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Earthwalk
CAPITOLO 7 (seconda parte) / v. Capp. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7

Direzioni

A questo punto mi trovo impegnato in un'impresa piuttosto buffa: tentare di incoraggiare persone che non conosco, attraverso uno strumento lineare astratto, perché modifichino il loro orientamento al mondo in un modo che dovrebbe indurii a respingere il mio tentativo come meccanico e non valido. Tenendo in mente questa incoerenza, vorrei riassumere quelle fra le mie osservazioni che hanno ovvie implicazioni prescrittive. Queste non sono «cose da fare», ma direzioni che appaiono salutari; non processi da avviare, ma tendenze già iniziate e disponibili per i nuovi inputs d'energia.

(1) Decentralizzazione. La diffusione del potere è stata un dogma centrale della nuova sinistra («il piccolo è bello, il grande è brutto»). Ovviamente la vecchia sinistra favoriva la tendenza opposta ed appggiava la crescente concentrazione del potere all'interno di poche grandi corporazioni, sulla base che ciò le avrebbe rese mature per la nazionalizzazione Questa, come strategia, è abbastanza solida, ma l'idea che la trasformazione della proprietà formale di una burocrazia gigante avrebbe condizionato il modo in cui funzionava costituisce un esempio di quell'infatuazione per i simboli che affligge il pensiero razionalista. Tuttavia la diffusione del potere solleva problemi di coordinamento. Le organizzazioni di massa, come minimo, creano l'illusione di fornire un sistema per coordinare le attività di grandi quantità di persone. Questa è una grossa presa in giro, come si può riscontrare dal caos e dall'incoerenza in cui viviamo. L'illusione deriva dall'eliminazione dal processo di
coordinamento di quasi tutto ciò che interessa alla gente e dall'offrire un grande spettacolo di precisione per quanto riguarda il resto. Nello stesso tempo si deve riconoscere che il coordinamento in condizione decentralizzata richiede, da parte di ognuno, un output d'energia di gran lunga maggiore. A lunga scadenza, però, questo output d'energia non risulterà maggiore in senso reale, dacché (a) la comunicazione libera ed eguale è assai più rianimante del sottoporsi a tensione attraverso l'imbuto coercitivo di una bruocrazia impersonale, e (b) nulla determina maggior fuga d'energia dei sentimenti di debolezza e di impotenza. Ma, fino a che esisteranno i sistemi tradizionali per creare queste fughe, trascenderli apparirà faticoso.II significato della diffusione del potere, quindi, è il ritiro di energia e interesse dai canali verticali di comunicazione (di massa, burocratici, autoritari) per reinvestire tale energia nei canali laterali. Attualmente, centralizzazione e decentralizzazione stanno procedendo simultaneamente. Nelle sfere tradizionali, le basi del potere e della ricchezza stanno diventando continuamente più esigue. Nello stesso tempo, stanno tranquillamente proliferando istituzioni alternative ristrette in esplicita antipatia verso le loro controparti a più vasta scala. Ciò significa che, mentre le organizzazioni tradizionali stanno diventando più ampie e più potenti, cominciano a perdere il loro combustibile umano. Probabilmente, ci vorranno vent'anni, o più, prima che ciò cominci ad avere effetti significativi, e il cambiamento reale verrà indubbiamente acquisito soltanto dopo che si saranno verificati alcuni gravi confronti. Questi confronti, sulle prime, appariranno ineguali — i potenti, pochi ma armati e organizzati, contro i tanti disarmati, dispersi e disorganizzati — ma la dispersione, oltre che di debolezza, può essere fonte di forza (non si può abbattere una nuvola), per cui i loci del potere diventeranno ambivalenti e soggetti all'infiltrazione da parte di esseri umani. Un esempio importante di diffusione del potere è lo sviluppo delle organizzazioni di polizia formate da soldati semplici e caporali. Il fatto che questi gruppi tendano ad esprimere sentimenti reazionari ha distratto molti osservatori dagli effetti di tale azione sul sistema. C'è una specie di ingenuità, alimentata dagli intellettuali e dai media, che da' peso indebito all'ideologia, ma, in realtà, importa ben poco il tipo di credo abbracciato da questi uomini. Ciò che realmente conta è che essi abbiano abbandonato la loro posizione di impotenza e stiano cominciando a porre in dubbio il loro ruolo di coartatori della classe media, ruolo in cui corrono tutti i rischi per non ricevere alcun premio. Come essi si rifiutano di esporsi ad assurdi pericoli, altre soluzioni dovranno essere escogitate da quelle stesse autorità alle quali essi, in precedenza, erano stati ciecamente obbedienti. L'azione collettiva a proprio vantaggio è causa, non risultato, di saggezza sociologica.

(2) Decelerazione. In America la democrazia è impossibile per la semplice ragione che la gente è troppo mobile per creare quel tipo di vincoli stabili di comunità su cui la democrazia si basa. La mobilità elimina ogni occasione perché le persone si appoggino le une alle altre, mentre, per i loro bisogni le costringe a dipendere da sistemi burocratici verticali. Come può la gente strutturare in termini politici i propri desideri quando non si conosce reciprocamente neanche tanto da parlarsi? Invece, i problemi vengono immaginati, definiti e chiesti da specialisti. Ma, ad essi, viene risposto individualmente, se mai viene risposto, da persone che non hanno modo di analizzare le proprie implicazioni relazionali. La democrazia è possibile soltanto in presenza di un seppur minimo livello di coagulazione interpersonale. Essere di passaggio, inoltre, non è realmente vivere, perché, durante questo periodo, si è staccati dalle condizioni ambientali, sia perché fisicamente trincerati in un veicolo metallico, sia psichicamente, in virtù del ruolo osservatore-estraneo. In America, si è di passaggio la maggior parte del tempo, e il vento che fluisce accanto alle orecchie ci rende sordi ai nostri visceri, o incapaci di ascoltarceli reciprocamente. Di più, la nostra ideologia ci ha fatto sentire quanto sia vergognoso l'ardente desiderio di radici per cui deve essere soffocato o nascosto nel primo buco a portata di mano. Esistono però, limiti alla malleabilità umana, per cui anche gli Americani stanno dimostrando segni di resistenza all'esigenza di disprezzare le loro radici e di marciare, quasi continuamente, in esilio l'un dell'altro («muoviti non indugiare»). Sta risvegliandosi un interesse per il passato e la parola «rituale» diventata una delle preferite anche se nessuno sa che cosa voglia dire. Ci vorrà assai di più, però, perche la mobilità decresca: quanto peggiore si farà il nostro ambiente, tanto più rapidamente la gentete si muoverà in esso, abbandonando ogni posto non appena l'avrà deturpato. Ma, presto o tardi, quando gli ambienti saranno diventati altrettanto inabitabili, la gente dovrà assumere un impegno con le proprie condizioni ambientali e non trattarle come camere di un motel Come tutti i grandi cambiamenti sociali, esso prende l'avvio col non provare vergogna.

