Tutti i mezzi di cui dispongo sono sani; folli sono i miei obiettivi e i miei moventi". Lo stesso potrebbe dirsi di Henry Kissinger, già citato per aver detto che il potere è l'ultimo afrodisiaco». Generalmente, questi obiettivi simbolici vengono mascherati come problemi di sopravvivenza, o vita o morte, ma il passare del tempo rivela sempre la loro falsità. In retrospettiva, fa poca differenza per la vita quotidiana di molti individui se sia un gruppo o un altro a possedere un pezzo di terra o a controllare l'apparato goverativo. Nel tentativo di indovinare dalle susseguenti fortune dei combattenti chi abbia «vinto» o «perso» una guerra, a malappena si potrebbe riuscire a far meglio del caso. In ogni modo, anche la storia è ampiamente fuorviante in quanto, a tutt'oggi, è decisamente una narrazione di vicissitudini di relazioni fra disturbi creati da coloro che sono infiammati dalla passione di ricchezza, di potere e di fama. Sono stati, sì, fatti tentativi per scrivere la storia sociale, ma l'elemento stesso interferisce. Come l'archeologia non potrà mai trascendere il fatto di basarsi sull'immondizia umana, così la storia, che è lo studio di documentazioni, non può trascendere il fatto di basarsi sui prodotti di chi è reso folle da sogni di immortalità; di chi, cioè, vuole «imprimere il suo marchio sulla storia». Coloro che hanno vissuto per la vita in sé stessa sono perduti per l'archivio; perché tutto ciò che è verde passa, mentre resta soltanto il detrito di quelli che evitano la morte. La storia è una specie di Marat/Sade della razza umana, un diario tenuto da narcisisti, riguardante narcisisti ed ampiamente per narcisisti. Come tale, essa è utile al potere, in quanto presta credibilità al loro tentativo di convincere la plebaglia di quanto il suo frenetico perseguimento di obiettivi simbolici e narcisisti rappresenti un certo sforzo reale a vantaggio del popolo.
Dacché soltanto i pazzi sono attratti da posizioni di grande potere e dacché simile genia è troppo infatuata per diffonderlo e decentrarlo, come possiamo evitare che lo detengano? Come possiamo fare a conferire il potere a chi è capace di disintossicarlo? Una soluzione ovvia, per quanto patentemente impopolare, sarebbe di scegliere pubblici ufficiali mediante una qualche sorta di sistema a caso, così come, attualmente, si è soliti fare per estrarre a sorte assassini che non intendono presentarsi volontari al compito. Gli Ateniesi si avvalsero di un sistema del genere e, pur avendo esso i suoi problemi, la maggior parte di questi ultimi poteva essere attribuita alla prevalenza di quel tipo di grossolana vanità che lo aveva reso, in primo luogo, un sistema auspicabile. A lunga scadenza, è generalmente più utile che le persone che occupano un dato ruolo vi si sentano a proprio agio, ma ciò dipende dal fatto che il potere venga diffuso al punto in cui il veleno sia presente in dosi sufficientemente piccole da essere assorbite dall'umano medio. L'idealista che cerca l'alto ufficio per portare a termine obiettivi improntati a nobili sentimenti è, pertanto, impegnato in uno sforzo autofallimentare. Chi cerca un potere del genere è un nemico del popolo, qualunque programma abbia. Egli spiegherà la propria motivazione in termini di desiderio di «ottenere un impatto reale», ma chiunque agisca in funzione di questo tipo di fastosità diventa, perciò stesso, parte del problema più che parte della soluzione, dacché il suo comportamento scaturisce da e contribuisce al mantenimento di quel nucleo motivazionale del sistema oppressivo in cui viviamo. I tentativi per incrementare il potere di un gruppo precedentemente impotente sono tutt'altra cosa, giacché comportano la diffusione del potere, il che dovrebbe essere l'obiettivo di tutta l'attività politica del futuro prevedibile. L'organizzazione della comunità e la denucia pubblica dell'arroganza ufficiale sono due imprese chiave di questo processo. In gran parte, il potere si edifica sulla concentrazione e manipolazione dell'informazione e, di conseguenza, si basa massicciamente sulla segregazione. «Top secret» e «proibito far circolare» significano, di solito, «il rendere nota la cosa indebolirà il nostro potere ». II diritto di segretezza non può essere consentito a quel governo e a quella qualsiasi altra organizzazione in cui sia concentrato un potere equivalente, dacché la segretezza viene sempre utilizzata da chi detiene il potere per concentrarlo ulteriormente. Dopo tutto, «privato» e «pubblico» sono considerati concetti antitetici. La ragione più importante per evitare posizioni di potere è che il cambiamento sociale assai raramente trova origine nei centri di potere. Parecchi si immaginano che Washington sia «laddove si agisce», ma ciò vale soltanto per i tossicomani del potere. Nessuna importante innovazione culturale o sociale è mai uscita dalla comunità politica di Washington, anche se ne sono state rese effettive di minori. I leaders politici si limitano a generalizzare i cambiamenti sorti altrove nella società. Le idee su cui si basano i nuovi programmi erano, di solito, già in circolazione da anni. Spesso le persone immerse nel governo risultano un tantino arcaiche, la loro informazione è filtrata attraverso gente troppo assorbita nel proteggere le proprie posizioni e nel mantenere il segreto. Esse possiedono scarsa informazione circa i cambiamenti del sistema ma ne hanno di elevate circa fatti e cifre inchiodate ad ossature rigide e antiquate. In America il cambiamento si è verificato ad opera di tecnologi, di uomini d'affari di scienziati, di inventori, di artisti, di musicisti, di negri, dell'uomo della strada e per le decisioni prese, giorno per giorno, da milioni di individui totalmente oscuri. La metafora adeguata a Washington e ad altri centri di potere è il castello feudale. Gli abitanti di tale castello avevano una funzione puramente negativa: essi potevano uscire fuori e distruggere ma, altrimenti, conducevano un'esistenza parassitaria. Il castello non aveva energia in proprio: tutto era tratto dalle terre coltivate che lo circondavano. Attaccare il castello era un'assurdità per chiunque non fosse mosso da motivi narcisistici, in quanto tutta la sua vita risiedeva all'esterno. Prenderlo, era prendere un nulla. Era sufficiente assorbire tutto il cibo esterno e le fonti d'acqua per abbandonare il castello a morte per inedia. Il signore medievale poteva, sì, stare assiso all'interno per guardare fuori alle «sue» terre, ma, in effetti, ne era estraneo. I leaders non determinano il cambiamento, chiunque altro, si. Per tanto tempo ci siamo lasciati andare a sognare di noi come agenti di cambiamento da aver mancato il nostro ruolo di persone che reagiscono. La gente è il terminale nervoso dei sistemi sociali. Se essa è sufficientemente stupida da sopportare stoicamente le sofferenze che un tale sistema infligge su di lei, il sistema avrà buon giuoco ad infliggergliele. I meccanismi sociali sono incuranti e indiretti. Saranno, altresì, inumani nei limiti in cui vengono deprivati dell'informazione circa i bisogni e le risposte umane. Molte società occidentali sono come persone senza alcuna sensazione della sofferenza; esse commettono danni orribili in quanto hanno perduto l'accesso all'informazione vitale derivante dalle periferie. Noi siamo i terminali nervosi, ottusi e atrofizzati, delle nostre società. Siamo stati educati a sorridere garbatamente quando siamo calpestati da qualche istituzione sociale, ma tutte le volte che abbiamo agito così le abbiamo dato una lezione di inumanità.