(3) Depolarizzazione.Durante periodi di crisi, le forme di specializzazione da noi apprese ed accettate come ordine naturale delle cose devono, spesso venire dissolte. Per arrivare a ciò, siamo costretti a conoscere la nostra molteplicità e la nostra confusione interna, sia individualmente, sia collettivamente La sciarada di assensi e dissensi deve dar luogo ad una percezione delle contraddizioni interiori mascherate dalla polarizzazione esterna. Per la vita, il conflitto è essenziale, come lo è il confronto per la comunicazione. La depolarizzazione non allevia il conflitto - lo acutizza e lo rende reale, eliminando falsi problemi e permettendo al confronto di essere dinamico anziché statico e polarizzato. Depolarizzazione significa semplicemente liberarci dalla prigione delle assegnazioni del ruolo culturale per esprimere la nostra più piena umanità. La depolarizzazione non può mai essere permanente. E' piacevole assumere e svolgere ruoli specializzati, proprio come lo è indossare costumi e partecipare a rituali. Adulti e bambini traggono gioia dalla simulazione, dal compiere i passi di un elaborato minuetto interpersonale e nell'eseguirli bene. La vita è più un'espressione emotiva per cui l'avvolgere la tensione in forme eleganti ha un suo valore intrinseco. Quando le vecchie specializzazioni vengono sommerse, ne emergeranno di nuove affinchè l'energia possa essere concentrata in certe parti del sistema sociaIe per essere liberata quando necessario. Sfortunatamente, queso avvolgere l'energia tende gradualmente a irrigidirsi e a bloccarsi, per cui la depolarizzazione è un mezzo per far fiorire, di tanto in tanto, il sistema in modo che possa riadattarsi con maggiore grazia. La forma del riadattamento non ci interessa. Le culture non possono essere pianificate, nè mai sono logiche.

Hanno soltanto bisogno di essere coerenti. Le contraddizioni possono abbondare con tutto agio, finché la schematizzazione culturale non isoli gli uni dagli altri in un tempo, in uno spazio o in un rapporto, i comportamenti contraddittori. Queste soddisfacenti contraddizioni si raggiungono attraverso prove ed errori. Ogni tentativo per applicare la logica e il principio è invariabilmente fatale, poiché cercano di distruggere proprio quelle contraddizioni da cui dipende la salute sociale. La più importante forma di depolarizzazione della nostra società odierna è l'attacco ai ruoli di sesso da parte del movimento femminista. La divisione del lavoro per sesso è diventata una forma pericolosa di rigidità sociale come il lavoro ha cessato di essere localizzato per separarsi sempre di più dalla vita quotidiana. Quando uomini e donne operano in un ambiente condiviso, la divisione del lavoro per sesso è una porzione innocua della complessità sociale. Ma quando il lavoro dell'uomo è totalmente staccato dal mondo in cui vivono moglie e figli, la stessa divisione del lavoro diventa sinistra. Ciò è particolarmente vero quando l'attività è prioritaria, come nel caso della nostra società, in cui al produttore viene sempre concessa la priorità sul consumatore. Si presume che i focolari domestici seguano gli impieghi e se il marito produttore rende meno abitabile l'ambiente, ciò viene tollerato come parte necessaria del lavoro. Quando sia l'attività del marito, sia quella della moglie è dentro di loro ed è relativa a loro, le comunità risultano più abitabili e più coerenti. Ma quando la moglie si ritira all'interno della casa e il marito se ne allontana per recarsi ad un posto di lavoro lontano, entrambi si atomizzano. Oltre a ciò, quando il marito opera in un ambiente staccato dalla sua vita emotiva ed interpersonale, le sue attività di produttore non saranno uniformate a questi interessi e diventeranno, conseguentemente, inumane. E se la moglie, nel contempo, dedica le proprie energie alla casa e ai figli, staccata dai problemi sociali più ampi, alleverà figli deficitari quanto a rispondenza sociale. In altre parole, se il marito si sforza di gestire il sistema senza rapporto con la casa, e la moglie si sforza di gestire la casa senza rapporto col sistema, entrambi compiranno un'impresa insoddisfacente. La depolarizzazione auspicata dal movimento femminista dovrebbe sommergere questi comportamenti, per restaurare un pezzo necessario dicircuitismo sociale.

(4) Riconnessione. In tutti gli orientamenti precedenti è implicita l'intensificazione della comunicazione bilaterale; malgrado ciò essa è degna di particolare attenzione. La riconnessione è un processo sottile. Non può essere raggiunta attraverso un attacco alla gregarietà, né attraverso un diffuso adempimento delle norme dell'encounter group-fondamentalmente inserita com'è in una cultura del tipo nave-che-passa-nella-notte qual'è quella da noi posseduta. La riconnessione si verifìchera' spontaneamente quando la vita e l'esperienza del prossimo verranno condivise ad un livello che consenta una consapevolezza attendibile della collocazione emotiva reciproca. Per ottenere ciò sarà necessario, per prima cosa, sradicare quel cancro narcisistico che si è impiantato nel cuore della cultura occidentale. Ciò, a prima vista, può sembrare impossibile: quale aspetto della nostra cultura non si fonda sulla motivazione narcisistica? Si scorrono invano le Pagine Gialle della memoria. Eppure, esistono alcune fonti radicate di energia narcisistica che possono e debbono essere scalzate; fra di esse le più importanti sono il sessismo, l'Etica Protestante e la famiglia edipica. Il sessismo e la famiglia edipica stanno subendo un attacco totale da parte del movimento femminista, mentre l'Etica Protestante è già entrata in quello che promette di essere un lungo convulsivo declino. Oltre a ciò, sarebbe un errore presumere, come molti fanno, che il narcisismo sia una linea di base naturale verso cui gli esseri umani gravitano automaticamente, se non sono addestrati a fare diversamente. Inoltre, questo è un errore insegnato dalla cultura, vera essenza dell'illusione individualistica. Gli animali cooperano e sono armonizzati reciprocamente, altrettanto fanno gli umani, a meno che non si insegni loro altrimenti. Se un passante sta cadendo per la strada, la nostra risposta istintiva è di afferrarlo. Ciò può essere osservato sia fisiologicamente, sia cineticamente. Se però, abbiamo il tempo di pensare, di rammentare la nostra corazza urbana, di percepire che colui che sta cadendo è ubriaco e/o corrotto, di pensare di venir coinvolti in una scena spiacevole, e così via, ci poniamo del tutto in grado di inibire l'impulso e di lasciare che colui che sta cadendo crolli al suolo. Il nostro errore è di presumere che l'inibizione sia più "naturale" della risposta di afferrare.
In effetti, avremmo un ricco repertorio di impulsi riconnettivi cui attingere se soltanto fossimo capaci di stabilire le condizioni in cui potrebbero essere ancora liberati. Tutto ciò ha un suono nostalgico. Si è ancora indotti a pensare alla comunità semplice, per la perdita della quale i nostri cuori piangono e le nostre teste esultano. Ma la comunità semplice non è un obiettivo vitale. Anche se lo potessimo, che senso avrebbe il ritorno ad un forma di vita già dimostratasi irrimediabilmente vulnerabile alla malattia che ora ci affligge? È necessario trovare un'alternativa alla vita di villaggio, di quelle che contengano anticorpi al narcisismo. Ciò che diede alla comunità semplice tanto la sua gioia, quanto la sua debolezza fu il suo idioma peculiare. Un'alternativa vitale deve provvedere alla comunicazione globale, per quanto peculiare nello spirito possa desiderare di essere. La comunicazione è l'unica area di cui sembra ancora ragionevole parlare con un qualche entusiasmo riguardo alla crescita. Questa crescita, però, non è del tipo ricercato dai tecnocrati. Finora, l'enfasi della tecnologia della comunicazione è stata ampiamente quella di «soggiogare la distanza», che costituisce la solita vecchia impresa narcisistica. La crescita della comunicazione sarà apprezzabile soltanto nei limiti in cui risulterà un incremento relazionale, più che un incremento strumentale. Per quanto concerne la crescita relazionale non abbiamo bisogno di aggiungere nulla, abbiamo soltanto bisogno di connettere meglio. Per esempio, una delle risposte abituali ad una crisi è un'acuta amplificazione della comunicazione. Il numero delle persone rimane costante, così come il numero di canali di comunicazione disponibili e il quantitativo di strumenti. Quella che viene drammaticamente accresciuta è l'utilizzazione dei canali disponibili. Ciò si effettua più efficientemente attraverso persone che si radunano, ma può anche implicare un incremento delle persone che si pongono in contatto diretto o per telefono. Questa, come risposta, è assai adeguata, ma il suo significato viene spesso male interpretato. La nostra visione meccanica del mondo ci induce ad esagerare il volume con cui questa comunicazione viene diretta alla ricerca di una «soluzione» della crisi. In comunità coerenti, invece, la comunicazione viene massicciamente diretta alla ricerca del come ognuno senta la crisi, del come essa influisca sulla rete totale di rapporti e del come la comunità possa affrontarla con il minor danno per la rete stessa. Altrimenti, invece di precipitarsi nella strada, di fare molte telefonate o di indire riunioni, potrebbe essere sufficiente chiamare la persona o le persone più capaci a trattare l'evento estemo. Nelle comunità moderne si è sempre più indotti a fare cosi. Si chiamano la polizia, o i vigili del fuoco, o l'ambulanza o la Croce Rossa, ma è impossibile parlare al vicino. Nel caso più estremo, la gente può perfino nascondersi e non rispondere, però questo è l'indice di totale collasso sociale. In genere, anche negli ambienti urbani, la chiamata dell'esperto della crisi è accompagnato da un certo raggrupparsi di persone. Nelle comunità vitali, l'intensificazione della comunicazione indotta dalla crisi ha lo scopo di esplorare i potenziali cambiamenti relazionali posti dalla crisi stessa. Invece, le interrelazioni delle burocrazie sono meccanicamente definite e non si modificano mai. Ecco perché sono così ponderose e così monumentalmente inefficaci in rapporto al numero di ore umane in esse investite. Il linguaggio delle burocrazie è digitale: esse possono trattare con competenza una quantità infinita di eventi distinti attraverso la selezione e la classificazione, ma, quasi per definizione, non dispongono di alcun meccanismo per trattare i rapporti fra tali eventi e, di conseguenza, crollano ogni volta che vengono chiamate a farlo. Quando, alla fine, sono costretti ad affrontare una crisi grave, gli uomini delle burocrazie licenziano caratteristicamente e totalmente la struttura burocratica per rivolgersi ad un modo d'organizzazione ad hoc, informale. Molte persone effettuano una triplice distinzione fra vivacità mentale, conoscenza e saggezza o comprensione. La prima riguarda la rapidità con cui possono essere assimilati bits di dati, la seconda il numero di bits già assimilati, mentre la terza si riferisce alla capacità di apprezzare interrelazioni complesse. La prima è sempre stata dominio dei giovani, mentre la seconda e la terza sono state tradizionalmente riservate ai vecchi. Inrisposta all'esplosione dell'informazione, la sfera della conoscenza è stata adesso riassegnata ai giovani, però anche la saggezza non viene già più attribuita ai vecchi. Dacché il vecchio ne sa così poco dei nuovi bits di dati, si presume che non sia in grado di trattare troppo bene le loro interrelazioni, anche se, in effetti, la comprensione dei rapporti trascenda il contenuto dei rapporti stessi, per cui il vecchio dispone di un fondo integro di saggezza che viene sciupato. Il vecchio è giustamente indignato dell'elevazione della gioventù ad un rango più alto. Il giovane è più che mai ignorante circa questioni relazionali, per cui deve risultare profondamente irritante ascoltare di cerimoniali di riconoscimento per meriti speciali offerti a gente che sta reinventando in continuazione la ruota. Eppure, nello stesso tempo, il vecchio deve biasimare soltanto sé stesso per tutto ciò, in quanto ha abdicato al proprio regno per invadere domini meccanici ai quali non ha alcun contributo particolare da offrire. Se avesse sostenuto il proprio interesse per le questioni relazionali, avrebbe potuto conservare il suo diritto di nascita. Adesso esistono «esperti» anche nelle aree relazionali, ai quali si rivolgono coloro che cercano la saggezza, a loro eterno malcontento. Malgrado ciò, un esperto non può possedere, per definizione, la saggezza, dacché dispone solamente dell'informazione accumulata all'interno di un singolo compartimento. Non ne sa niente di relazioni, di quel «più vasto sistema interattivo... che, se importunato, genererà, probabilmente, curve esponenziali di cambiamento » (Bateson), per cui può soltanto offrire, come sostituto, le fatuità del suo campo. Un'alternativa non cancerosa e, pure, resistente alle influenze cancerose esterne, valida per la vita di villaggio, dovrebbe porre l'enfasi su quel tipo di pensiero relazionale e di linguaggio relazionale che è totalmente estraneo alla maggioranza degli Occidentali. Dovremmo incominciare a pensare in termini di reti e di immagini, piuttosto che di caselle numerate.

Facciamo due esempi:
a) Quando diventiamo consapevoli che un muscolo è teso, tentiamo di rilassarlo. Seguendo il pensiero medico occidentale, ci accostiamo al corpo un segmento alla volta, immaginando che si otterrà il benessere quando avremo raggiunto e rilassato ogni muscolo. Lo scampo dalla rigidità del nervo teso viene cercato attraverso il collasso in uno stato di flaccidità da cadavere. Però, il costringerci ad una totale sottomissione alla gravita non è, necessariamente, fonte di benessere. Ci sentiamo bene non quando ogni muscolo è flaccido, ma quando esiste una distribuzione equilibrata dell'energia per tutto l'organismo. La tensione non è dovuta al fatto che sia una sola parte a funzionare male, ma a cattiva distribuzione del flusso energetico. Un muscolo teso in una parte del corpo significa, di solito, che altri muscoli assai vicini sono fiacchi ed inutilizzati, per cui quello teso svolge anche il lavoro degli altri. È assai probabile che il sollievo possa derivare tanto dall'attivazione delle aree inerti, quanto dal tentativo di immobilizzare quelle eccessivamente utilizzate.
b) La scienza politica è lo studio dei molteplici cattivi sostituti dei rapporti organici. Di necessità, tutti partono dalla premessa della mancanza di adeguata comunicazione interpersonale. Ma, per esempio, che cosa potrebbe mai avere meno senso di un voto, di una risposta binaria esaminata a prescindere dal ruolo di colui che risponde, o dai rapporti di colui che risponde con tutti gli altri coloro che rispondono? È come chiedere a tutte le cellule di un'unghia di decidere individualmente se sono favorevoli o contrarie ai corpuscoli rossi. Malgrado ciò il voto è, per supposizione, il fondamento del nostro sistema politico; siamo, invero, fortunati che la realtà della politica sia tanto estranea quanto lo è da questo tipo di cose. Si possono contare e classificare cellule per l'eternità e non avere ancora un organismo. E' il rapporto fra unità che determina il loro significato, non le unità stesse. Una volta, una giovane segretaria percettiva di un dipartimento universitario osservò come l' 80% del suo lavoro non fosse necessario, per cui avrebbe potuto essere eliminato se vi fosse stata un po' di fiducia nella comunità accademica. Lo stesso vale per il tipo di decisioni che i comitati prendono e riprendono. Dacché nessuno è troppo intensamente connesso con gli altri, i problemi debbono essere trattati in termini di politica e di precedente. Sempre si levano voci zelanti che raccomandano la doverosità di fissare i precedenti, però, qualche mese dopo, è difficile che qualcuno si ricordi perché avesse mai desiderato ciò che aveva decretato con tanta fatica. Per anni, tuttavia, le organizzazioni campano su procedure stabilite come adattamento all'eccentricità, o alle capacità, o alle incompetenze di una singola persona già da tempo dipartita. La verità è che ci vorrebbe meno tempo e sarebbe di gran lunga più divertente se le decisioni fossero trattate francamente in termini di bisogni personali e di rapporti interpersonali, anziché far finta che siano coinvolti soltanto principi astratti. Le istituzioni sono come alberi. La parte verde vivente è costituita dai rapporti fra persone. Quando questi diventano abituali, lasciano un morto deposito sotto forma di strutture e procedure. Simile al tronco dell'albero, il morto deposito cresce continuamente in ampiezza, mentre la materia vivente si stringe all'esterno di esso. È assai più facile da comprendere il tessuto morto del tronco che non il tessuto vivente della corteccia, e può essere assai più facilmente trattato in termini quantitativi. È facile, invece, perdere di vista dove è situata la vita, in quanto l'albero appare molto imponente anche dopo essere morto totalmente. La riconnessione è questione di rimanere parte della corteccia invece di fingere di essere un grosso pezzo di cellulosa, di ricordare che lo splendido isolamento dell'ego umano è una fantasia schizoide. I popoli primitivi sanno che siamo l'uno parte dell'altro, così come del nostro ambiente. Il cacciatore primitivo chiede perdono agli animali che uccide perché riconosce la loro comune immersione nel tutto ecologico. Il cacciatore può, sì, errare nel comportarsi come se il suo atto di cortesia potesse influenzare la popolazione animale, però non commetterebbe mai l'errore di comportarsi come se non esistesse alcun rapporto.

Distinzioni

Ho parlato di riconnessione, di rispondenza alle sensazioni interne, di costituire un buon terminale nervoso sociale, di riacquistare la primitiva consapevolezza. Tali osservazioni sono soggette a massicce interpretazioni erronee, in quanto suscitano associazioni con quelle categorie tanto familiari quanto inutili, tramite le quali, d'abitudine, definiamo la nostra esperienza. A prescindere da tutte le spiegazioni che possano essere fornite, un riflesso del genere sarà irresistibile per gli accademici; tuttavia vorrei offrire alcune parole di chiarimento e di differenziazione a chi è interessato soltanto alle idee e ai modi difficili di percepire, vorrei specificare quello che armonizzazione e rispondenza non sono. Esse non implicano passività o fatalismo. Una risposta organica è una risposta. Per esempio, per i gruppi oppressi, essa può benissimo essere l'azione sociale o politica del tipo solito: organizzazione della comunità, boicottaggio, dimostrazioni, e così via. Queste azioni possono essere effettuate a vari livelli di armonizzazione, in quanto, tanto per ripeterci, è meno un problema di "che cosa" che di "come". Per esempio, quanto più la comunicazione si verifica esclusivamente fra coloro che già la pensano in modo simile, tanto meno essa va considerata una forza per la salute. Un'attività fatta procedere in modo meccanico e non rispondente può essere tanto paralizzante quanto la passività. Il confronto ha quasi sempre valore, ma il miglior confronto è quello bilaterale. Per esempio, il teatro guerrilla è, in genere, una comunicazione ad una via quanto una lettura, per cui, conseguentemente, è circa altrettanto efficace. I confronti che hanno successo sono, di solito, interattivi e, talvolta, violentemente tali. Spesso gli Americani provano un certo disagio se non si impegnano in un'attività frenetica, preferibilmente di tipo scomodo e faticoso, che sia presagio di vittoria sulla loro inerzia interiore. Ma, in dati momenti, ognuno si sente più attivo e fiducioso degli altri, per cui non c'è un particolare valore nel lottare futilmente; uno scoraggiamento di cui abitualmente ci si occupi dura generalmente meno di uno di cui non ci si occupi. D'altro canto, nulla accresce la sensazione di impotenza e di disperazione più della rabbia che non trova un qualsiasi modo d'espressione. Camminare su questa corda tesa richiede grande sensibilità. Non sono sinonimi di «spontaneità». Questa è una distinzione particolarmente difficile da farsi, dacché ho posto tanta enfasi sulle condizioni sentimentali interiori. Ho avanzato l'ipotesi di come, in genere, il proprio stato emotivo sia un valido indice del funzionamento del sistema di cui si è partecipi. Ho poi dimostrato come si abbia l'obbligo - se non il dovere - di esprimere, in un modo o nell'altro, questo stato emotivo, affinchè il sistema possa funzionare in maniera sana, in quanto nessun sistema può operare in maniera umana senza adeguato feedback. Ma ciò non implica, forse, un certo tipo di dispotismo viscerale? Che, cioè, tutto quanto io sento sia reale, valido, importante e che si debba agire conformemente? Si potrebbe fare un esempio di tale pura impulsività da una prospettiva societaria. Malauguratamente, come ben sappiamo, essa, in definitiva, è fatale per l'organismo individuale, per cui costituisce una specie di approccio kamikaze al benessere ecologico. Oltre a ciò, siccome tutti i sistemi sociali sono strutturati per limitare, entro certi limiti, il feedback, una risposta impulsiva non messa a fuoco, anche se disastrosa per l'individuo, può non venire registrata dal sistema. Anche un bambino ferito ha senno sufficiente da non sciupare le proprie lacrime in uno spazio vuoto, ma corre alla ricerca di un genitore prima di scaricare la propria infelicità. Una limitazione più grave alla spontaneità risiede nel fatto che i nostri visceri sono assai gravemente corrotti dall'apprendimento culturale, per cui non ci si può fidare troppo di essi come di un valido indice del nostro stato emotivo, e ancor meno di quello del sistema. Tutti i sentimenti sono stati drogati, per cui tendono ad esprimersi attraverso canali indiretti. Per alcuni, il canale della rabbia è compresso, per cui, quando sono in collera, tendono a sentirsi tristi. Per altri, i canali lacrimali sono bloccati, per cui tendono ad infuriarsi quando vengono lesi o sono tristi. Altri soffrono di mal di testa o di dolori di stomaco, e così via. L'angoscia, in genere, è, sì, un indice valido che il sistema sta nuocendo ed è nocivo, però non bisogna ricercare una grande specificità. Può essere vero, come sostengono le terapie anti-psicanalitiche, che nessuno conosce la verità della psiche altrui, ma è anche vero, come sostengono gli psicanalisti, che nessuno conosce la verità circa sé stesso. È pura pomposità immaginare che l'espressione dei nostri impulsi abbia una qualche validità emotiva maggiore di quella dei nostri prossimi più stretti. L'accesso ai nostri stessi sentimenti risulta spurio in assenza di accesso a quelli altrui. Nella nostra cultura, la «spontaneità» tende ancora ad essere imbibita di obiettivi narcisistici. C'è ancora molta malvagità nel nostro gioco, molta affettazione, molta ricerca di ammirazione e di status particolare. L'ideologia della libera espressione viene spesso utilizzata per santificare la ricerca indiscriminata di riconoscimento, che è il modo peggiore di conciliare i piaceri del mondo con la salute spirituale a favore dell'uditorio, che deve rassegnarsi al narcisismo dell'artista o dell'attore senza ottenere nulla in cambio. Come l'ha messa un mio amico, in risposta alle effusioni artistiche di studenti universitari: «Tutti quanti desiderano che i loro stronzi vengano immortalati nel bronzo». Non vengono necessariamente raggiunte attraverso lo sviluppo personale. Dacché nella cultura occidentale la socializzazione rende pericoloso fidarsi con troppa specificità dei propri impulsi, potrebbe apparire logico dedicare i propri sforzi alla cura di sé, alla padronanza di sé, all'illuminazione, allo sviluppo spirituale, alla crescita personale, o a che dir si voglia. Questa posizione implica che, qualora si acquisisca l'armonia personale, l'armonia con la natura seguirà automaticamente, il che è un po' come dire che la maniera migliore per cementare l'amicizia con un uomo è di andare a letto con sua moglie. Ovviamente, può darsi, ma potrebbe anche non darsi. Essere in armonia con qualcuno non è lo stesso che avere una totale identità con lui. La mia esperienza circa coloro che hanno cercato energicamente e con un certo successo l'armonia interna, è che si sono semplicemente distaccati, che questo fosse, o meno, l'obiettivo esplicito. E, quantunque essi si sentano spesso in armonia con chi li circonda, ciò, in genere, è illusorio e non contraccambiato. La loro sensazione di trovarsi in armonia è puramente quella di recarsi come pietre a vedere un bei film — si è altamente sensibili a, elogiativi di, identificati con gli altri, ma disimpegnati da essi — osservando e sperimentando ma non interagendo. Ciò non significa che uno stato del genere non possa portare all'armonia poiché, talvolta, lo fa. Ma non è la stessa cosa dell'armonizzazione, che richiede un passo ulteriore, un centro d'attenzione esterno. E, siccome la scelta del rivolgersi all'intemo non è casuale, questo passo viene raramente compiuto. Diventare interiormente armoniosi significa disarmonizzarsi col proprio passato e con l'ambiente culturale, in quanto questi sono quelli che, in primo luogo, hanno creato la disarmonia. Non è possibile diventare veramente armoniosi — dentro e fuori — in un modo discordante. Si puòsoltanto cercare una maggiore armonia simultaneamente all'interno e all'estemo. Una frequente illusione relativa a questo tipo di tentativo è che quella parte di sé che cerca l'armonia interna sia propria, mentre tutta la disarmonia sia qualche cosa di imposto dall'esterno. Analogamente, gli Americani, nel tentativo di sopraffare le loro difficoltà di personalità, tendono ad essere deterministi circa i loro problemi, considerandoli inculcati dai genitori e dalla cultura. Ciò nonostante, essi si immaginano che le loro forze - quelle per mezzo delle quali lottano per sopraffare questi problemi - scaturiscano in piena fioritura dalla loro volontà, come Atena dalla testa di Zeus. Ma, se i problemi vengono dai genitori e dalla società, lo stesso vale per la capacità di superarli. E se è il sé ad essere integrato e sopraffacente, è anche il sé a dover essere integrato e sopraffatto; se, cioè, i problemi sono manifestazioni della società, altrettanto è il sé che integra e cura. Siamo parte di tutto ciò che sperimentiamo, per quanto ripugnante possa sembrare e, senza un centro d'attenzione esterno, tutto è illusione. Non implicano ortodossia. Il sottolineare l'importanza della riconnessione viene talvolta interpretato come patrocinio di un certo tipo di ortodossia o di «convenienza», anche se, in effetti, esiga esattamente l'opposto. Evitare una connettività cibernetica con l'ambiente, presentando al mondo un falso sé convenzionale è strategia schizoide. «Convenienza», inoltre, è concezione meccanica, adeguata a blocchi di materia inanimata. Essa pone il presupposto assurdo che, fra due organismi, sia possibile un adattamento ad una via: idee, queste, che soltanto una cultura individualistica può inventare. Ciò nonostante, alla base, ortodossia ed egoismo assommano alla stessa cosa: ad un'incapacità, cioè, di essere pienamente presenti ed emotivamente impegnati con un'altra persona. L'armonizzazione esige che noi abbandoniamo la nostra tendenza automatica a sopprimere o a ignorare le nostre relazioni viscerali alle condizioni ambientali. Inquantoché, ignorare l'ambiente esistente, mancare di rispondergli, o trincerarsi contro di esso, significa conservarlo. «Fatti le cose tue» generalmente si rivela essere un processo meccanicistico di rispondere dall'interno ai messaggi osservabili e di ignorare il feedback esterno. Restaurare la connettività significa reagire, protestare quando si è lesi, esprimere piacere quando si ha piacere. Le istituzioni che, oggi, tolleriamo, sono opprimenti perché soffrono di una deficienza di feedback. Per questo, non sono prive di biasimo, ovviamente, dacché isolano, quanto più possibile, sé stesse dal feedback. Tuttavia, abbiamo bisogno di sconfiggere la nostra erudita deferenza per le proiezioni inumane e non rispondenti dei nostri ego meccanici - burocrazia, macchine, strutture, status e gradi - per trasferire questa reverenza e questa considerazione agli esseri umani e alle altre cose viventi. Talvolta, gli umani agiscono come agenti di sistemi meccanici — presentandosi come pure estensioni di un'organizzazione o di una professione, e subordinando sé stessi al loro status, alla posizione, o a qualche simbolo di acquisita mediocrità — M.D. o Ph.D. Nel grado in cui agiscono in questo modo, hanno rinunciato alla propria umanità e non possono pretendere di essere trattati come esseri umani. Da qui, si attiva un ciclo di rappresaglia; nella loro «competenza ufficiale» essi agiscono in modo inumano, però, se rendiamo pan per focaccia, essi percepiscono questa lesione, entro certi limiti, come esseri umani, per diventare sia più ufficiali (per proteggersi) sia più inumani (per vendicarsi). Ciò è deplorevole, ma non tanto da dare un indirizzo sbagliato alla nostra partecipazione ai sentimenti altrui. Siamo soltanto obbligati a consentire a tali persone un attimo per rivelare se sceglieranno di essere umane o ufficiali. Nel momento stesso in cui scelgono quest'ultima soluzione, la loro pretesa che vengano presi in considerazione i loro sentimenti umani deve essere respinta, dacché hanno optato al di fuori del circuitismo umano. Se si desidera tentare una trasformazione - tentare, cioè, di raggiungere la loro umanità passando attraverso lo schermo della loro auto-obliterazione - questa è un'impresa altamente desiderabile, per quanto ambiziosa e irta di rischi emotivi. In tal caso, è importante conservare una chiara consapevolezza che il rispetto e la considerazione sono diretti alla persona, non alla struttura. L'unico indice valido dell'accuratezza del tentativo è il grado in cui esso distacca la persona dalla struttura. Le persone difendono il comportamento ufficiale in termini di necessità di «adempiere al loro compito». Per dimostrare la vuotaggine di questa affermazione è soltanto necessario chiedere, nel modo più ampio possibile, in che cosa consista il loro «compito». Forse, è salutare l'arroganza medica? O, forse, le pidocchiosità accademiche inculcano la saggezza? Protegge le persone, forse, la brutalità poliziesca? O, forse, le procedure ospedaliere nutrono il malato? Facilitano, forse, la comunicazione le procedure dell'azienda telefonica?
Si potrebbe facilmente dedicare la propria vita a tali confronti e ne risulterebbe un modo di vivere giocondo: io, di certo, non desidero patrocinare di avventurarsi, pressoché inermi, in un campo di battaglia. Malgrado ciò, è importante essere consapevoli che ogni atto di autorelegamento in rapporto ad una struttura inumana costituisce feedback positivo per la struttura stessa, un voto di fiducia. Le nostre definizioni di «responsabilità» hanno sempre posto un'enfasi massiccia sull'autocontrollo, ma l'«abilità di rispondere» significa rispondenza o null'altro. Ovviamente, centrarsi soltanto sui propri visceri non è armonizzarsi. Giammai adattarsi è tanto meccanico quanto adattarsi di continuo. Sento il bisogno di sottolineare l'importanza della separazione e della protesta in relazione alle strutture meccaniche, perché siamo troppo servili ad esse. La gente istruita ha imparato a dire «ammalato» al posto di «perverso», quando affronta stili individuali di vita e schemi di comportamento, pur accettando routinariamente, con completa equanimità, le più bizzarre istituzioni. Ciò, in parte, è dovuto all'incapacità di scorgere la patologia in colui che è potente o che ha successo; l'acquisizione di uno status elevato è ipsofacto considerata, da psichiatri, psicologi e operatori sociali, come criterio di salute mentale («quello funziona bene»), mentre la mancanza di interesse per l'auto-esagerazione è «debolezza dell'io». I leaders nazionali, nelle loro funzioni ufficiali, esibiscono, a volte, un comportamento da considerarsi francamente psicotico in persone meno preminenti, senza suscitare un mormorio di allarme. Ma l'incapacità a considerare patologiche le istituzioni aumenta di gran lunga la cieca accettazione dei loro rappresentanti. E non solo accettiamo come normali istituzioni deformate e brutali, ma riteniamo, altresì, di utilizzare psichiatri e psicologi per convincere persone perfettamente sane ad adattarsi ad esse. Malgrado ciò, l'inculcamento di atteggiamenti sado-masochistici nei campi d'addestramento militari, di atteggiamenti fascisti nelle scuole superiori e di femminile odio di sé nel matrimonio è psichicamente più storpiante per chi ha ottenuto il successo attraverso questi schemi, che per chi non l'ha ottenuto.
È necessaria una cautela finale. Se cessiamo di ingraziarci le nostre estensioni meccaniche, questo dovrebbe costituire un fine di per sé, non un modo per criticare noi stessi. Gli Americani tendono ad afferrare ogni occasione per dimostrare la loro unicità e specialità, ma, se questo è il movente, l'impresa diventa più dannosa che inutile: essa foraggia attivamente la malattia. Dacché siamo tutti unici ad iniziare qualche cosa, lo sforzo per renderci utili è sospetto. Esso tenta di denegare una verità che gli Americani trovano particolarmente dura da digerire: la nostra differenziazione non è un'acquisizione personale, ma una funzione della nostra partecipazione ad una più ampia entità. La diversità è creata dai gruppi; gli individui potrebbero arrivare egualmente allo stesso punto senza alcun sistema umano di supporto, dacché sarebbero, allora, programmati da un circuitismo interno che è più o meno uniforme. La connettività comporta il riconoscimento che l'unicità è un prodotto collettivo.

NOTE

pag. I., Alexander Lowen, Betrayal of the Body (Collier Books, 1969), p. 231

II., par. 2 Lowen, Betrayal, p. 116.

V., par. 2 Gregory Bateson, Steps to an Ecology of Mind (Ballantine Books, 1972); Norman O. Brown, Life Against Death (Vintage,1959); David Bakan, The Duality of Human Existence (Beacon, 1966); William Irwin Thompson, Al the Edge of History (Harper,1972).

2.. Di questa parabola sono debitore a Bruno Beretta.

3.. Bateson, Steps, p. 18.

4.. Norman O. Brown, Love's Body (Randon House, 1966), p. 147.

6., par. 2 Grace Stuart, Narcissus (Macmillan, 1955), p. 45.

9.. par. 3 Ross V. Speck and Carolyn L. Attneave, Family Networks (Pantheon, 1973).

10.. Kiyo Morimoto, «On Trying to Understand the Frustrations of Students » (Harvard University Bureau of Study Counsel, 1972). Riguardo alla scelta, ho anche appreso da discussioni con Fatima Mernissi.

11.. par. 2 Brown, Love's Body. p. 184.

13., par. 2 Norbert Wiener, The Human Use of Human Beings (Avon, 1967), pp. 129-41. par. 3 Alvin Toffler, Future Shock (Bantam, 1970), pp. 197-215.

15.. par. 2 Weston La Barre, The Human Animal (University of Chicago Press, 1954), p. 258. par. 3 Sigmund Freud, « The "Uncanny," » in Collected Papers, Vol. IV (Hogarth, 1953), pp. 368-407.

16.. par. 2 Henri Bergson, Laughter, An Essay on the Meaning of the Comic (Macmillan, 1911), pp. 8 ff-, 37 ff.

17-18., Fatima Mernissi

20., par. 4 Toffler, Future Shock, pp. 359-64, 428-31, 449-52.

22., par. 2 Bateson, Steps, p. 433. Quanto viene qui detto riguardo alla medicina si applica altrettanto bene al nostro approccio ai disturbi sociali. Al posto di parte malfunzionante, si legga «partito o partitiresponsabili», al posto di germi si legga «agitatori esterni».

24., par. 2 René Dubos, Mirage of Heallh (Harper, 1959), pp. 1-52, 68-72, 80-108.Man, Medicine, and Environment (Mentor, 1969), pp. 88-94, 106 ff.; Toffler, Future Shock, pp. 325-42.
par. 4 Irving K. Zola, « Medicine as an Institution of Social Control,» The Sociological Review, 20 (November 1972), pp. 487-504; K. White, et al., « International Comparisons of Medical Care Utilization, » New England Journal of Medicine, 277 (1967), pp. 516-22.

27. Sandra Levinson and Carol Brightman, Venceremos Brigade (Simon and Schuster, 1971), pp. 166-67.

29. Plato, Phaedo, 67; Lowen Betrayal, p. 213; K. Krostofferson and F. Foster, Me and Bobby McGee.

30.. par. 3 Donella H. Meadows, et al., The Limits To Growth (Signet, 1972). . par. 4 La maggior parte di queste cifre di incremento sono tratte da Toffler, Future Shock, pp. 9-35. par. 4 Per l'attività animale, vedi Ashley Montagne, Touching (Columbia University Press, 1971), pp. 15-25.

31.. par. 1 Dubos, Man, Medicine, p. 97; David Bakan, Disease, Pain and Sacrifice (University of Chicago Press, 1967), pp. 19-31. par. 3 Bakan, Ibid., p. 36.

32.. par. 2 Toffler, Future Shock, pp. 35, 403, 428-29, 458, 460, 468. par. 3., Leon J. Yarrow, « Separation from Parents During Early Childhood,» in Martin L. Hoffman and Lois Wladis Hoffman (eds.) Review of Child Development Research, Voi. I (Russell Sage Foundation, 1964), pp. 89-136; Gerald Caplan, Mental Aspects of Social Work in Public Health (School of Social Welfare, University of Califomia, Berkeley, 1955), pp. 123-33. Per la schizofrenia, vedi Bateson, Steps, pp. 201-27; R. D. Laing, The Politics of the Family (Pantheon, 1971); R. D. Laing and A. Esterson, Sanity, Madness and the Family: Families of Schizophrenics (Basic Books, 1970); Theodore Lidz, et al., Schizophrenia and the Family (International Universities Press, 1965).

33-34. I lettori si accorgeranno che sto trattando il problema dell'universalismo contrapposto al particolarismo in maniera brutalmente ipersemplificata. Cfr. Talcott Parsons, The Social System (Free Press, 1951); Max Weber, The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism (Allen and Unwin, 1930). Per le limitazioni dell'autoritarismo, vedi Warren Bennis e Philip Slater, The Temporary Society (Harper, 1968), Capp. 1 e 3.

36. par. 1 Marshall McLuhan, Understanding Media (McGraw-Hill, 1964). par. 6 R.D. Laing, The Divided Self (Pelican, 1965), pp. 80 ff., 139 ff.

37-38 Ibid., p. 162.

38. par. 2 (*) Cat's Cradie = gioco in cui uno spago annodato a mo'di cerchio secondo un modello di culla fra le dita delle mani di una persona viene trasferito nelle mani di un'altra in modo da formare una figura differente (N.d.T.).

38-39. Philip Slater, The Glory of Hera (Beacon, 1968), Cap. 2; par. 2.; Bruno Bettelheim, Symbolic Wounds (Thames and Hudson, 1955).

39.. par. 1 C.S. Lewis, That Hideous Strength (Macmillan, 1965), p. 46.

40-41. La Barre, Human Animal, pp. 258-59, 268.

41-42. Ibid., pp. 240 ff., 246, 260.

41-42. Questa affermazione circa le finzioni sociali è una parafrasi del famoso detto di W.I. Thomas circa le situazioni definite reali, essendo reali nelle loro conseguenze. Vedi W.I. Thomas e D.S. Thomas, The Child in America (Knopf, 1928), p. 572.

42., par. 2 La Barre, op. cit., pp. 267-68.

42-43. Bateson, Steps, p. 434.

45.. par. 4 Erich Fromm, Man for Hinself (Rinehart, 1947); David Riesman, The Lonely Crowd (Anchor, 1950), and Individualism Reconsidered (Free Press, 1964); William H. Whyte, Jr., The Organization Man (Simon and Schuster, 1956); George Orwell, 1984 (Signet, 1961); Lorenz, King Solomon's Ring, pp. 59-61.

46.. par. 2 Fritz Peris, Gestalt Therapy Verbatim (Real People Press, 1969), p. 154. La preghiera Gestalt (p. 4) implica lo stesso scenario solitario-ma-coraggioso che è sempre stato popolare nelle culture protestanti, per cui può essere considerata una versione moderna della fermezza di carattere. Essa mima il tradizionale addestramento all'indipendenza americana WASP, e serve come socializzazione differita per persone con genitori possessivi e iperprotettivi.

47.. par. 2 Marcia Millman, « Nightmare or Paradise? » Social Change (in press); Ray Bradbury, Fahrenheit 451 (Ballantine, 1966); Aldous Huxiey, Brave New Worìd (Bantam, 1966); George Orwell, 1984 (Signet, 1961); Eugene Zamiatin, We (Dutton, 1952).

48.. par. 4 Cf., e.g.. The Performance Group, Dionysus in 69, ed. by Richard Schechner (Farrar, Straus, & Giroux, 1970).

49.. par. 1 Bakan, Duality p. 89.

50.. par. 1 Lowen, Betrayal, pp. 38-42. par. 2 Ibid., pp. 42-43.

51.. par. 2 Freud, Civilization and Its Discontents (Norton, 1961), p. 62, Lowen, op. cit., p, 257. par. 3Ibid., p. 258.

53.. par. 2 Laing, Divided Sey, p. 80. par. 3 Ibid., pp. 80, 86, 95.

54.. par. 1 Bakan, op. cit., p. 89. par. 2 Laing, op. cit., p. 151. par. 3 Ibid., pp. 142-43. par. 4 Ibid.,pp. 144-45, 151, 158.

59. Lao Tzu, Tao Te Ching, trans, by D.C. Lau (Penguin, 1963), Book One, XIX; Idries Shah, Wisdom of the Idiots (Octagon, 1969), p. 13.

59-60. Wiener, Human Use, p. 31.

60.. par. 3 II mio libro Microcosm (Wiley, 1966) è una elaborata descrizione di questo processo.

62., par. 3 La Barre, Human Animal, p. 246.

63-64. Sui ruoli umani, vedi Bennis and Slater, Temporary Society, pp. 79-87.

66.. par. 2 Toffler, Future Shock, p. 99.

67.. par. 3 William N. Stephens, The Family in Cross-Cultural Perspective (Holt, Rinehart and Winston, 1963), pp. 325-39. par. 4 Bennis and Slater, Temporary Society, Capp. 1-3.

69., par. 2 Sigmund Freud, Totem and Taboo (Norton, 1950).

69-70 Stephens, Family, pp. 338-39; G. Rattray Taylor, Sex in History (Ballantine, 1954); Philip Slater, «Culture, Sexuality, and Nareissism», Social Change (in press).

70. par. 2 Weber, Protestant Ethic, pp. 121, 153-54. par. 4 Philippe Ariès, Centuries of Childhood (Knopf, 1962), pp. 71-72.

73. par. 2 Soprattutto Emile Durkheim, The Division of Labor in Society (Free Press, 1933).

75-76 Slater, Glory of Hera, passim.

76. par. 3 H.R. Hays, The Dangerous Sex (Putnam, 1964), pp. 17-21.

76-77 Bennis and Slater, Temporary Society, Capp. 1 e 2.

78. par. 2 Slater, Glory of Hera, Cap. 1. par. 4 Bateson, Steps, pp. 309-37.

79. par. 2 Vedi per esempio. Alice Ryersob, «Medical Advice on Childrearing Practices: 1550-1900. » Unpublished doctoral dissertation, Harvard University Graduate School on Education, 1960; Montagne, Touching, pp. 122-26. par.3 Ibid.,pp.l31-37.

79-80. Ibid.,pp. 126-31.

82., par. 3 David Riesman, Individualism Reconsidered, pp. 99-120.

82-83. Richard Bach, Jonathan Livingston Seagull (Avon, 1970). Citazioni dalle pp. 27, 29, 30, 41, 57, 58, 60, 61, 64, 65, 86, 88, 106, 112, 114, 120-21; Gary Shaw, Meat on the Hoof (St. Martin's Press, 1972); Philip Roth, Our Gang (Bantam, 1971).

84.. par. 1 Dori Appel Slater fa notare come nella controcultura l'esigenza di dominanza interiore abbia ampiamente sostituito la varietà mondana.

85.. par. 3 Wilhelm Reich, Character-Analysis (Noonday Press, 1962), pp. 248 ff.

86.. par. 1 Montagne, Ibid., p. 82. par. 3 Reich, Ibid.

88., par. 2 Theodore Rosebury, Life on Man (Viking, 1969). Debbo questa osservazione a Jacqueline Doyle.

88., par 1 Lao Tzu, Tao Te Ching, Book One, XIII; Sophocles, Oedipus the King, trans, by David Grene (University of Chicago Press, 1959), 1074-80.

93. Questa trattazione della famiglia come sistema di classe descrive una norma. Ovviamente, c'è una notevole variazione di comportamento concreto fra gruppo e gruppo, nonché da famiglia a famiglia. Il sistema familiare della classe media americana è più «democratico» di qualsiasi tipo europeo, cosi come la sua classe sociale è meno formale. Tuttavia, le strutture sono identiche in entrambi i casi.

94. par. 2 Apollodorus, III, 5, 8. Vedi anche la nota a pag. 347 della Loeb Library Edition.

97. par. 3 Sophocles, Oed. Tyr. 460-65.

97-98. Ibid., 103-32.

99. par. 1 Si confronti la canzone antiedipica di Stephen Stills di una generazione successiva: «Se non puoi essere con l'unico tuo amore, ama colei con cui ti trovi». La musica contemporanea popolare rivela un deciso declino del romanticismo edipico. Anche quando vengono ritratti i rapporti fra giovanotti e donne più anziane le persone implicate sono reali anziché idealizzate — piene di grinze, guai e brutte facezie, unitamente alle loro più simpatiche qualità.

100. par. 2 Toffler, Future Shock, pp. 117-18. Troll ecc. par. 3 (*) Troll = Gnomo o gigante leggendario del folklore scandinavo, abitante nelle caverne o nelle montagne (N.d.T). par. 4. David McClelland, The Achieving Society (Van Nostrand, 1961), pp. 342, 345, 404-6. Uno studio russo da me non ancora visto
prova significativamente che i padri dei «grandi uomini» sono più anziani della media. Se è vero, ciò dovrebbe ovviamente addirsi all'interpretazione qui avanzata. Il conflitto edipico di Freud fu profondamente influenzato dall'età paterna.

102. par. 2 Alexander Lowen, Pleasure (Lancer, 1970), p. 85. Lo stampatello è mio.

103. Per una più completa trattazione di questo principio, vedi «Prolegomena to a Psychoanalytic Theory of Aging and Death», in R. Kastenbaum (ed.), New Thoughts on Old Age (Springer, 1964), pp. 19-40.

105. par. 2 Riesman, Lonely Crowd, pp. 31 ff. par. 5 John Cuber and Peggy Harroff, Sex and the Significant
Americans (Pelican, 1965), pp. 172-75, 180.

106. par. 2 Ibid., p. 180.

111. par. 1 Bateson, Steps, p. 300. par. 4 McClelland, Ibid., p. 405; Slater, Glory of Hem.

112-113. Vivian Gornick, «The Next Great Moment in History Is Theirs, » The Village Voice, November 27, 1969; Matina Homer, «Toward an Understanding of Achievement-Related Conflicts in Women», Journal of Social Issues, 28, 1972, pp. 157-75.

113-114. Montagne, Touching, pp. 272-74.

114. par. 3 Bakan, Duality, p. 15.

115. par. 1 Ibid., pp. 113-20, 122-24.

118. par. 4 Edward Devereux mi ha suggerito che è il declino della specializzazione del ruolo parentale ad essere responsabile dell'indebolimento degli orientamenti edipici nella nostra società.

119. par. 1 Philippe Ariès, Centuries of Childhood, pp. 33-34,38-39, 50 ff. par. 4 Ibid., pp. 47, 50-53,57-58, 71, 100 ff., 130-33,329-36, 369, 375, 398-400; Ryerson, «Medical Advice».

120. par. 1 Ariès, op. cit., pp. 59,61,92-93, 99, 314.

121. Adattato da una relazione apparsa sul Globe di Boston, Marzo 1972, di Crocker Snow, Jr.

123. Lao Tzu, Tao Te Ching, Book Two, LXXVII; C.S. Lewis, Hideous Strength, p. 173.

124.. par. 4 Toffler, Future Shock, pp. 334-36.

124-125. Vedi p. es., Dubos, Mirage of Health; Man, Medicine and Environment; Toffler, op. cit., pp. 327-42.

125. par. 4 Cfr. Bakan, Duality, p. 88. Per una trattazione più ampia ed intelligente di questo rapporto, vedi Victor Gioscia, Time Forms (Gordon and Breach, in Press), da cui è estratto questo paragrafo.

128. par. 2 Dubos, Mirage, pp. 109-39.

131. par. 3 Bateson, Steps, p. 4.

132. par. 3 Slater, «Social Bases of Personality», in Neil J. Smelser (ed.), Sociology: An Introduction (Wiley, 1973), Second Ed., pp. 612-24.

134. par. 3 Sigmund Freud, «Negation», in Collected Papers, Vol. V, pp. 181-85.

135-136. Toffler, op. cit., pp. 365, 405, 449-52, 460, 467, 480. Lo stampatello è mio.

136. par. 3 Toffler, op. cit., pp. 360, 393, 428-31, 450-52, 474.

139. par. 2 Lowen, Pleasure, p. 108.

139-140. Arthur Janov, Thè Primal Scream (Putnam, 1970), p. 146.

140. par. 2 René Dubos, Mirage, p. 228; Time, December 4, 1972, p. 39.

140-141. Cf. Norman Brown. Life Against Death.

142. par. 2 Cina e Cuba possono apparire eccezioni a questa affermazione, ma, in effetti, ne sono un'illustrazione. Le rivoluzioni effettuano il cambiamento soltanto nei limiti in cui rappresentano una diffusione di potere. Le innovazioni sono introdotte collettivamente in un nuovo centro di potere e portate dall'esterno da un gruppo
svantaggiato. Gli editti del leader rivoluzionario attestano meramente la diffusione del potere. Se non lo fanno, non si verifica alcun cambiamento sociale e i leaders sono considerati «traditori della rivoluzione».

147. Stereotipo altamente derisorio per alludere ai negri (N.d.T.). Paul Bellow, Mr. Sammler's Planet (Fawcett, 1971), p. 53; Lao Tzu, Tao Te Ching, Book One, XX;

149. par. 5 Gioscia, Time Forms; Dubos, Mirage, pp. 5-14.

150. par. 3 Elaine Cumming, «Allocation of Care to the Mentally Ill., American Style», in Mayer N. Zald (ed.), Organizing for Community Welfare (Quadrangle, 1967).

154. par. 2 Cf. Joseph Chilton Pearce, The Crack in the Cosmic Egg (Pocket, 1973); Sheila Ostrauder and Lynn Schroeder, Psychic Discoveries Behind the Iron Curtain (Bantam 1971). par. 4. Debbo questo esempio a Jacqueline Larcombe Doyle.

154-155. Questo paragrafo si basa su conversazioni con Jacqueline Larcombe Doyle.

156. par. 2 Bateson, Steps, p. 69.

156-157. Ibi., pp. 356-57.

157. par. 1 Toffler, op. cit., p. 391.

158. par. 1 Michel Foucault, Madness and Civilization (Mentor, 1967), pp. 18-31. par. 3 Robert A. Dentler and Kai T. Erikson, «The Functions of Deviance in Groups», Social Problems, VII (Fall 1959), pp. 98-107, citato in Lewis A. Coser, «Some functions of Deviant Behavior and Normative Flexibility». American Joumal of Sociology, 68, 1962, p.175.

159. par. 3 Lewis Mumford, «The Fallacy of Systems», Saturday Review, October 1949; Foucault, op.cit., p. 170.

162. par. 1 Erving Goftman, Asylums (Anchor, 1961).

163-164. RD. Laing, The Politics of the Family (Pantheon 1971), pp. 77-81.

165. par. 4 (*) Ebenezer Scrooge è il protagonista avaro della Christmas Carol di Dickens, che, visitato dagli spiriti durante la Vigilia di Natale, diventa generoso sulla scorta di quanto essi gli dimostrano della vita umana (N.d. T).

169. Idries Shah, The Exploits of the Incomparable Multa Nasrudin (Dutton, 1972), p. 16.

170-171. Laing, op. cit., pp. 103-16; Bateson, op. cit., pp. 201-43.

172. par. 1 Montagne, Touching, pp. 65 ff., 230-55, and passim.

173. par. 3 Benjamin Spock, The Common Sense Book of Baby and Child Care, Rev. Ed. (Duell, Sloan,& Pearce, 1957), pp. 3-10, 48-49.

176., par. 4 Gioscia, Time Forms, p. 75.

178. par. 2 In un pamphlet della controcultura intitolato Methods of Organization for Collectives, ottenibile da Antimass, Box 31352, San Francisco, California 94114, si può trovare un fondo di saggezza circa i problemi impliciti alla dimensione, alla vita collettiva e al potere di massa.

184. par. 3 Bateson, op. cit., p. 433.